
giovedì 30 settembre 2010
Alla vigilia dell'Incontro di preghiera per la pace Benedetto XVI riceve il fondatore e il presidente della Comunità di Sant'Egidio con mons. Paglia

La Libreria Editrice Vaticana alla Fiera del Libro di Francoforte. 'Luce del mondo' il titolo del libro-intervista al Papa di Peter Seewald

Il Velino
Giornata Mondiale della Gioventù 2011. Si delinea la partecipazione dei 100mila italiani. Don Anselmi: tanti giovani continuano ad amare la Chiesa

SIR
Il Papa a Palermo. I vescovi siciliani: avvenimento storico che servirà a risvegliare le coscienze per guardare al futuro con maggiore speranza

BlogSicilia, Live Sicilia
Benedetto XVI rientra in Vaticano. Mons. Semeraro: anche per noi un dono della Provvidenza averlo vicino e godere della sua presenza fisica

Asca, SIR
Il Papa a Palermo. I numeri della visita: 100mila fedeli alla Messa e 20mila giovani in Piazza Politeama. Un servizio sms per gli aggiornamenti

San Pietro e dintorni, SIR
Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Mons. Eterović: dare la massima visibilità alla Chiesa in questa regione. L'arabo una delle lingue ufficiali

SIR
Il Papa a Palermo. Giornali diocesani siciliani: nel momento giusto, dobbiamo delineare orizzonti alti. Parlerà al cuore e alla mente di tutti

“Un’occasione straordinaria per la Sicilia”. Così don Giuseppe Rabita, direttore di Settegiorni dagli Erei al Golfo, periodico della diocesi di Piazza Armerina, definisce la visita pastorale che il Papa compirà domenica a Palermo. “La visita di Papa Benedetto – scrive don Rabita nell’ultimo numero del periodico, in uscita in questi giorni – cade proprio nel momento giusto. Abbiamo bisogno di riprendere a volare, di delineare orizzonti alti verso i quali indirizzarci insieme, condotti dai nostri vescovi. Non per conquistare privilegi sociali o finanziamenti”. Il Papa, conclude il direttore, “sicuramente ci spronerà a studiare, progettare, lavorare di più insieme, senza personalismi né dogmatismi per una rinnovata primavera dello Spirito, memori del grande tributo di martirio e santità che la terra di Sicilia ha saputo dare alla testimonianza del Signore risorto”. “Benedetto XVI parlerà al cuore e alla mente di tutti i siciliani. Ovviamente si rivolgerà ai cattolici dell’Isola ma, secondo il suo stile semplice e chiaro, non farà mancare una appropriata ‘parola’ a coloro che si attendono qualcosa di positivo dal Successore di Pietro”. Così don Francesco Fiorino, direttore di Condividere, quindicinale della diocesi di Mazara del Vallo, sintetizza “le attese dei siciliani” per la visita del Papa. “Benedetto XVI – scrive don Fiorino nell’editoriale dell’ultimo numero del giornale, in uscita il 1° ottobre, – viene a Palermo per ricordarci che siamo ‘in debito’ verso l’amore di Colui che ‘ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga’, ma sicuramente ci spiegherà che non possiamo essere rassegnati o passivi – o peggio complici – di fronte alla violenza e alla corruzione mafiosa, né essere incapaci di ‘metterci insieme’, per offrire invece segnali di vitalità, di servizio alle persone e alla crescita della nostra Regione, vera ‘sponda’ nord dei popoli del Mediterraneo”.
SIR
mercoledì 29 settembre 2010
Il saluto del Papa al personale del Palazzo di Castel Gandolfo: accogliere e vivere ogni giorno con semplicità e gioia la Parola di verità del Signore

SIR, Radio Vaticana
UDIENZA AL PERSONALE DELLE VILLE PONTIFICIE - il testo integrale del saluto del Papa
I genitori di Chiara Badano incontrano il Papa e lo ringraziano per la Beatificazione. I saluti e i doni a Benedetto al termine dell'Udienza generale

L'Osservatore Romano, Apcom
Confermati i consiglieri del delegato pontificio dei Legionari di Cristo. L'arcivescovo di Villadolid visitatore apostolico del Regnum Christi

Zenit
Benedetto XVI: continuo a portare gli haitiani nella preghiera supplicando Dio di alleviare la loro miseria. Giovani lasciatevi guidare dagli angeli

SIR
Il Papa: intensificare la nostra amicizia con Dio con la preghiera e la partecipazione attenta alla Messa. La Liturgia grande scuola di spiritualità

'Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale', il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2011

SIR
La prossima settimana in Vaticano gli arcivescovi d'Irlanda per preparare la Visita apostolica nel Paese con i presuli incaricati dal Papa

SIR
martedì 28 settembre 2010
Venerdì nell'Aula Paolo VI concerto in onore di Benedetto XVI dell'Orchestra e del Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Adnkronos
32 anni fa la morte di Giovanni Paolo I. Il Papa: mite e fermo, fedele alla tradizione e aperto al rinnovamento, sempre disponibile al sorriso

Uno dei passi del Vangelo preferiti da Giovanni Paolo I era l’appello di Gesù: “se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.
“‘Dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio’, disse in quella medesima Udienza. E aggiunse: ‘Non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma: si crede alla mamma, io credo al Signore, a quello che Egli mi ha rivelato’. Queste parole mostrano tutto lo spessore della sua fede. Mentre ringraziamo Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo, facciamo tesoro del suo esempio, impegnandoci a coltivare la sua stessa umiltà, che lo rese capace di parlare a tutti, specialmente ai piccoli e ai cosiddetti lontani” (Angelus, 28 settembre 2008).
Benedetto XVI ricorda infine la devozione che Albino Luciani nutriva verso la Madonna: “Quando era Patriarca di Venezia ebbe a scrivere: ‘È impossibile concepire la nostra vita, la vita della Chiesa, senza il rosario, le feste mariane, i santuari mariani e le immagini della Madonna’. E’ bello accogliere questo suo invito e trovare, come egli fece, nell’umile affidamento a Maria il segreto di una quotidiana serenità e di un fattivo impegno per la pace nel mondo” [Parole al termine della proiezione del film "Papa Luciani: il sorriso di Dio" (8 ottobre 2006)].
Radio Vaticana
Il Papa a Santiago de Compostela e Barcellona. Il sito ufficiale per seguire il viaggio in diretta, e uno per ogni tappa. Pagine su Facebook e Twitter

PubblicaAmministrazione.net
www.benedictoxviensantiago.es (in costruzione)
Il Papa: la Giornata Missionaria Mondiale aiuti a comprendere che annunciare Cristo è servizio necessario e irrinunciabile a favore dell'umanità

La missione dell’annuncio del Vangelo, ribadisce ancora il Papa, parte da un cuore rinnovato, trasformato dall’amore di Dio. E fa suo il richiamo di San Paolo ad ogni cristiano chiamato a diffondere la Buona Novella: "In effetti, la missione, se non è animata dall’amore, si riduce ad attività filantropica e sociale. Per i cristiani, invece, valgono le parole dell’apostolo Paolo: “L’amore del Cristo ci spinge”...Ogni battezzato, come tralcio unito alla vite, può così cooperare alla missione di Gesù, che si riassume in questo: recare ad ogni persona la buona notizia che “Dio è amore” e, proprio per questo, vuole salvare il mondo" (Angelus, 22 ottobre 2006).
“La missione – avverte il Papa – è dunque un cantiere nel quale c’è posto per tutti: per chi si impegna a realizzare" nella propria vita il Regno di Dio: “Per chi vive con spirito cristiano il lavoro professionale; per chi si consacra totalmente al Signore; per chi segue Gesù Buon Pastore nel ministero ordinato al Popolo di Dio; per chi, in modo specifico, parte per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono” (Angelus, 22 ottobre 2006).
Il Papa non manca tuttavia di rammentare che la missione è legata spesso alla persecuzione. Ricorda che l’uccisione di Santo Stefano segna l’inizio della persecuzione contro i discepoli di Gesù, che da allora sono spinti ad uscire da Gerusalemme e ad annunciare il Vangelo ai pagani: “Nella storia della Chiesa non mancherà mai la passione, la persecuzione. E proprio la persecuzione diventa, secondo la celebre frase di Tertulliano, fonte di missione di nuovi cristiani: ‘Noi cristiani ci moltiplichiamo ogni volta che da voi siamo mietuti: è un seme il sangue dei cristiani’” (Udienza generale, 10 gennaio 2007).
Un anelito a Dio che chiamò all’evangelizzazione i primi Apostoli, ma - osserva il Pontefice - che interpella i pastori della Chiesa anche oggi di fronte a sfide storiche, sociali e spirituali. Benedetto XVI esorta ad un rinnovato impegno non solo laddove si attende una prima evangelizzazione, ma anche nelle antiche nazioni cristiane dove la secolarizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede: “In questa prospettiva, ho deciso di creare un nuovo Organismo, nella forma di 'Pontificio Consiglio', con il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo” (28 giugno 2010: Primi Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo).
Radio Vaticana
Il Papa a Palermo. Arriva Benedetto XVI e la Sicilia si fa giovane. L'incontro in Piazza Politeama carico di aspettative e pronto a dare frutti

Marco Pappalardo, Avvenire
lunedì 27 settembre 2010
ll Papa nel Regno Unito. Lord Patten: il viaggio un trionfo, da ricordare nel senso più profondo del termine. I suoi messaggi risuoneranno negli anni

Zenit
Prolusione del card. Bagnasco: guardare al Papa nell'essere determinati a rimuovere dal costume ecclesiale un delitto angosciante come la pedofilia

SIR, Apcom
Il Papa a Santiago de Compostela e Barcellona. Aggiunto nel programma del viaggio un incontro di Benedetto XVI con il premier spagnolo Zapatero

Ansa
Il Papa: vivo il mio ministero con i sentimenti del pellegrino sulle vie del mondo con speranza e semplicità portando il messaggio salvifico di Cristo

Il Papa si congeda da Castel Gandolfo: Vincenzo de' Paoli susciti un rinnovato impegno di solidarietà, per cooperare all'edificazione del bene comune

domenica 26 settembre 2010
Il trionfo del Papa schivo. Cinque anni di un successo di pubblico che ha stupito i critici. L’enigma di pochi gesti e molte (grandi) parole

di Paolo Rodari
Il Foglio
Dopo il trionfalismo carismatico di Karol Wojtyla, il pudore monastico di Joseph Ratzinger. Due stili diversi che rispecchiano due caratteri dissimili. Due stili che portano a un unico risultato: l’entusiasmo delle folle.
Di Giovanni Paolo II i fedeli applaudivano il gesto, la frase a effetto, gli slanci teatrali, a volte trascurandone quasi del tutto l’argomentare. Di Benedetto XVI seguono le omelie, tendono le orecchie durante i discorsi, ascoltano ogni parola con un’attenzione che sbalordisce esperti e analisti. Così è accaduto in Inghilterra e Scozia, durante il recente viaggio: “Ratzinger si è imposto come uomo mite, umile, che parla in modo gentile”, ha detto il vaticanista del Times Richard Owen. “Riflessioni profonde, proposte a voce bassa”.
Più che altrove, lo stile di Benedetto XVI ha trovato un suo compimento nel Regno Unito: difficile immaginare, prima della partenza per quello che in molti avevano definito il “viaggio più difficile”, centomila persone a Hyde Park, cuore della City, in totale silenzio per un’ora e mezza ad ascoltare una sacra liturgia.
Quale il segreto di Joseph Ratzinger? Quale la strategia comunicativa? Una sola: non avere strategie. L’ha spiegato lo stesso Pontefice sul volo che lo portava dieci giorni fa verso Edinburgo. Gli ha chiesto padre Federico Lombardi, portavoce vaticano: cosa possono fare i cattolici per rendere la Chiesa più attrattiva? Ha risposto il Papa: “Una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata, perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro: serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità e le grandi forze di amore, di riconciliazione che vengono sempre dalla presenza di Gesù Cristo”.
Ecco il segreto di Joseph Ratzinger, per molti “Panzer cardinal”, per altri addirittura “Rotweiler di Dio” divenuto Papa: non volere attrarre nessuno. Piuttosto fare un passo indietro e mettere al centro della scena un Altro. E’ questo uno stile tutto suo e che, a dispetto delle mille e più strategie comunicative che spesso diversi organi ecclesiastici, dalla Curia romana alle varie Conferenze Episcopali fino alle singole diocesi, cercano di adottare, s’impone con autorevolezza dirompente.
Lo stile del Papa è sobrio, soprattutto a contatto con le masse. Ogni appuntamento pubblico sembra per lui liturgia. E, infatti, fuori delle Messe, delle catechesi, delle benedizioni, Benedetto XVI è un minimalista. “Il Papa non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la chiesa all’obbedienza alla parola di Dio”, disse quando prese possesso della Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano, il 7 maggio 2005. Un criterio che per Papa Ratzinger è un programma di governo: di suo fa pochissimo, al centro della scena non c’è mai lui, ma l’essenziale, ovvero Gesù Cristo vivo e presente nei sacramenti della Cchiesa.
I primi mesi di Pontificato di Benedetto XVI lasciarono senza parole gli analisti di cose vaticane. La folla presente alle Udienze del mercoledì e in Piazza San Pietro agli Angelus della domenica, era esattamente raddoppiata rispetto agli ultimi mesi di Giovanni Paolo II. Dati certi vennero resi noti dalla Prefettura della Casa Pontificia, l’organismo vaticano che governa le udienze. Nei mesi tra maggio e settembre, nel 2004, andarono alle Udienze di Giovanni Paolo II in 194 mila. Negli stessi mesi, nel 2005, a quelle di Benedetto XVI andarono in 410 mila. Così anche per gli Angelus: 262 mila presenze in cinque mesi con Papa Wojtyla, 600 mila negli stessi mesi del 2005 con Papa Ratzinger.
Benedetto XVI non compie gesti a effetto, non martella frasi roboanti, non incoraggia applausi e osanna. Si sottrae alle feste di massa. Ama arrivare agli appuntamenti pubblici solo per celebrare e predicare. Anche i viaggi hanno programmi strettissimi, quasi volesse fuggire dal superfluo, da ciò che va oltre lo stretto necessario.
Roma, Piazza San Pietro, 16 ottobre 2005. Benedetto XVI incontra i bambini della prima comunione. L’appuntamento ha un programma singolare: prima il Papa risponde a braccio ad alcune domande, poi, sempre coi bambini, fa mezz’ora di adorazione eucaristica. C’è chi sostiene in Vaticano: “Un azzardo dopo anni di appuntamenti più somiglianti a festival musicali che ad altro”. Il Papa arriva in piazza puntuale. Esce in papamobile dall’Arco delle Campane. I bambini applaudono e urlano slogan. Il Papa saluta. Poi scende dall’auto e inizia a parlare. A poco a poco cala il silenzio. Il Papa insegna loro teologia. Un bambino gli domanda: “La mia catechista mi ha detto che Gesù è presente nell’Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!”. Risposta. “Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione. Tuttavia abbiamo la ragione”. Poi il silenzio si fa totale. Il Papa s’inginocchia innanzi all’Eucaristia. Tutti guardano oltre il Papa, verso dove lui guarda. In meno di un’ora l’attenzione di una folla sui generis, centomila bambini, è completamente catturata. Una scena, quest’ultima, rivista nell’agosto del 2005, durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia: il Papa che di colpo s’inginocchia innanzi all’Eucaristia. I ragazzi che si zittiscono e s’inginocchiano. Intorno un silenzio surreale che mette a disagio soltanto i cronisti delle varie tv e radio collegate. Per circa un’ora non sanno più che dire.
Passano venti mesi dall’elezione di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro. Benedetto XVI diviene un caso di studio mondiale. La White Star, una casa editrice collegata alla National Geographic Society, pubblica “Benedetto XVI, l’alba di un nuovo papato”. Gli autori sono un grande fotografo italiano, Gianni Giansanti, e l’ex caporedattore della sede romana di Time, Jeff Israely. Il libro nasce con un motivo esplicito: studiare il “caso Ratzinger”, il motivo del successo del ‘Panzer cardinal’ divenuto successore di san Pietro. Scrive Israely: “I gesti del suo predecessore hanno impressionato il mondo. Benedetto XVI fa invece notizia con la forza della sua prosa. Ma le sue parole non rappresentano un puro esercizio intellettuale: sono una manifestazione della sua fede e umanità. Nel messaggero si rende visibile il messaggio”. Scrive pochi giorni dopo il vaticanista Sandro Magister su L’Espresso: “Giovanni Paolo II dominava la scena. Benedetto XVI offre alle folle la sua nuda parola. Ma cura di spostare l’attenzione a qualcosa che è al di là di se stesso”.
Forse è soltanto un caso. Ma è da notare il fatto che sui giornali britannici i giorni successivi la partenza del Papa da Londra domenica scorsa due parole erano presenti più di altre: successo e nostalgia. Successo del Papa sulla folla: duecentomila persone che lo rincorrono lungo le strade di Londra mentre si avvicina a Hyde Park per la Veglia per la Beatificazione del card. John Henry Newman non è cosa da poco. Nostalgia per la sua partenza. Anna Arco, vaticanista britannica, collaboratrice di numerose pubblicazioni specializzate e redattrice del londinese Catholic Herlad ha confessato di soffrire di “ppd”, e cioè di “post papal depression”. Forse, nella gigantesca mole di articoli scritti in queste ore per fare un bilancio dei quattro giorni di Benedetto XVI nel Regno Unito, non c’è battuta migliore per dare una misura, seppur immediata, di quanto sia la dimensione del successo pastorale, ecclesiale, spirituale e umano della visita del Papa. Un successo di folla che ha stupito lo stesso Benedetto XVI che ha dichiarato mercoledì scorso durante l’Udienza generale: la visita è stata “un evento storico”. Ha scritto Antonio Socci su Libero: “Ratzinger non è tipo che usa le parole a vanvera. Ha spiegato che è stato un evento storico anzitutto perché ha rovesciato tutte le previsioni”. L’ha scritto anche Damian Thompson sul Telegraph: i britannici hanno visto “le cose come sono”. Hanno “visto” il Papa. L’hanno “sentito parlare” e si sono fatti conquistare.
C’è un enigma che riguarda le folle di Benedetto XVI durante i suoi viaggi fuori i confini italiani. In questo enigma la folla inglese è la protagonista ultima in ordine di tempo. Ultima a fare che? A convertirsi al Papa. Dato in partenza sempre sconfitto, Benedetto XVI guadagna punti appena atterra sul suolo straniero. Guadagna sul popolo. Sulla gente che, a sentire i più, dovrebbe essergli ostile. E tutto ciò è un enigma. Un mistero che puntualmente si ripresenta. I suoi quattordici viaggi all’estero hanno sempre capovolto le fosche previsioni di ogni vigilia. È avvenuto così anche nei luoghi più ostici. In Turchia nel 2006, negli Stati Uniti e in Francia nel 2008, in Israele e Giordania l’anno dopo. Ovunque colpisce la sua audacia. A Ratisbona, nel 2006, svelò dove affonda la radice ultima della violenza religiosa, in un’idea di Dio sganciata dalla razionalità. Scoppiarono polemiche. Venti di fanatismo e proteste in tutto il mondo. Papa Ratzinger sembrava sconfitto. Ma fu grazie a quella lezione che oggi tra i musulmani sono più forti le voci che invocano una rivoluzione illuminista anche nell’islam, la stessa che c’è già stata nel cattolicesimo degli ultimi secoli. Fu grazie a quella lectio magistralis se oggi qualcuno, anche la dove l’islam è più fanatico, accetta un confronto coi cattolici.
Benedetto XVI inizialmente ferisce. Colpisce il cuore della società odierna, il suo pensiero. Ferendo, stana ciò che egli ritiene falso. Per questo, le sue parole, nel tempo restano. Non passano. Fu la scorsa primavera che durante un’Udienza del mercoledì paragonò l’ora presente della Chiesa a quella dopo San Francesco. Anche allora c’erano nella cristianità correnti che invocavano una “età dello Spirito”, una nuova Chiesa senza più gerarchia, né precetti, né dogmi. Oggi qualcosa di simile avviene quando si invoca un Concilio Vaticano III che sia “nuovo inizio e rottura”. Un nuovo inizio verso dove? Le mete, in fin dei conti, non sono altro che proclami che già hanno fatto scuola, con risultati mediocri e pochi nuovi adepti conquistati alla causa, nelle comunità protestanti: l’abolizione del celibato del clero, il sacerdozio per le donne, la liberalizzazione della morale sessuale, un governo della Chiesa senza il primato petrino. A tutto questo Papa Ratzinger oppone una nuova modalità di governo della chiesa, il suo pensiero “illuminato dalla preghiera”. Joseph Ratzinger parla della fede. Di Dio. Di Gesù Cristo. Della Chiesa nel mondo, nella società, nel discorso pubblico. Della fede dentro il vivere di tutti i giorni, con le sue rilevanze private ma anche pubbliche. Non cerca il consenso della gente. Non si piega alle mode del mondo. Accetta la sfida di portare nel mondo la spada che è il Vangelo. E per questo, alla lunga, vince. Ciò che dice resta.
C’è chi reagisce male alle sue parole, come tante e tante bufere mediatiche in questo pontificato dimostrano. C’è chi si ribella e vuole arrestare il Papa per “crimini contro l’umanità”. Ma c’è anche chi si lascia ferire dal suo dire e inizia a seguirlo. Ci sono intellettuali che vorrebbero non parlasse più. Ci sono intellettuali che addirittura non lo fanno parlare, come il “caso Sapienza” dimostra. Ma ce ne sono altri, e le platee dell’Università di Ratisbona, del Collegio dei Bernardini a Parigi e del Parlamento di Westminster a Londra lo dimostrano, che dopo lo scetticismo iniziale non possono fare altro che alzarsi in piedi e applaudirlo. E’ quest’ultimo il pubblico più sofisticato di Benedetto XVI. Un pubblico tutto suo. Diverso dalle grandi folle. Spesso si tratta di circoli ristretti. Tutti plaudenti innanzi al teologo divenuto Papa. “Da Rottweiler di Dio a Pontefice più amato, il migliore”, scrisse sul New York Times qualche mese fa, in piena tempesta mediatica per il problema dei preti pedofili, il trentenne conservatore Ross Douthat, opinionista tra i più puntuti degli Usa. Un’opinione, questa, trasversale, e presente soprattutto nel mondo degli intellettuali di lingua anglosassone. Un’opinione positiva fattasi più forte proprio nei giorni peggiori del pontificato di Benedetto XVI, appunto i mesi scorsi del grande attacco per la questione pedofilia. Hendrik Hertzberg sul New Yorker, dopo aver ricordato Martin Lutero e l’attuale crisi di potere e di cultura della Chiesa, spese parole di elogio per Benedetto XVI. Proprio in quei giorni, si diffuse un appello con settanta firme del mondo francofono. Firmarono intellettuali, filosofi, giornalisti, drammaturghi, docenti universitari, artisti e personalità varie. Tra i firmatari vi furono Jean-Luc Marion, dell’Académie Française, professore a Parigi e a Chicago. Quindi Remi Brague, professore di filosofia e membro dell’Institut. Lo scrittore Françoise Taillandier. La filosofa Chantal Del sol. L’attore Michael Lonsdale. Il matematico Laurent Lafforgue. E tanti altri.
Ratzinger parla ai più umili e agli intellettuali, dunque. E a tutti dice qualcosa. Non ha strategie comunicative. Sembra preoccupato soltanto della verità, del contenuto del suo dire.
Un paio di anni fa è uscito “Ratzinger professore” di Gianni Valente, un libro contenente gli anni dello studio e dell’insegnamento di Ratzinger nel ricordo degli allievi e dei colleghi, anni che vanno dal 1946 al 1977. Ratzinger, si racconta, fu fin dall’inizio capace di catturare l’attenzione dei suoi studenti. Come? Introdusse un modo nuovo di fare lezione. Racconta un suo ex alunno: “Leggeva le lezioni in cucina a sua sorella Maria, persona intelligente ma che non aveva mai studiato teologia. Se la sorella manifestava il suo gradimento, questo era per lui il segno che la lezione andava bene”. Uno studente di quei tempi dice: “La sala delle sue lezioni era sempre stracolma, gli studenti lo adoravano. Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente”.
Il professor Ratzinger non faceva sfoggio di erudizione accademica né usava un tono oratorio abituale a quei tempi. Esponeva le lezioni in modo piano, con un linguaggio di limpida semplicità anche nelle questioni più complesse. Molti anni dopo, lo stesso Joseph Ratzinger spiegò il segreto del successo delle sue lezioni: “Non ho mai cercato di creare un mio sistema, una mia particolare teologia. Se proprio si vuol parlare di specificità, si tratta semplicemente del fatto che mi propongo di pensare insieme con la Chiesa e ciò significa soprattutto con i grandi pensatori della fede”. Gli studenti percepivano, attraverso le sue lezioni, non solo di ricevere nozioni di scienza accademica, ma di entrare in contatto con qualcosa di grande, con il cuore della fede cristiana. Questo il segreto del giovane professore di teologia, che attirava gli studenti. Questo è forse l’unico suo segreto ancora oggi: non mettere se stesso al centro della scena, ma qualcosa di grande oltre lui, il cuore della fede cristiana. E poi, il segreto più importante: l’assenza di una strategia comunicativa. Papa Ratzinger non cerca il consenso.
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