giovedì 11 ottobre 2012

Il Papa: il Signore non ci dimentica, anche oggi, a Suo modo, umile. Il Signore è presente e dà calore ai cuori, mostra vita, crea carismi di bontà e di carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio. Date un bacio ai bambini e dite che è del Papa

"Cari fratelli e sorelle, buona sera a tutti voi e grazie per essere venuti, grazie all'Azione Cattolica che ha organizzato questa fiaccolata". Così il Papa, affacciato dalla finestra del suo studio privato, a 50 anni esatti dal discorso di Giovanni XXIII a conclusione della giornata d'apertura del Concilio Vaticano II. "Cinquant’anni fa - ha ricordato Papa Ratzinger -, in questo giorno, anche io sono stato qui in Piazza, con lo sguardo verso questa finestra, dove si è affacciato il buon Papa, il Beato Papa Giovanni e ha parlato a noi con parole indimenticabili, parole piene di poesia, di bontà, parole del cuore. Eravamo felici – direi – e pieni di entusiasmo. Il grande Concilio Ecumenico era inaugurato; eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa, una nuova Pentecoste, con una nuova presenza forte della grazia liberatrice del Vangelo. Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore - ha detto il Papa -, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile". "In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato". "Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: 'il Signore dorme e ci ha dimenticato'". Questa, ha proseguito, "è una parte delle esperienze fatte in questi 50 anni. Ma abbiamo avuto anche la nuova esperienza della presenza del Signore, della sua bontà della sua forza. Il fuoco dello Spirito Santo, il fuoco di Cristo non è fuoco divoratore, distruttivo; è un fuoco silenzioso, è una piccola fiamma di bontà, di bontà e di verità che trasforma, da luce e calore. Abbiamo visto: il Signore non ci dimentica, anche oggi a suo modo, umile, il Signore è presente e da calore ai cuori, mostra vita, crea carismi di bontà e di carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio". "Se Cristo vive ed è con noi anche oggi, possiamo essere felici anche oggi perché la sua volontà non si spegne ed è forte anche oggi". "Alla fine oso fare mie le parole indimenticabili di Papa Giovanni: 'andate a casa e date un bacio ai bambini e dite che è del Papa'". "Di tutto cuore vi imparto mia benedizione", ha concluso.
 
TMNews

BENEDIZIONE AI PARTECIPANTI ALLA FIACCOLATA PROMOSSA DALL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA - il testo integrale del saluto del Papa
 

Fiaccolata promossa dall'Azione Cattolica e dalla diocesi di Roma a 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II. Card. Vallini: da quella notte la Chiesa è diventata più libera, più coraggiosa, più giovane, più bella

Sono 40mila, secondo gli organizzatori, i fedeli raccolti in Piazza San Pietro a conclusione di una fiaccolata partita da Castel Sant'Angelo alle 19.30 e promossa dall'Azione Cattolica italiana e dalla diocesi di Roma in occasione del 50° anniversario del Concilio Vaticano II. I fedeli sono raccolti in preghiera. Tra la folla, oltre ai cardinali Angelo Bagnasco, presidente della CEI, e Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma anche i ministri Andrea Riccardi e Renato Balduzzi. I 40mila fedeli hanno trovato ad attenderli in Piazza San Pietro i vescovi di tutto il mondo che partecipano in questi giorni al Sinodo dei vescovi. Il Papa si è affacciato alle 21.00 per benedire la folla, come fece Giovanni XXIII l'11 ottobre 1962, quando pronunciò lo storico "discorso alla Luna". Cinquant'anni fa, Giovanni XXIII era rientrato nell'Appartemento Pontifcio, alla terza loggia del Palazzo Apostolico, al termine della sessione inaugurale del Concilio Vaticano II, alla quale parteciparono 2500 vescovi di tutto il mondo riuniti per la prima volta in numero così elevato nella Basilica di San Pietro trasformata in aula conciliare. E dalla piazza saliva l'eco di una presenza massiccia e festosa di fedeli, radunatisi spontaneamente per essere partecipi di quel grande evento.
Il suo segretario, mons. Loris Capovilla, oggi 94enne, "conoscendo la sua proverbiale curiosità", gli disse: "Santità, non si affacci, non parli, ma guardi attraverso le fessure delle persiane che spettacolo, Piazza San Pietro è piena di fiaccole, sembra incendiata!". E il Papa andò alla finestra e decise di affacciarsi. "Mettimi la stola", chiese al segretario. Poi avviò quella riflessione ad alta voce passata alla storia come il "discorso alla Luna". "Cari figlioli - esordì - sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la Luna si è affrettata stasera, osservatela in alto, a guardare questo spettacolo". Dopo aver salutato come vescovo di Roma i suoi diocesani, il suo sguardo si allargò al mondo intero, e scendendo, simbolicamente, in mezzo alla gente, guardando negli occhi "i fratelli e le sorelle". riprese: "La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per volontà di Nostro Signore, ma tutti insieme paternità e fraternità è grazia di Dio". Poi, davvero come un padre universale, volle augurare la buona notte e pronunciò le sue parole piu' celebri: "Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa e' la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza".
"Non stiamo qui come reduci, siamo testimoni, non di una cosa che è stata, molti non c'eravamo 50 anni fa, ma di quello che sarà, del futuro, della Chiesa bella del Concilio", ha affermato il conduttore televisivo Rosario Carello dal palco degli organizzatori. A partire da quella notte "la Chiesa - ha detto salutando i fedeli il cardinale vicario Agostino Vallini - è diventata più libera, più coraggiosa, più giovane, più bella. Custodiamo integro il grande patrimonio del Concilio, impegnandoci a ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione interiore, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Se da allora tanto cammino è stato compiuto, tanto ne resta da fare, soprattutto sulle vie della santità quotidiana". "La fiaccolata dell’11 ottobre 1962 e la fiaccolata di questa sera – ha spiegato ai 40mila Franco Miano, presidente nazionale dell’Ac - hanno un unico grande filo conduttore: la passione per l’annuncio del Vangelo. Questa fiaccolata rappresenta il nostro abbraccio a Papa Benedetto XVI, come lo fu con Giovanni XXIII, per dire l’affetto e il sostegno, per riconoscere il legame che ci unisce a lui e a tutta la Chiesa". L’assistente generale dell’Azione Cattolica mons. Domenico Sigalini ribadisce la vicinanza alla guida pastorale di Papa Benedetto XVI: "Siamo raccolti attorno al Papa e lo ringraziamo per il suo servizio generoso alla Chiesa, per le sue fatiche. Lo accompagniamo nel difficile compito di reggere la Chiesa, lo seguiamo nell’entrare nell’Anno della fede con disponibilità, fierezza e umiltà". 

TMNews, Agi, RomaSette 
 

Benedetto XVI e il Concilio Vaticano II: quasi tutto è cambiato, ma è rimasta la fedeltà del Signore. Lui è lo stesso ieri, oggi e sempre, e questa è la nostra certezza, che ci dà la strada al futuro

Il Pontificato di Benedetto XVI è attraversato da due anniversari molto significativi: il quarantesimo della conclusione del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965), a pochi mesi dalla sua elezione al Soglio di Pietro e il cinquantesimo dell'inizio del Concilio, occasione questa che il Pontefice ha voluto sottolineare indicendo un Anno della fede con inizio l'11 ottobre, data di apertura, nel 1962, dell'assise conciliare. Egli stesso del resto non si è sottratto durante il suo Pontificato al confronto con il Concilio. Centrale in tal senso è rimasto il discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, dove Benedetto XVI insiste sulla necessità di rinunciare a qualsiasi logica di discontinuità nell'accostarsi ai temi del Concilio e preferire "l'ermeneutica della riforma", della "novità nella continuità", l'unica che può permettere al seme buono della fede, seminato allora, di crescere e di svilupparsi ancora. Del resto il Concilio e la sua storia sono entrati presto a far parte della vita di Joseph Ratzinger, fin da quando egli, in qualità di perito, poté parteciparvi. Questo fatto ha un forte valore di testimonianza e fa sì che Benedetto XVI sovente torni a darci una lettura storica di quell'evento. Perché un Concilio? Quali furono le sue motivazioni? "Il Vaticano II doveva esprimersi sulle componenti istituzionali della Chiesa: sui vescovi e sul Pontefice, sui sacerdoti, i laici e i religiosi nella loro comunione e nelle loro relazioni; doveva descrivere la Chiesa in cammino" (8 dicembre 2005). Si sentiva, afferma il Papa, la necessità che la Chiesa si confrontasse con le istanze che la modernità e il nuovo ordine mondiale presentavano e ponevano all'attenzione delle coscienze. Ci si trovava di fronte a "un mondo che l’epoca moderna aveva profondamente trasformato e che per la prima volta nella storia si trovava di fronte alla sfida di una civiltà globale, dove il centro non poteva più essere l’Europa e nemmeno quelli che chiamiamo l’Occidente e il Nord del mondo" (6 gennaio 2007). La Chiesa, ci dice Benedetto XVI, era impegnata in un grande sforzo di aggiornamento, di confronto con la storia, di discernimento dei "segni dei tempi": "Così da sé stessa essa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro, evitando i suoi errori e vicoli senza uscita" (12 maggio 2010). Accanto a questa lettura "prima", più storica del Concilio, fornitaci dal "testimone" Joseph Ratzinger, Benedetto XVI ha sviluppato durante il suo Pontificato una lettura "seconda" dell'assise conciliare. A questo livello è più il teologo a parlare che il testimone. Qual era la natura e la funzione del Concilio? "Ogni Concilio nasce dalla Chiesa e alla Chiesa torna", dice il Papa (1 ottobre 2008), proprio per indicare questo sforzo di autocoscienza, di presa di consapevolezza che la Chiesa compie su se stessa. Non ci sarebbe quell'aggiornamento, di cui si è detto più sopra, senza questo movimento di riflessione e di approfondimento di sé e della sua essenza. Che cos'è la Chiesa? E' forse un'organizzazione, un apparato, soltanto un'Istituzione? Niente di tutto questo: "La Chiesa non è semplicemente una grande struttura, uno di quegli enti sovranazionali che esistono". "La Chiesa non è una organizzazione...non è un corpo amministrativo o di potere, non è una agenzia sociale, benché faccia un lavoro sociale e sovranazionale". "La Chiesa, pur essendo corpo, è corpo di Cristo e quindi un corpo spirituale...È una realtà spirituale" (22 febbraio 2007). Benedetto XVI riprende esplicitamente il passaggio della "Lumen Gentium" (cap.7) per restituire il senso della nuova sensibilità ecclesiale che si è maturata nel Concilio. Lo sforzo di autocoscienza della Chiesa trova il suo fondamento nel suo essere essa stesso centro di quel mistero eucaristico in cui Cristo dà il suo Corpo e la fa suo Corpo (10 dicembre 2008). Questa presenza di Cristo alla sua Chiesa, ribadita e ripresa in ogni intervento come un leitmotiv del suo magistero, ci riporta a un "terzo livello" di lettura che Benedetto XVI sviluppa sul Concilio. Qui, rispetto a quella del testimone e del teologo, o del testimone-teologo, si sente di più la voce del Papa, il cui ministero, come ha avuto modo di dire durante la cerimonia di insediamento sulla Cattedra di vescovo di Roma in San Giovanni in Laterano, "è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola" (7 maggio 2005). Sicuramente la Chiesa nelle coordinate del Concilio continua a trovare il suo orientamento e la sua "bussola" (secondo un'immagine di Giovanni Paolo II, "Novo millennio ineunte", 57) per cercare le risposte alle domande più pressanti dell'uomo del XXI secolo. Tuttavia ago di questa bussola è sempre Cristo. C'è una priorità ontologica di Cristo anche rispetto al Concilio, come già il Concilio a suo tempo aveva riconosciuto, definendolo "l'alfa e l'omega", principio e termine di tutto ("Gaudium et spes", cap.45). Ciò che Benedetto XVI tende a far risaltare alle coscienze contemporanee è proprio la centralità di Cristo e che compito della Chiesa è "annunciare e testimoniare Lui, perché l’uomo, ogni uomo possa realizzare pienamente la sua vocazione" (20 novembre 2005). In questo senso, ricordando retrospettivamente gli anni del Vaticano II, così Benedetto XVI si esprime con un pensiero che di questo sforzo di unione, di cui si fa interprete e garante il Pontefice, di ricapitolare e di ricondurre tutto a Cristo può rappresentare la sintesi e il suggello: "[In questi anni] quasi tutto è cambiato, ma è rimasta la fedeltà del Signore. Lui è lo stesso ieri, oggi e sempre: e questa è la nostra certezza, che ci dà la strada al futuro. Il momento della memoria, il momento della gratitudine è anche il momento della speranza: 'In te Domine speravi, non confundar in aeternum'" (1° luglio 2011).

Lucio Coco, Korazym.org

Vian: oltre la commemorazione. Lo sguardo di Benedetto XVI è caratterizzato dallo stesso realismo fiducioso dei suoi predecessori che il Concilio Vaticano II hanno voluto, guidato, concluso e accolto

“Sin da quando Benedetto XVI ha annunciato l’Anno della fede si è capito” che il 50° “dell’inizio del Vaticano II non sarebbe stato una semplice celebrazione”; il ricordo di “quel giorno indimenticabile non è nostalgia, ma memoria viva e necessaria per il cammino dei cristiani nel mondo di oggi”. E’ quanto afferma Gian Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano, nell’editoriale odierno. ''In questi decenni - scrive Vian - è avanzata una desertificazione spirituale, ha infatti ricordato il Papa: 'Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, ai tempi del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi'''. ''Una notazione - commenta - che potrebbe suonare pessimistica, come pessimista per decenni è stato spesso dipinto il card. Joseph Ratzinger, quasi fosse uno dei profeti di sventura da cui proprio cinquant'anni fa, aprendo il Vaticano II, dissentì 'risolutamente' e con piena ragione Giovanni XXIII''. Per Vian, nulla è ''più lontano dalla realtà di questo luogo comune. Lo sguardo di Benedetto XVI è caratterizzato dallo stesso realismo fiducioso dei suoi predecessori - i Papi che il Concilio hanno voluto, guidato, concluso e accolto - perchè 'è proprio a partire dall'esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne'. E Papa Ratzinger non è l'affossatore del Vaticano II, come non lo hanno normalizzato o depotenziato nè Giovanni Paolo II nè Paolo VI''. ''Il Vaticano II - conclude il direttore del giornale pontificio - è stato ed è una grazia straordinaria. Così come un punto fermo sono i suoi documenti, 'al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti' ha ricordato Benedetto XVI. E' qui, proprio nella 'lettera', lo spirito del concilio. Secondo la dinamica della tradizione, in obbedienza allo Spirito che guida il cammino della Chiesa''.

SIR, Asca

Oltre la commemorazione

Bartolomeo I: la nostra presenza qui significa e segna il nostro impegno di testimoniare insieme il messaggio di salvezza e guarigione per i nostri fratelli più piccoli, i poveri, gli oppressi, gli emarginati nel mondo creato da Dio

La nostra presenza qui significa e segna il nostro impegno di testimoniare insieme il messaggio di salvezza e guarigione per i nostri fratelli più piccoli: i poveri, gli oppressi, gli emarginati nel mondo creato da Dio. Diamo inizio a preghiere per la pace e la salute dei nostri fratelli e sorelle cristiani che vivono in Medio Oriente. Nell’attuale crogiolo di violenza, separazione e divisione che va intensificandosi tra popoli e nazioni, che l’amore e il desiderio di armonia che dichiariamo qui, e la comprensione che cerchiamo con il dialogo e il reciproco rispetto, siano di modello per il nostro mondo”. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, è così intervenuto, questa mattina in Piazza San Pietro, al termine della Celebrazione Eucaristica per l’apertura dell’Anno della fede. Rivolto a Benedetto XVI, Bartolomeo I ha ricordato la “preghiera per l’unità” fatta da Gesù nel Getsemani, “custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa”, osservando che “attraverso i secoli siamo veramente stati custoditi con la potenza e l’amore di Cristo, e nel momento adatto della storia lo Spirito Santo è disceso su di noi e abbiamo iniziato il lungo percorso verso l’unità visibile desiderata da Cristo”. Il Patriarca ha fatto memoria del Concilio Vaticano II, “pietra miliare trasformante”, e dei cinquant’anni fino a oggi. “Abbiamo notato che per la Chiesa ortodossa questo è stato un periodo di scambi e di attese”, ha affermato ricordando “la convocazione delle prime Conferenze pan-ortodosse a Rodi” e le “Conferenze pre-conciliari in preparazione del grande Concilio delle Chiese ortodosse”, il “dialogo dell’amore” e “la Commissione internazionale congiunta per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa”. “Nel corso degli ultimi cinque decenni - ha aggiunto riferendosi alla Commissione congiunta - le conquiste raggiunte da quest’assemblea sono state varie, come è stato dimostrato da una serie d’importanti e influenti costituzioni, dichiarazioni e decreti. Abbiamo contemplato il rinnovamento dello spirito e ‘il ritorno alle origini’ attraverso lo studio liturgico, la ricerca biblica e la dottrina patristica. Abbiamo apprezzato lo sforzo graduale di liberarsi dalla rigida limitazione accademica all’apertura del dialogo ecumenico, che ha condotto alle reciproche abrogazioni delle scomuniche dell’anno 1054, lo scambio di auguri, la restituzione delle reliquie, l’inizio di dialoghi importanti e le visite reciproche nelle nostre rispettive sedi”.

SIR

INDIRIZZO DI SALUTO DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Il Papa: nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Ritornare ai valori del Concilio Vaticano II

"Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede": così Papa Benedetto XVI ha esordito nell'omelia della Santa Messa in Piazza San Pietro. Per fare memoria del Concilio, “che alcuni di noi qui presenti”, ha detto il Santo Padre, “hanno avuto la grazia di vivere in prima persona”, la cerimonia “è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa cattolica”. “Questi segni – secondo il Santo Padre – non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano a entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso”, "la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia". Il Papa ha sottolineato come l’Anno della fede sia “legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un ‘Anno della fede’ nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull’ansia apostolica di annunciarlo al mondo”.
"Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede", "è 'colui che dà origine alla fede e la porta a compimento'", "il vero e perenne soggetto dell’evangelizzazione". "Questa missione di Cristo - ha affermato il Papa -, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E’ un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo", "Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli". “Il Concilio Vaticano II – ha quindi evidenziato Benedetto XVI – non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo”. “Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla a ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine”, disse il servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare. E il Beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura, così presentò il fine principale del Concilio: “Che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace...È necessario che questa dottrina certa e immutabile, che dev’essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”.
“Durante il Concilio – ha ripreso Papa Ratzinger – vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio”. “Perciò – ha aggiunto – ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo”. ''Affinchè questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione - ha detto Papa Ratzinger -, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione''. "Per questo - ha proseguito - ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla 'lettera' del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne anche l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento”. “I Padri conciliari - ha aggiunto - volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del ìdepositum fidei', che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità”. Il Pontefice ha quindi evidenziato che “se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa”.
"In questi decenni è avanzata una 'desertificazione' spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, ai tempi del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E' il vuoto che si è diffuso", ha continuato Benedetto XVI. "Ma è proprio a partire dall'esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto - ha detto il Papa - si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c'è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada". Il Papa ha definito l’Anno della fede “un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione, ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono”. Il Papa, infine, ha affidato alla Madre di Dio l’Anno della fede: “La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione dell’Apostolo Paolo: 'La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre'. Amen”.

SIR, TMNews, Radio Vaticana

SANTA MESSA PER L’APERTURA DELL’ANNO DELLA FEDE - il testo integrale dell'omelia del Papa
 

Benedetto XVI presiede la Messa per l'apertura dell'Anno della fede. La processione dei concelebranti in ricordo di quella d'inizio del Concilio Vaticano II, 50 anni fa, e la consegna dei Messaggi all'umanità

Questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Celebrazione Eucaristica sul sagrato della Basilica Vaticana in occasione dell’apertura dell’Anno della fede, nel 50° anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II e del 20° anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Hanno concelebrato 80 cardinali, 15 Padri conciliari, 8 Patriarchi delle Chiese Orientali, 191 arcivescovi e vescovi che partecipano alla XIII Assemblea gnerale ordinaria del Sinodo dei vescovi, 104 presuli presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo. In attesa della celebrazione eucaristica, mentre la piazza si riempiva di fedeli, dalle 9 di questa mattina si sono alternati, sul sagrato della bBsilica di San Pietro, i canti del coro della Diocesi di Roma e la lettura di alcuni brani estratti dalle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II; a seguire la recita del Rosario fino al suono delle campane che hanno annunciato l’inizio della celebrazione. La Messa ha avuto inizio con la processione dei concelebranti in Piazza San Pietro, che ha richiamato la grande processione d'ingresso che l'11 ottobre 1962 ha dato inizio al Concilio Vaticano II. La prima lettura è stata pronunciata in inglese, il salmo responsoriale in italiano e la  seconda lettura in greco. Il Vangelo è stato proclamato in latino. La preghiera dei fedeli è stata pronunciata in spagnolo, cinese, arabo, portoghese, swahili. Al termine dell’orazione dopo la comunione, Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, ha rivolto un indirizzo di saluto al Papa e ai fedeli presenti. Era presente anche l'arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione Anglicana Rowan Williams. Quindi, prima della benedizione finale, il Santo Padre ha consegnato a rappresentanti delle diverse categorie i Messaggi del Concilio Vaticano II all’umanità e del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Bollettino Sinodo dei vescovi, SIR

Rowan Williams: l’abitudine alla contemplazione ci spoglia da una sconsiderata sensazione di superiorità nei confronti degli altri battezzati e dal pregiudizio che nulla abbiamo da imparare da loro

Ieri pomeriggio, durante la quinta Congregazione generale del Sinodo dei vescovi, alla presenza del Santo Padre, il presidente delegato ha dato la parola a Rowan Douglas Williams, Arcivescovo di Canterbury, Primate di tutta l'Inghilterra e della Comunione Anglicana. È la contemplazione la chiave della nuova evangelizzazione per Williams. L’arcivescovo di Canterbury sarà fino alla fine dell’anno il primate della Chiesa anglicana di Inghilterra. La nomina del suo successore sembra ancora in fase di stallo, e potrebbe non avvenire per mesi. In dieci anni alla guida della Chiesa anglicana, Williams ha dato nuova forza e vigore allo slancio ecumenico; ha dovuto fronteggiare le derive della sua Chiesa, dilaniata come non mai da una lotta tra progressisti e conservatori; ha stretto allo stesso tempo i legami con Roma. E forse la spiegazione migliore di come abbia fatto a rimanere saldo nella fede, nonostante le correnti avverse, è nel suo discorso, tutto da leggere, centrato sull’importanza della contemplazione. Perché, ha detto Williams,“la contemplazione rappresenta l’unica risposta definitiva al mondo irreale e folle che i nostri sistemi finanziari, la nostra cultura pubblicitaria e le nostre emozioni caotiche e incontrollate ci incoraggiano ad abitare. Imparare la pratica contemplativa significa imparare ciò di cui abbiamo bisogno per vivere fedelmente, onestamente e amorevolmente. Si tratta di un fatto profondamente rivoluzionario”. Come in fondo rivoluzionario è il messaggio del cristianesimo. Williams è partito da lontano, dalla “grande promessa” rappresentata dal Concilio Vaticano II cinquanta anni fa anche per quelli “al di là dei confini della Chiesa cattolica romana”, perché “la Chiesa si poneva delle domande sull’adeguatezza della propria cultura e delle proprie strutture per il compito di condividere il Vangelo con lo spirito complesso, spesso ribelle, sempre inquieto, del mondo moderno”. Era un liberarsi delle catene dell’interpretazione neoscolastica, un trovare un modo nuovo di guardare alla Chiesa. Un po’ come ieri, cinquant’anni dopo, ci dovremmo liberare delle catene delle interpretazioni del Concilio, come ha chiesto Benedetto XVI nell’Udienza generale di mercoledì. E che la sintonia tra Williams e Benedetto XVI sia enorme si comprende dalle citazioni del primate anglicano. Come Joseph Ratzinger teologo, così Williams guarda alla Chiesa delle origini per liberare dalle catene delle interpretazioni la Chiesa di oggi. Come Benedetto XVI, così Williams punta direttamente alla contemplazione, perché si evangelizza a partire dalla preghiera . “Essere convertiti alla fede – ha detto Williams – non significa semplicemente acquisire un nuovo bagaglio di credenze, ma diventare una persona nuova, una persona in comunione con Dio e con gli altri attraverso Gesù Cristo”. Evangelizzare significa mostrare “senza veli” al mondo il volto umano che riflette il volto del Figlio rivolto verso il Padre, e per questo – ha affermato il primate anglicano – si deve “a un impegno serio per la promozione di tale preghiera e di tali pratiche”. Che non significa – ammonisce Williams – “che una trasformazione “interiore” è più importante dell’azione a favore della giustizia; anzi, è una maniera di insistere sul fatto che la chiarezza e l’energia di cui abbiamo bisogno per fare giustizia ci richiede di lasciare spazio alla verità, affinché la realtà di Dio possa emergere. Altrimenti la nostra ricerca della giustizia o della pace si trasforma in un altro esercizio della volontà umana, insidiato dalla nostra umana capacità di ingannare noi stessi. Le due vocazioni sono inseparabili, la vocazione alla “preghiera e alla azione giusta”, come disse il martire protestante Dietrich Bonhoeffer, scrivendo dalla sua cella nel 1944. È un tema fondante anche del Pontificato di Benedetto XVI, che ha voluto fondare anche l’azione diplomatica della Santa Sede a partire dal concetto di verità. Perché è vero che l’agenda internazionale della Santa Sede è il bene comune, e che il centro della sua missione è lo sviluppo umano integrale. Ma è anche vero, ha sostienuto Williams, che “proclamare il Vangelo equivale a proclamare che in definitiva è possibile essere veramente umani: la fede cattolica e cristiana rappresenta un ‘vero umanesimo’”. Ma, si è chiesto il primate anglicano, facendo sua la domanda del teologo Henry de Lubac, “noi non sostituiamo il compito evangelico con una campagna di “umanizzazione”. “Umanizzare prima di cristianizzare? - scrive de Lubac in “Paradossi della fede" - Se l’impresa riesce, il cristianesimo giungerà troppo tardi: il suo posto sarà già stato occupato. E chi pensa che il cristianesimo non abbia un valore umanizzante?”. E allora, ha sostenuto Williams, “l’evangelizzazione, vecchia o nuova che sia, deve radicarsi in una profonda fiducia che tutti noi abbiamo uno specifico destino umano da mostrare e da condividere con il mondo”. È un’evangelizzazione che parte dalla contemplazione del volto di Dio, dallo stare al suo cospetto. Per questo il primate anglicano mostra grande simpatia per “i segni dei tempi”, rappresentati da movimenti e comunità di preghiera. “Quando la storia cristiana dei nostri tempi – ha affermato - verrà scritta in una prospettiva prevalentemente (anche se non esclusivamente) europea e nordamericana, ci renderemo conto del ruolo centrale e vitale di luoghi come Taizé oppure Bose, ma anche di comunità più tradizionali, che sono diventate punti nodali per l’esplorazione dell’umanità in un senso più ampio e più profondo di quanto chiedono le abitudini sociali. E le grandi reti spirituali, come Sant’Egidio, i Focolari, Comunione e Liberazione mostrano a loro volta lo stesso fenomeno: sono aperte a una visione umana più profonda poiché tutte, ciascuna a modo suo, offrono una disciplina di vita personale e comune il cui scopo è far sì che la realtà di Gesù diventi viva in noi”. Ha ricordato, Williams, il carisma di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari: “Che tutti siano uno”. Intende l’ecumenismo spirituale come “una ricerca condivisa per promuovere e per sviluppare discipline di contemplazione con la speranza di svelare il volto della nuova umanità”. E ha affermato: “L’abitudine alla contemplazione ci spoglia da una sconsiderata sensazione di superiorità nei confronti degli altri battezzati e dal pregiudizio che nulla abbiamo da imparare da loro. Nella misura in cui l’abitudine alla contemplazione ci aiuta ad avvicinare qualsiasi esperienza come un dono, dovremmo chiederci costantemente cosa un fratello o una sorella possono condividere con noi, anche quando il fratello o la sorella sono in un modo o nell’altro separati da noi oppure da ciò che consideriamo come la pienezza della comunione. 'Quambonum et quam iucundum'". È la contemplazione la chiave alla nuova evangelizzazione. Ha concluso Williams: “Se la nostra evangelizzazione non riesce ad aprire la porta a tutto ciò, rischierà di cercare di far poggiare la fede sul fondamento di un insieme non trasformato di abitudini umane...e il risultato ben noto sarà che la Chiesa apparirà disgraziatamente altrettanto ansiosa, affaccendata, competitiva e dominante quanto molte altre istituzioni puramente umane”. E allora “un’autentica iniziativa di evangelizzazione sarà sempre anche una nuova evangelizzazione di noi stessi come cristiani, una riscoperta del motivo per cui la nostra fede è diversa, perché trasfigura; insomma, un ripristino della nostra nuova umanità”. A conclusione di Congregazione, l’arcivescovo di Canterbury è stato ricevuto in udienza dal Santo Padre nello studio dell’aula del Sinodo.

Andrea Gagliarducci, Korazym.org

INTERVENTO DI SUA GRAZIA ROWAN DOUGLAS WILLIAMS, ARCIVESCOVO DI CANTERBURY, PRIMATE DI TUTTA L'INGHILTERRA E DELLA COMUNIONE ANGLICANA (GRAN BRETAGNA)

Prima sessione dei Circoli minori e quinta Congregazione generale. Tauran: occorrono cristiani motivati e preparati dal punto di vista dottrinale. Dziwisz: cuore di Dio misericordioso parla al cuore dell‘uomo

Nella mattinata di ieri sono iniziati i lavori dei Circoli minori della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, ai quali erano presenti 250 Padri sinodali, per l’elezione dei moderatori e dei relatori dei Circoli minori e per l’inizio della discussione sul tema sinodale. Per la lingua italiana ('Italicus') sono stati eletti i cardinali Angelo Bagnasco, Leonardo Sandri e Fernando Filoni come moderatori, mons. Rino Fisichella, mons. Bruno Forte e padre Renato Salvatore come relatori.
Alle 16.30 di ieri pomeriggio, con la recita del Salmo 22 (23), ha avuto inizio la quinta Congregazione generale, per la continuazione degli interventi dei Padri sinodali in Aula. Presidente delegato di turno era il card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa. A questa Congregazione generale, che si è conclusa alle 19.00 con la preghiera dell’Angelus Domini, erano presenti 250 Padri. Si è approfondito il confronto sul tema generale e su punti specifici dell'"Istrumentum laboris" del Sinodo. Numerosi gli argomenti affrontati nella prima parte: l'ecumenismo e il confronto interreligioso; il ruolo fondamentale del laicato e della famiglia nell'opera di evangelizzazione; la sequela di Cristo come cammino nel mondo e la missione come incontro con i popoli; la continuita con il Vaticano II in una società mutata nei cinquant'anni trascorsi dall'apertura dellfassise conciliare e la capacita della Chiesa di evangelizzare in tale mutato contesto; la scelta prioritaria del povero; la sua capacità di porre su se stessa e a se stessa la domanda identitaria di Gesù:"La gente chi dice che io sia?". Hanno preso la parola 16 Padri sinodali tra i quali tre cardinali, uno di curia, il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Jean-Louis Tauran, che ha aperto gli interventi, e due porporati arcivescovi residenti, il polacco Stanislaw Dziwisz di Krakow, e il bosniaco Vinko Puljic, di Vrhbosna, Sarajevo. Hanno portato il loro contributo anche due superiori generali di ordini religiosi, il gesuita padre Adolfo Nicolas Pachon e padre Josep Maria Abella Battle, dei missionari figli del cuore immacolato di Maria. “Di fronte ai seguaci di altre religioni con un’identità religiosa forte, occorrono cristiani motivati e preparati dal punto di vista dottrinale. Per questa ragione, la nuova evangelizzazione è una priorità, al fine di formare cristiani coerenti, capaci di rispondere della propria fede” ha detto nel suo intervento card. Tauran. Il porporato ha detto che i cristiani oggi devono far fronte a tre “sfide”: quella della “identità”, con le domande “chi è il mio Dio? La mia vita è in sintonia con le mie convinzioni?”; quella della “alterità”, col pensiero che “colui che pratica una religione diversa dalla mia, non è necessariamente un nemico, ma piuttosto un pellegrino della verità”; quella del “pluralismo”, col pensiero che “Dio opera in ogni persona, attraverso vie che solo Lui conosce”. Secondo il cardinale, “non si tratta di mettere tra parentesi la nostra fede, di arretrare di fronte alle persecuzioni e alle discriminazione” ma “denunciare con il massimo vigore la violenza”, aggiungendo che non mancano segni di speranza: “La rete televisiva Al Jazeera ha praticamente trasmesso in diretta i diversi incontri del viaggio apostolico del Papa in Libano, il cui messaggio ha potuto raggiungere così milioni di famiglie musulmane”. “Il cuore di Dio misericordioso parla al cuore dell‘uomo”. Per questo “la devozione alla Divina Misericordia” può essere “una delle vie” per la nuova evangelizzazione, ha affermato nel suo intervento il card. Dziwisz. Con riferimento all’"Instrumentum laboris", e alla necessità di “aiutare l’uomo ad uscire dal ‘deserto interiore’”, l’arcivescovo ha osservato che oggi la Chiesa “parla in modo più efficace quando si esprime col messaggio della Divina Misericordia” che tocca “il cuore dell’uomo chiuso in se stesso, impelagato nel peccato ed in un’apparente autosufficienza, ma invece in cerca di senso della vita e di motivi di speranza”. Proprio a Cracovia, segnata nel secolo scorso “dal dominio di sistemi totalitari atei e come tali disumani”, ha proseguito il porporato, “si fece sentire l’invocazione della misericordia”. Attraverso “un’umile religiosa, santa Faustina Kowalska”, e “un saggio e santo pastore, il card. Karol Wojtyla - Giovanni Paolo”, l’eterna verità “su Dio ‘ricco di misericordia’” è risuonata “nell’agitato mondo di oggi”. Secondo il card. Dziwisz, l’uomo è “riuscito a salvare in sé la sensibilità per una misericordia disinteressata. E proprio essa, la misericordia di Dio che si china sulla sua sorte, è in grado di farsi sentire e di toccare le corde più profonde del cuore umano”. Tra gli interventi seguiti a quelli del primate anglicano Willimas, c'è stato quello dellf'rcivescovo di Dublin, Diarmuid Martin, il quale ha voluto dare testimonianza della fratellanza mostrata dagli anglicani d'Irlanda con la Chiesa Cattolica in quel Paese, in momenti difficili segnati non solo dalle sfide della secolarizzazione, ma dagli scandali che ne hanno macchiato l'immagine. A conclusione dei lavori il cardinale presidente delegato ha informato i padri sinodali della pubblicazione dello speciale de L'Osservatore Romano sul Concilio Vaticano II, offerto a ciascuno dei partecipanti al Sinodo nelle edizioni in italiano e in inglese dalla Federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici e dal giornale, insieme con un rosario, dono della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, da utilizzare durante la processione che si tiene questa sera a San Pietro.

SIR, L'Osservatore Romano

CIRCOLI MINORI - PRIMA SESSIONE

QUINTA CONGREGAZIONE GENERALE

11 ottobre 1962, Giovanni XXIII apre il Concilio Ecumenico Vaticano II: sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora, ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente!

Pioggia e cielo coperto prima dell’alba, poi il primo raggio di sole. Il sole di una calda giornata di ottobre come solo Roma sa offrire. In quella mattina dell’11 ottobre 1962 andarono smentiti quanti avevano visto una similitudine meteorologica con il Concilio Vaticano I, iniziatosi sotto la pioggia. Ma allora, novantatré anni prima, era dicembre. Il Concilio Vaticano II invece si apriva sotto il sole. E forse Papa Giovanni lo aveva previsto, perché nel discorso di apertura, preparato in precedenza, dirà con felice immagine: “Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente!”. Sono le otto e trenta precise quando, dopo il rituale “Procedamus!” scandito dal Maestro delle cerimonie pontificie, esce dal Portone di Bronzo la grandiosa processione diretta alla Basilica di San Pietro. Un corteo variopinto lungo quasi quattro chilometri, uno spettacolo mai visto prima, un segno tangibile dell’universalità della Chiesa, seguito in tutto il mondo da milioni di persone grazie alla radio e alla televisione. Il campanone di San Pietro riversa i suoi rintocchi sulla piazza e gli fanno ecco all’unisono tutte le cattedrali di Roma e, nel medesimo istante, tutte le chiese sparse nei cinque continenti. Sfilano nei loro costumi i componenti della Guardia palatina, i gentiluomini di Sua Santità, gli avvocati concistoriali, gli uditori della Romana Rota, i gendarmi pontifici, e poi i superiori degli ordini religiosi, gli abati generali, i prelati “nullius”, i vescovi, gli arcivescovi (ed è un fiume di mitre bianche che avanza ondeggiando), i patriarchi, i cardinali. In tutto oltre tremila dignitari della Chiesa cattolica. I Padri conciliari, in quel giorno di apertura, sono 2.381. Tra essi il più anziano è mons. Alfonso Carinci. Centenario, è nato nel 1862, da bambino aveva cantato nel coro della cappella Sistina durante il Concilio Vaticano I. Assenti perché impediti a intervenire molti vescovi dell’Est europeo e della Cina (presenti solo i 44 espulsi dalle autorità cinesi) e i presuli della Corea e del Vietnam del Nord. Tra le assenze spiccano quelle del card. Mindszenty primate d’Ungheria e del metropolita degli Ucraini Jozef Slipyi. Giovanni XXIII ha rinunciato alla tiara per indossare anch’egli la mitra, vescovo tra i vescovi, e ha voluto compiere il primo tratto a piedi per poi salire sulla sedia gestatoria in modo da essere visto dalla moltitudine di fedeli che affolla la piazza. È scortato dalle guardie nobili e dalle guardie svizzere, dai sediari e dai mazzieri nel loro caratteristico costume. La banda della Guardia palatina intona l’inno papale quando il corteo fa il suo ingresso nella Basilica di San Pietro gremita all’inverosimile. Solo di delegazioni estere, quella italiana con a capo il presidente della Repubblica Antonio Segni, ne sono presenti 85. E poi invitati d’onore, rappresentanti di istituzioni internazionali, oltre mille giornalisti, 44 osservatori delegati dalle Chiese separate d’Oriente e dalle comunità protestanti. La Messa è celebrata dal cardinale decano Eugenio Tisserant, mentre la Cappella Sistina esegue il “Tu es Petrus” ed altre musiche del Palestrina. Al termine della celebrazione il Papa indossa i paramenti sacri e riceve l’obbedienza da parte degli 81 cardinali presenti seguita dalla professione di fede scandita prima dal Pontefice quindi collegialmente dai Padri conciliari. Si leva dall’assemblea l’antica preghiera dell’“Adsumus”, preghiera dell’unità nella verità di Dio e nella carità dei fratelli, invocazione di tutti i santi perché lo Spirito scenda sull’assise ecumenica e si degni di benedirla e governarla. Quindi l’allocuzione di Giovanni XXIII: “La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II”. Il “sogno” di Papa Giovanni, da quel primo annuncio del 25 gennaio 1959 in San Paolo, è diventato finalmente realtà e c’è nelle parole del Pontefice tutta quella carica di ottimismo e abbandono fiducioso a Dio, tipicamente giovannei, che lo portano a dire, in due distinti passaggi del discorso, che “illuminata dalla luce di questo Concilio...la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali”, e a dissentire da coloro che definisce “profeti di sventura”, i quali “annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”. Quella giornata dell’11 ottobre di cinquanta anni fa non era finita. Al tramonto, sul calar delle tenebre, una grande fiaccolata, in forma di croce, prende vita in pPazza San Pietro e si estende e si accresce grazie ad altri “fuochi” convergenti da piazze e viuzze adiacenti e soprattutto da via della Conciliazione. A organizzarla è stata l’Azione cattolica romana insieme con altre associazioni cattoliche. In quell’atmosfera fiabesca e quasi irreale il Papa appare nella “sua” finestra e pronuncerà quelle parole rimaste famose, omaggio francescano alla luna che si è affacciata anch’essa nel cielo “a festeggiare l’avvenimento” e pensiero premuroso per chi è giù, nella piazza, e per chi è rimasto a casa: “Ora farete bene a rincasare, la serata è fredda. Ma tornando a casa, fate una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza del Papa”. Parole semplici, dettate dal cuore, come un padre o un nonno particolarmente affettuosi potrebbero fare, ma straordinarie. E perciò rimaste nella memoria collettiva ed entrate anch’esse, a buon diritto, insieme ai discorsi più importanti e alle risoluzioni, nella storia del Concilio Vaticano II.

SIR

Ma la notte della vigilia piovve a dirotto