domenica 14 marzo 2010

Visita alla Chiesa luterana. Il Papa: l’unità non può essere fatta dagli uomini, dobbiamo affidarci al Signore. Non è vero che l'ecumenismo è fermo

“L’unità è un dono che ci può essere dato solo da Dio”: se “la nostra testimonianza viene oscurata dalla divisione”, “non dovremmo litigare ma cercare di essere più uniti” perché non è vero che “come dicono molti l’ecumenismo si è fermato”. Durante la visita alla Chiesa evangelica luterana in via Sicilia a Roma, Benedetto XVI ha ricordato che “ci sono tanti elementi di unità” tra cattolici e luterani. Per la seconda volta un Pontefice ha visitato la Christuskirkhe della capitale, dopo la preghiera tenuta nella Chiesa luterana da Giovanni Paolo II nel 1983. Oggi, ha precisato il Santo Padre, “ascoltiamo la stessa parola di Dio, guardiamo tutti insieme all’unico Cristo” animati dalla “speranza che questa unità possa essere sempre più profonda”. Tuttavia, ha aggiunto il Papa, “dobbiamo vedere anche che abbiamo distrutto noi la nostra unità, abbiamo diviso l’unico cammino in tanti cammini” ma “se siamo qui oggi è perché ascoltiamo la stessa parola di Dio, rendendo testimonianza dell’unico Cristo” e “ci rende tristi sapere che questa divisione è il risultato di una situazione peccaminosa ma dobbiamo anche sapere che l’unità è un dono che ci può essere dato solo da Dio”. “Ci domandiamo se dobbiamo odiare la nostra vita”, ha proseguito il Pontefice citando l’immagine del chicco di grano che muore per dare frutti: “in realtà possiamo e dobbiamo essere pieni di gratitudine per quello che Dio ci dà” e “se il Signore ci dice che dobbiamo odiare in qualche modo la nostra vita, vuole farci capire che la mia vita non è solo per me”; infatti, “la vita non è ricevere ma darsi” e “se non ci diamo all’altro non possiamo ricevere”. In questo senso, ha spiegato il Santo Padre, “siamo noi stessi solo quando ci diamo agli altri” e “questo cammino del chicco di grano è il cammino dell’amore e della salvezza”. Ed è proprio Gesù “il cammino, la verità e la vita” e “qui è già contenuto il concetto del noi” perché “questo cammino al suo seguito possiamo solo farlo insieme”.
“Non possiamo bere dallo stesso unico calice, non possiamo stare insieme intorno all’altare. Questo ci deve rendere tristi – ha concluso Benedetto XVI -, perché è una situazione peccaminosa, ma l’unità non può essere fatta dagli uomini: dobbiamo affidarci al Signore perché lui solo può darci l’unità”.
“Santità, oggi si senta a casa sua”. Con queste parole Doris Esch, presidente della Comunità luterana di via Sicilia a Roma, ha accolto ieri Benedetto XVI ricordando che la prima visita di Giovanni Paolo II nel 1983 “non l’abbiamo dimenticata”. Dopo il saluto introduttivo della Esch, il pastore della Chiesa luterana Jens-Martin Kruse ha affermato che “per noi è veramente un giorno della gioia” perché “siamo veramente contenti per questo evento e con grande gioia accogliamo il Papa”. Il Santo Padre, ha sottolineato Kruse, “conosce abbastanza bene la nostra chiesa e la nostra comunità, così come la nostra teologia luterana e la nostra spiritualità”; “viene in una chiesa che conosce bene” e “per noi lui è il vescovo di Roma e gli abbiamo rivolto questo invito già nel 2008” ma “il fatto che abbia accettato di pregare con noi ribadisce i rapporti cordiali con la Chiesa Cattolica”. Benedetto XVI ha donato alla chiesa luterana di Roma un mosaico che riproduce il 'Cristo Benedicente' delle Grotte Vaticane. In risposta, il pastore Kruse ha regalato a Papa Ratzinger una riproduzione della conca battesimale in bronzo con l'iscrizione della formula liturgica. Prima di lasciare la 'la Christus kirche', il Papa ha salutato in sacrestia alcuni membri emeriti della comunita' luterana della Capitale e ha partecipato a un piccolo rinfresco offerto dal pastore nella sua abitazione .

Il Papa: adesso Dio lo conosciamo, Egli non viene mai meno alla sua fedeltà e se noi ci allontaniamo e ci perdiamo continua a seguirci col suo amore

Dio è fedele all’uomo anche quando quest'ultimo si allontana da Lui. In Gesù Cristo Dio dona la riconciliazione. Se accettiamo questo dono possiamo diffondere questo messaggio e l’amore di Dio nel mondo. E’ quanto ha detto il Papa all'Angelus soffermandosi sul Vangelo di oggi, che in questa quarta domenica di Quaresima propone la parabola del padre e dei due figli, nota come parabola del “figlio prodigo”. Questa pagina di San Luca, ha detto il Papa, costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi. Infatti, si è domandato il Santo Padre, cosa sarebbero la nostra cultura, l’arte, e più in generale la nostra civiltà senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Questa parabola è per ogni uomo, per ogni figlio, un’esortazione ad affidarsi alla misericordia del Padre: “Rispecchiamoci nei due figli, e soprattutto contempliamo il cuore del Padre. Gettiamoci tra le sue braccia e lasciamoci rigenerare dal suo amore misericordioso”. La parabola del “figlio prodigo”, ha aggiunto il Papa, “non smette mai di commuoverci e ogni volta che l’ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre nuovi significati”. “Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. Dopo che Gesù ci ha raccontato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: Egli è il nostro Padre, che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo”. La relazione con Dio è quella tra il figlio e il Padre e ripercorre tappe presenti anche nel rapporto tra figli e genitori: “Per questo la relazione con Lui si costruisce attraverso una storia, analogamente a quanto accade ad ogni figlio con i propri genitori: all’inizio dipende da loro; poi rivendica la propria autonomia; e infine – se vi è un positivo sviluppo – arriva ad un rapporto maturo, basato sulla riconoscenza e sull’amore autentico”. Vi può essere una fase che è come l’infanzia: una religione mossa dal bisogno, dalla dipendenza. Via via che l’uomo cresce e si emancipa, "vuole affrancarsi da questa sottomissione e diventare libero, adulto, capace di regolarsi da solo e di fare le proprie scelte in modo autonomo, pensando anche di poter fare a meno di Dio". "Questa fase, appunto, è delicata, può portare all’ateismo, ma anche questo, non di rado, nasconde l’esigenza di scoprire il vero volto di Dio. Per nostra fortuna, Dio non viene mai meno alla sua fedeltà e, anche se noi ci allontaniamo e ci perdiamo, continua a seguirci col suo amore, perdonando i nostri errori e parlando interiormente alla nostra coscienza per richiamarci a sé". Nella parabola del “figlio prodigo”, ha poi ricordato il Santo Padre, i due figli si comportano in maniera opposta: il minore se ne va e cade sempre più in basso, mentre il maggiore rimane a casa, ma anche egli ha una relazione immatura con il Padre. I due figli rappresentano due modi immaturi di rapportarsi con Dio: “la ribellione e l’obbedienza infantile”. Entrambe queste forme si superano attraverso l’esperienza della misericordia: “Solo sperimentando il perdono, riconoscendosi amati di un amore gratuito, più grande della nostra miseria, ma anche della nostra giustizia, entriamo finalmente in un rapporto veramente filiale e libero con Dio”.

Radio Vaticana