giovedì 5 aprile 2012

Il Papa: nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà. Uniti a Dio siamo liberi

Questo pomeriggio, il Papa ha presieduto nella Basilica di San Giovanni in Laterano la concelebrazione della Santa Messa 'in Coena Domini' (nella Cena del Signore), inizio del Triduo Pasquale. Nel corso della liturgia, Benedetto XVI ha compiuto il rito della lavanda dei piedi a dodici sacerdoti della diocesi di Roma. Al termine della celebrazione si è svolta la processione con la reposizione del Santissimo Sacramento all'altare delle Reposizione, nella cappella di San Francesco. Al momento della presentazione dei doni è stata affidata al Pontefice una offerta tradizionale, destinata quest'anno all'assistenza umanitaria ai profughi siriani.
“Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé”, di esso fa parte “anche la notte oscura del Monte degli Ulivi”, "la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte", "il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato".
La notte, ha spiegato il Papa, "significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà", “è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita. Gesù entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità”. In quel momento, Gesù vuole con sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni, “i tre che avevano fatto esperienza della sua Trasfigurazione”. Sono loro che si chiedono: “Quale aspetto avrebbe avuto l’esodo di Gesù, in cui il senso di quel dramma storico avrebbe dovuto compiersi definitivamente?”. I discepoli "si addormentarono presto. Sentirono tuttavia alcuni frammenti delle parole di preghiera di Gesù e osservarono il suo atteggiamento. Ambedue le cose si impressero profondamente nel loro animo ed essi le trasmisero ai cristiani per sempre". Al momento di rivolgersi a Dio, ha sottolineato Benedetto XVI, "Gesù chiama Dio 'Abbà'. Ciò significa - come essi aggiungono - 'Padre'. Non è, però, la forma usuale per la parola 'padre', bensì una parola del linguaggio dei bambini - una parola affettuosa con cui non si osava rivolgersi a Dio. E' il linguaggio di Colui che è veramente 'bambino', figlio del padre, di colui che si trova nella comunione con Dio, nella più profonda unità con Lui". Secondo il Santo Padre, “l’elemento più caratteristico della figura di Gesù nei Vangeli” è “il suo rapporto con Dio. Egli sta sempre in comunione con Dio. L’essere con il Padre è il nucleo della sua personalità. Attraverso Cristo conosciamo Dio veramente". "Egli - ha aggiunto - è Padre, e questo in una bontà assoluta alla quale possiamo affidarci”. In realtà, ha detto Benedetto XVI, “Colui che è la Bontà, è al contempo potere, è onnipotente. Il potere è bontà e la bontà è potere”. "Matteo e Marco ci dicono che Egli 'cadde faccia a terra', assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio". Il Papa ha rimarcato: “I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in quel gesto anche la nostra fiducia che Egli vinca”. "Gesù lotta con il Padre. Egli lotta con se stesso. E lotta per noi. Sperimenta l'angoscia di fronte al potere della morte. Questo è innanzitutto semplicemente lo sconvolgimento, proprio dell'uomo e anzi di ogni creatura vivente, davanti alla presenza della morte. In Gesù, tuttavia, si tratta di qualcosa di più. Egli allunga lo sguardo nelle notti del male. Vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l'infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere. E' lo sconvolgimento del totalmente Puro e Santo di fronte all'intero profluvio del male di questo mondo, che si riversa su di Lui. Egli vede anche me e prega anche per me". Così “questo momento dell’angoscia mortale di Gesù è un elemento essenziale nel processo della Redenzione”. In questa preghiera, dunque, il Signore compie l’ufficio del sacerdote: prende su di se il peccato e “ci porta presso il Padre”. Quindi la riflessione del Papa si concentra sulle parole di Gesù sul Monte degli Ulivi. “Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. “La volontà naturale dell’Uomo Gesù indietreggia spaventata davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato”. Tuttavia, in quanto Figlio, “depone questa volontà umana nella volontà del Padre”. Con ciò “Egli ha trasformato l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo. L’atteggiamento di Adamo era stato: Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio”. “Questa superbia - ha chiarito Benedetto XVI - è la vera essenza del peccato. Pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da lui - questo è il nostro pensiero - solo allora saremmo liberi. E' questa la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita. Quando l'uomo si mette contro Dio - ha proseguito Benedetto XVI - si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente 'come Dio' - non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di lui o negandolo. Nella lotta della preghiera sul monte degli ulivi - ha detto il Papa - Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà. Preghiamo il Signore di introdurci in questo 'sì' alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi".

TMNews, SIR, Radio Vaticana

SANTA MESSA "NELLA CENA DEL SIGNORE" NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO - il testo integrale dell'omelia del Papa

Il Papa: la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento, non la disobbedienza. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso

Nella mattina di oggi, Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali. La Messa del Crisma è stata concelebrata dal Santo Padre con i cardinali, i vescovi ed i presbiteri, circa 1600, tra diocesani e religiosi. presenti a Roma. Nel corso della Celebrazione Eucaristica, i sacerdoti hanno rinnovato le promesse fatte al momento della Sacra ordinazione; quindi sono stati benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.
"In questa Santa Messa - ha detto Benedetto XVI nell'omelia - i nostri pensieri ritornano all'ora in cui il Vescovo, mediante l'imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo 'consacrati nella verità', come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre". Il Papa ha domandato: "Ma siamo consacrati anche nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo?". Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui”. E ancora ha aggiunto: “Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?”. In questo senso, ha spiegato, "è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. E' richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro - di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà - come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi?". "Di recente - ha detto il Papa - un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero - ad esempio nella questione circa l'Ordinazione delle donne, in merito alla quale il Beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove - per riportare la Chiesa all'altezza dell'oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di un vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?". "Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l'obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui - ha proseguito il Pontefice - stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l'arbitrio dell'uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l'autorità e la responsabilità singolari di svelare l'autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili". "Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada". "Lasciamoci interrogare ancora una volta", ha detto ancora Papa Ratzinger: "Non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l'immobilismo, l'irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell'epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l'inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l'azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l'essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell'obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell'amore". "Resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento". E se "la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande", nella storia della Chiesa ci sono sempre state delle "traduzioni" in "ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi". Si va da san Paolo "fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell'azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come 'dono e mistero'. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio". Il Papa ha ricordato poi altri due aspetti del sacerdozio. Il primo è il ministero dell'insegnamento. Nell'incontro dei cardinali in occasione del recente Concistoro "diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarlo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L'Anno della fede, il ricordo dell'apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un'occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia", ha raccomandato Benedetto XVI. "Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza", e inoltre "i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall'essere sfruttato fino in fondo". “Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori”, ha affermato Papa Ratzinger, che per rafforzare la portata di questo appello ha fatto riferimento a Sant’Agostino. “Che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso?", ha chiesto il Pontefice citando il Padre della Chiesa. "Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio – è stata la risposta di Benedetto XVI - per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso”. Il Papa ha posto infine l’attenzione sullo zelo per le anime, “un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata”. In alcuni ambienti, ha affermato, “la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena". Certamente, ha precisato, dobbiamo occuparci delle necessità fisiche, "degli affamati, dei malati, dei senza-tetto", ma non possiamo preoccuparci soltanto del corpo. Bisogna curarsi “della salvezza degli uomini in corpo e anima”. Quindi, l’esortazione ai sacerdoti a non guardare alla propria missione come fosse un semplice lavoro: “Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore".

TMNews, AsiaNews, Radio Vaticana

SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA - il testo integrale dell'omelia del Papa