martedì 5 giugno 2012

VIII Incontro Mondiale delle Famiglie. Card. Antonelli e il vescovo di Filadelfia già al lavoro per il 2015: obiettivo famiglia negli Stati Uniti

Da Milano a Filadelfia: dall’Italia agli Stati Uniti, l’Incontro Mondiale delle Famiglie tornerà tra tre anni sulla sponda americana dell’Oceano Atlantico. Dopo Roma (1994), Rio de Janeiro (1997), ancora Roma (2000), Manila (2003), Valencia (2006) Città del Messico (2009) e la metropoli lombarda, la scelta per l’appuntamento del 2015 è caduta sulla città degli States dove furono redatte la dichiarazione di Indipendenza e la Costituzione. Per la terza volta nella storia di questo avvenimento, si torna nelle Americhe, ma sara la prima nella nazione a stelle e strisce. A ben vedere, se si eccettua quello nelle Filippine, l’Incontro Mondiale delle Famiglie si è sempre tenuto tra Europa e Americhe: da un lato le motivazioni potrebbero essere ricercate anche in una logistica più semplice da gestire, ma dall’altro deve far riflettere il fatto che si punti su società occidentali, dove la cultura della famiglia è sempre più messa in discussione. "La scelta del Papa - dice a L'Osservatore Romano il card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia - mira evidentemente a ridare slancio alla pastorale della famiglia negli Stati Uniti". In America, spiega, "ci sono effettivamente molte associazioni pro life che svolgono un lavoro importante e una vivace pastorale della famiglia, specie per ciò che riguarda la preparazione al matrimonio, che va di pari passo con un significativo sostegno della Chiesa alle famiglie in difficolta. L’appuntamento del 2015 sarò dunque occasione per sviluppare queste dimensioni. Un impegno reso necessario a causa delle grandi sfide, e delle conseguenti difficoltà, poste dal costume e dalle ideologie che sembrano imporsi in questo momento storico". Forse, nota, a Filadelfia "non ci saranno i numeri che hanno caratterizzato i precedenti incontri mondiali; il raduno comunque servira proprio a ridare slancio alla pastorale delle famiglie negli Stati Uniti e maggiore fiducia ai cattolici d’America". Per il card. Antonelli con l’appuntamento a Filadelfia si intende "continuare a stimolare la riflessione, a tutti i livelli, su cosa sia la famiglia oggi. Prima, infatti era scontato. Ora non lo è più. Bisogna lavorare sul fronte culturale, su quello giuridico, sostenere le associazioni familiari e il loro impegno". A questo proposito rende noto che il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha organizzato, nel mese di ottobre, un incontro tra professori universitari e vescovi per far parlare insieme il mondo accademico e quello ecclesiale. "Le famiglie - continua - devono diventare esse stesse protagoniste della pastorale che le riguarda, oltre che soggetto di evangelizzazione; agli studi e all’impegno si devono accompagnare i fatti, le esperienze, i nuovi fermenti che si muovono nella società". Mentre per quanto riguarda l’eredità dell’Incontro di Milano appena terminato, il porporato non ha dubbi: "Il Papa ci ha detto quanto è bello stare dentro questa Chiesa viva. E la Chiesa e viva grazie alla gente". Da parte sua l’arcivescovo di Filadelfia si mostra entusiasta per la notizia. "Sono felice per la mia diocesi - spiega - e ho aderito con gioia. Non ci nascondiamo le difficoltà che ci sono per la Chiesa. Ma questo incontro rappresenta un’opportunità da non perdere. In questo nostro grande Paese si sta cercando di svilire il significato vero del matrimonio cristiano - aggiunge - e dunque cogliere questa opportunita per noi e importante". Francescano cappuccino, figlio di una nativa americana della tribù Potawatomi e di un discendente di San Luigi IX di Francia, mons. Chaput e dal 2011 alla guida dell’arcidiocesi di Filadelfia, con i suoi quattro milioni di abitanti, di cui un milione e mezzo cattolici. "E' sempre una grande benedizione servire il Papa - conclude - e adoperarci per far si che il suo messaggio e i suoi insegnamenti siano sempre piu conosciuti nel nostro Paese".

Gianluca Biccini, L'Osservatore Romano

Lombardi: iniziato interrogatorio dell’istruttoria formale a Paolo Gabriele, imputato di furto aggravato. Smentita collaborazione prima dell'arresto

Briefing in gran parte tecnico oggi nella Sala Stampa della Santa Sede per la vicenda della diffusione di documenti riservati vaticani. Insieme al direttore, padre Federico Lombardi, a spiegare alcune questioni di carattere giuridico ai giornalisti c’era il prof. Paolo Papanti-Pelletier, giudice del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Oggi è iniziato l’interrogatorio dell’istruttoria formale a carico di Paolo Gabriele, l’aiutante di Camera del Papa imputato di furto aggravato, un reato che, ha detto il prof. Papanti-Pelletier, prevede una reclusione da 1 a 6 anni con una circostanza aggravante e da 2 a 8 anni, con 2 o più circostanze aggravanti. Attualmente si sta indagando anche sul fatto se i documenti pubblicati siano autentici o falsi e se siano stati diffusi da una o più persone. Padre Lombardi ha ribadito che per il momento non sono partite dal Vaticano rogatorie. Paolo Gabriele si trova in una delle quattro camere di sicurezza esistenti nel territorio vaticano in condizione di custodia cautelare; una situazione che può durare 50 giorni, prorogabili di altri 50. Domenica si è potuto recare a Messa in una chiesa del Vaticano. La fase istruttoria, a differenza di quella dibattimentale, ha detto il prof. Papanti-Pelletier, non è pubblica, come accade, o dovrebbe accadere, in Italia, a garanzia dell'imputato.Il direttore della Sala Stampa ha poi smentito seccamente due notizie: quella secondo la quale Paolo Gabriele avrebbe iniziato la sua collaborazione con la giustizia vaticana prima dell'arresto, trasformandosi così in una sorta di "agente doppio", ipotesi definita “assolutamente infondata e non plausibile”, ovvero una sciocchezza. La seconda notizia smentita riguarda il tentativo, definito “infondato e indegno”, di coinvolgere il card. Bernard Law nel caso di Emanuela Orlandi.

Radio Vaticana

VIII Incontro Mondiale delle Famiglie. Mons. Chaput: nonostante tutto il Papa in persona ha deciso di puntare su Filadelfia, perciò sono ben contento

La scelta di Filadelfia, in Pennsylvania, per l’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie nel 2015 ha in parte sorpreso per la dimensione della città e per lo scandalo della pedofilia. “Tre mesi fa circa ho ricevuto una lettera del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che ci chiedeva se Filadelfia fosse stata interessata a diventare sede del prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie. Sono tempi difficili per la nostra diocesi, anche dal punto di vista finanziario. Di conseguenza ero un po’ preoccupato”. A raccontarlo, in un’intervista su www.family2012.com, mons. Charles Chaput (nella foto con Benedetto XVI), arcivescovo di Filadelfia. Nella risposta, il presule ha fatto presente i “problemi, sia finanziari che logistici, dal momento che si tratta di gestire un evento con centinaia di migliaia di persone… Sei settimane fa, ci hanno scritto nuovamente da Roma, dicendo che erano pervenute le risposte delle altre diocesi candidate. La lettera spiegava che le difficoltà finanziarie e gestionali erano perfettamente comprensibili, ma che, ciononostante, il Papa in persona aveva deciso di puntare su Filadelfia”. Per l’arcivescovo, “questo pronunciamento di Benedetto XVI” è “una decisione dello Spirito Santo e, perciò, sono ben contento di preparare un evento che, pur in tempi difficili, sarà di pace, gioia e amore”.

SIR

"Il Papa ha scelto Filadelfia, nonostante tutto"

Prosegue la ricerca di colui che sostituirà definitivamente Ettore Gotti Tedeschi alla presidenza dello Ior. Verso l'ascesa dei Cavalieri di Colombo

Mentre l’“aiutante di camera” Paolo Gabriele, ascoltato in queste ore in Vaticano dopo il via libera dei suoi avvocati perché sospettato di aver trafugato e diffuso documenti riservati del Papa, è stato sostituito dall’altro aiutante Sandro Mariotti, detto “Sandrone”, prosegue la ricerca del nome di colui che nei prossimi mesi andrà a sostituire definitivamente il banchiere Ettore Gotti Tedeschi alla presidenza dell’Istituto per le opere di religione. E’, infatti, cosa assodata che l’incarico concesso al tedesco Ronaldo Hermann Schmitz è soltanto una tappa intermedia verso la scelta di colui che i membri del consiglio di sovrintendenza dell’Istituto, nel documento che sfiducia Gotti Tedeschi, hanno scritto dovrà essere “un nuovo ed eccellente presidente”. Sono tante le ipotesi sul tavolo anche se, secondo molti oltre il Tevere, la soluzione verrà trovata all’interno dello stesso board dell’Istituto. Difficilmente, insomma, si pescherà fuori. Oltre a Schmitz, del board fanno parte Manuel Soto Serrano del Banco Santander, il notaio torinese Antonio Maria Marocco e il leader del facoltoso movimento statunitense dei Cavalieri di Colombo Carl Anderson. Tra questi il nome più accreditato sembra quello di Anderson, anche perché è reale la volontà vaticana di superare il passato: non, dunque, un italiano, e tanto meno un banchiere dello stesso gruppo di provenienza di Gotti Tedeschi, il Santander spagnolo, appunto. Semmai, se esiste un nome in grado di contrastare l’ascesa di Anderson, questo va ricercato fuori dal board e precisamente in quell’Hans Tietmeyer, ex presidente della Bundesbank e membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali che tanto è stimato dal suo connazionale Joseph Ratzinger. Ma, dicono di lui in Vaticano, “è comunque molto anziano, e pare già da tempo fuori dai giochi”. I Cavalieri di Colombo sono un gruppo cattolico che gode di grande stima in Vaticano. Capaci di convogliare oltre il Tevere ingenti quantità di offerte a supporto del Papa, contano 1,8 milioni di aderenti nel mondo. Nati negli Stati Uniti negli anni Venti fondando principalmente centri ricreativi (come i nostri oratori), sono stati voluti a Roma da Papa Benedetto XV che li elogiò pubblicamente per il loro sostegno alla Catholic University of America, per l’assistenza discreta e di retrovia ai vescovi americani, per il lavoro caritatevole svolto durante la Prima guerra mondiale. Da Benedetto XV a Benedetto XVI, dunque, la fedeltà al Pontefice è rimasta immutata, tanto che nel corso del Pontificato wojtyliano è culminata con il finanziamento poderoso messo in campo per la ristrutturazione della facciata della Basilica vaticana di San Pietro: “Erano 350 anni che nessuno la ristrutturarava”, scrivono nel loro sito web, dove ricordano anche che la stessa facciata ha “una superficie tre volte più grande di un campo di football”. Informa il blog di cose religiose ilmondodiannibale.globalist.it che i Cavalieri sono organizzazione conservatrice, impegnata in modo deciso sul fronte pro-life, e che continua ad appoggiare, col placet vaticano, la linea dura dell’episcopato americano contro la politica sanitaria del presidente Barack Obama. I Cavalieri gestiscono un immenso patrimonio assicurativo negli Stati Uniti che ha ricevuto nel 2011, per il diciannovesimo anno consecutivo, la tripla AAA dall’agenzia di rating Standard & Poor’s, il massimo del riconoscimento, e per il trentaseiesimo anno di seguito è stato premiato con il punteggio più alto (A++) da un’altra agenzia di rating, Am Best. Negli ultimi anni i Cavalieri hanno risanato i bilanci esangui della Santa Sede con decine di milioni di dollari, e ora potrebbero aspirare alla presidenza dello Ior. Ma c’è di più: il movimento che hanno messo in campo va oltre lo Ior e arriva a coinvolgere l’intero episcopato mondiale. L’appoggio di Anderson e dei Cavalieri ai vescovi americani è un appoggio a un’idea di chiesa precisa. Una chiesa combattiva e che non arretra di fronte alle sfide della contemporaneità. I Cavalieri sono l’esercito di retrovia di una schiera di vescovi, quelli appunto statunitensi, fortemente saldi sulla dottrina e nello stesso tempo creativi nella modalità di trasmissione della dottrina stessa. Tra questi l’arcivescovo Timothy Dolan di New York, voluto dalla maggioranza dei suoi confratelli a capo della Conferenza Episcopale americana.

Paolo Rodari, Il Foglio

VII IMF-Il Papa a Milano. La famiglia Colzani pranza con Benedetto XVI: desideroso di superare i limiti della stanchezza per partecipare al meglio

Di Papa Benedetto XVI, la famiglia Colzani, ora possiede un ricordo tutto per sé. Quello di un Pontefice "pacato, mite, quasi timido verrebbe da dire. Molto lontano dalla figura autoritaria che gli si accosta", giura il capofamiglia. Alfonso Colzani, 53 anni, insegnante di religione, che con la moglie Francesca Dossi e i loro quattro figli ha avuto il privilegio, domenica, di pranzare con Joseph Ratzinger, durante il VII Incontro Mondiale delle Famiglie. I coniugi Colzani, dal 2009, hanno assunto la responsabilità dell'Ufficio della diocesi di Milano per la famiglia, e la loro nomina rappresentò una novità di rilievo, visto che per la prima volta questo ruolo veniva affidato a dei laici. Solo una settimana fa hanno saputo che, rispetto alle altre centinaia di migliaia di fedeli attesi a Milano, avrebbero avuto un incontro molto più ravvicinato col Ppontefice. "Di sicuro per noi - racconta Colzani - un bellissimo ricordo. Era visibilmente stanco, sia per l'impegno di queste giornate, sia per l'età, ma abbiamo avuto la fortuna di incontrare un Papa tranquillo, sereno, accogliente, per nulla severo e coinvolto nelle discussioni. Desideroso di superare anche i propri limiti, dovuti alla stanchezza, per partecipare al meglio". Il pranzo si è svolto in arcivescovado, sotto il loggiato del cortile dei canonici, e oltre al Santo Padre, cardinali e vescovi, erano presenti, insieme ai Colzani, altre sei famiglie da tutto il mondo. Da Bagdad, Kinshasa, Congo, da Città del Messico, dalla Spagna e da Philadelphia. Menù eccellente ma sobrio, risotto alla milanese, vitello tonnato, crostata, e pochi e scelti invitati oltre ai più stretti collaboratori del Papa. Al termine del pranzo la famiglia inverighese, che si trovava in un dei tavoli accanto a quello del Pontefice, ha potuto scambiare qualche parola con lui. E Benedetto XVI ha conosciuto un po' di più Alfonso Colzani e i figli, d'età compresa tra i 15 e i 25 anni, Zeno, Matteo, Camilla e Lia. Facendo ricordare subito il suo passato di insegnante. "Si è informato sui loro studi - prosegue - mettendoli a loro agio. Ha voluto sapere come si chiamassero e che scuole frequentassero e ha avuto per loro parole di incoraggiamento. Gli ha ricordato che lo studio è molto importante e che nella vita occorre essere preparati e competenti". Con i genitori, invece, si è soffermato proprio su questo aspetto, l'essere famiglia, quello che Alfonso e Francesca Colzani affrontano ogni giorno tanto a casa quanto nel loro impegno.

La Provincia di Como.it

E' morto il card. Rodolfo Ignacio Quezada Toruño. Telegramma di cordoglio del Papa: ha servito la Chiesa in modo intenso e generoso

Si è spento ieri mattina in un ospedale di Città del Guatemala il cardinale Rodolfo Ignacio Quezada Toruño: aveva 80 anni. L’arcivescovo emerito di Guatemala è deceduto per un arresto cardiaco post-operatorio. "Mi unisco a voi con ferventi preghiere di suffragio - scrive il Papa nel telegramma di cordoglio all'arcivescovo Oscar Julio Vian Morales, di Guatemala - affinché il Signore conceda la sua pace a colui che così intensamente e generosamente ha servito la Chiesa nel suo ministero pastorale, quale guida della Diocesi di Zacapa e Prelato di Santo Cristo di Esquipulas, e successivamente quale Arcivescovo della sede metropolitana di Guatemala". "Con la fede nel mistero pasquale di Cristo che illumina e ricolma di speranza i momenti di dolore, e il ricordo di un pastore dedito alla missione evangelizzatrice, mi è grato impartire di cuore a quanti piangono questa grande perdita, una speciale Benedizione Apostolica". Nel Paese latinoamericano sono stati proclamati tre giorni di lutto nazionale; il presidente Otto Perez ha definito il porporato “un grande combattente della pace e della riconciliazione” ricordandolo come uno dei fautori dei negoziati di pace che nel 1996 hanno portato alla fine della guerra civile, che in 36 anni ha provocato oltre 200mila morti. Le esequie saranno celebrate giovedì 7 giugno alle 10.00 nella Cattedrale Metropolitana. Dopo la sua morte, il Collegio cardinalizio risulta composto da 209 porporati, di cui 122 elettori e 87 non elettori.

Radio Vaticana, VIS Notizie

Dopo essere stato scoperto il maggiordomo Paolo Gabriele può aver accettato di collaborare per far scoprire mandanti e beneficiari dei furti di carte

E' in programma oggi l'interrogatorio a Paolo Gabriele (nella foto con Benedetto XVI). Intanto, però, lo scandalo che ha colpito la Santa sede si arricchisce di dettagli. Potrebbe essere chiarito, innanzitutto, il motivo per cui il maggiordomo del Papa abbia deciso di tenere nel suo appartamento copia dei documenti trafugati dalla stanza di Benedetto XVI. Una scelta apparentemente suicida ma che forse potrebbe nascondere l'esistenza di un patto segreto. L'ipotesi è che, dopo essere stato scoperto, Gabriele abbia accettato di collaborare per far scoprire mandanti e beneficiari dei suoi furti. Le autorità avrebbero così acquisito prove da usare nella rogatoria per l'Italia con la quale si chiede di contestare ai complici di Gabriele reati come la violazione della corrispondenza papale. E l'interrogativo è sempre lo stesso: perchè l'uomo che per anni ha vissuto all'ombra del Pontefice, nonostante fosse ormai noto che la Gendarmeria fosse sulle tracce di chi aveva trafugato gli atti, custodiva nella sua abitazione privata copie di incartamenti pronti a essere consegnati? Una scelta suicida che potrebbe avere diverse spiegazioni, ma una sembra prendere corpo più delle altre e tiene conto dell'esito del processo canonico al quale Gabriele deve essere sottoposto. La procedura potrebbe concludersi con la sua richiesta di perdono al Papa. Istanza che sarebbe accolta in virtù di un patto segreto che lo stesso Gabriele avrebbe siglato, accettando di collaborare e di indirizzare l'inchiesta verso mandanti e beneficiari. Un accordo che consente alle autorità vaticane di arrivare ai complici italiani scongiurando il rischio che possano restare impuniti. Le nubi sulla testa di Gabriele si addensarono circa sei mesi fa, quando si concretizzò il sospetto che fosse lui la fonte di alcune notizie pubblicate sui giornali. Indiscrezioni che poi furono prontamente negate. Ma qualche settimana dopo, durante la trasmissione "Gli Intoccabili" di Gianluigi Nuzzi su La 7 furono mostrate alcune lettere private di Benedetto XVI. E le accuse, in un primo momento bollate come calunnie, presero corpo. L'indagine venne affidata a Domenico Giani, comandante della Gendarmeria. Seguirono pedinamenti e intercettazioni, ma nell'entourage più vicino a Papa Ratzinger, il nome del 'corvo' sembrava essere già noto. Dopo l'uscita dei primi documenti si era infatti deciso di gettare un'esca, sicuri che avrebbe potuto fornire la prova regina. Così, in alcuni plichi fu inserita la copia di un documento trattato soltanto all'interno dell'appartamento papale. Un atto che non aveva bisogno di essere "vistato" da altri uffici o comunque inviato alla Segreteria di Stato. Dunque accessibile soltanto per chi si muoveva tra quelle stanze. Quando si scoprì che fu portato all'esterno, i dubbi diventarono certezza: il traditore era Paolo Gabriele. Ma cosa rischia il maggiordomo? Violare la corrispondenza papale è considerato reato grave. Gabriele ha la doppia cittadinanza e se le autorità vaticane decidessero di chiedere collaborazione alla giustizia italiana rischierebbe una condanna alta, anche la carcerazione. Ecco allora profilarsi l'ipotesi di un accordo che però deve rimanere segreto per avere valore, nascosto anche a chi sta conducendo le indagini. Gabriele assume le vesti di agente 'doppio', che continua a trattare con mandanti ed emissari, ma ha come vero obiettivo di portarli allo scoperto. Fra i mandanti alcuni sono italiani, ma senza elementi concreti nei loro confronti è impossibile far partire una rogatoria e chiedere che siano perseguiti per reati come furto, ricettazione e concorso nella violazione delle prerogative di Benedetto XVI. Il maggiordomo, dunque, iniziò a muoversi con maggiore disinvoltura, concordando appuntamenti facilmente rintracciabili tanto che almeno uno di questi incontri sarebbe stato documentato. E continuò a maneggiare lettere e documenti. Lo scorso 23 maggio la svolta: gli uomini guidati da Giani entrarono nel suo appartamento e lo arrestarono. "Custodiva casse di documenti", hanno fatto sapere dalla Santa Sede. Qualche giorno dopo si scoprì che nella sua casa, Gabriele aveva svariati incartamenti già pronti per la consegna e un elenco di destinatari. Nomi che dovrebbe confermare durante l'interrogatorio formale che sarà poi inserito integralmente nella rogatoria per l'Italia.

Lettera43

Giovedì la celebrazione del Corpus Domini presieduta dal Papa. Vallini: testimoniare la fede e l'unità della Chiesa di Roma intorno al suo vescovo

“In un momento in cui la Sede di Pietro è fatta oggetto di gravi e ingiuste illazioni, che disorientano la gente, desideriamo elevare al Signore la nostra fervente preghiera per tutti, perché ci conceda il dono dell’unità e della pace”. È quanto si legge nella lettera inviata ai parroci dal card. Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, per invitarli alla Solennità del Corpus Domini. Giovedì prossimo, alle 19.00, il Papa celebrerà infatti l’Eucaristia sulla Piazza di San Giovanni in Laterano e presiederà la tradizionale processione fino a Santa Maria Maggiore. Il card. Vallini esorta i parroci romani a “partecipare numerosi a questo momento ecclesiale, per ringraziare il Signore del dono inestimabile dell’Eucaristia, per testimoniare pubblicamente la nostra fede e l’unità della Chiesa di Roma intorno al suo vescovo”. Ultimo invito, quello ad adoperarsi “perché tutti i fedeli che possono, siano facilitati ad intervenire”.

SIR

Corpus Domini con il Papa, l'invito del card. Vallini

Libretto della Celebrazione

Carte trafugate, veleni, arresti: in Vaticano è in atto un violento scontro con al centro il potente card. Bertone. E tutto ricade addosso al Papa

C'è del metodo in questa follia. Da quando il maggiordomo di Sua Santità è finito in prigione, lo spettacolo è improvvisamente cambiato. Al centro della scena non c'è più la disputa sul contenuto delle carte trafugate. Ci sono i ladri. Intenti a tramare all'ombra di un vegliardo vestito di bianco. "Eliminata la giustizia, che cosa sono i regni se non una grande banda di ladri?". La frase è di Sant'Agostino, ma è stato Benedetto XVI a citarla nella sua prima Enciclica, la "Deus caritas est" del 2005. Non sapeva che sette anni dopo sarebbe diventata questa l'immagine pubblica del Vaticano. Una cittadella devastata dalle ruberie, senza più un angolo inviolato, nemmeno quel "sancta sanctorum" che dovrebbe essere lo scrittoio privato del Papa. I trafugatori veri o presunti di carte vaticane dichiarano in coro ai giornali, sotto anonimato, che hanno agito così proprio per amore del Papa, per aiutarlo a far pulizia. Ed è vero che nessuna delle malefatte messe a nudo nei documenti coinvolge la sua persona. Ma è ancor più vero che tutto ricade addosso a lui, inesorabilmente. Il Papa teologo, delle grandi omelie, del libro su Gesù, è lo stesso che regna su una Curia alla deriva, sentina di "egoismo, violenza, inimicizia, discordia, gelosia", di tutti i vizi da lui stigmatizzati nell'omelia della scorsa domenica di Pentecoste e in tante altre sue precedenti prediche inutili. E' lo stesso Papa che volle come segretario di Stato il card. Tarcisio Bertone e continua a tenerlo al suo posto nonostante ne verifichi l'inadeguatezza ogni giorno di più. In Vaticano, oggi, il confine tra gli atti illeciti e quelli di puro malgoverno si è fatto molto sottile, quasi nullo. La prova clamorosa è di questi giorni. Il maggiordomo pontificio Paolo Gabriele era appena stato messo agli arresti per furto di documenti nell'appartamento papale, quando dentro e attorno all'Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana, si è consumato uno scontro di inaudita violenza, registrato con altrettanta brutalità prima in un comunicato ufficiale della stessa Santa Sede e poi in un documento interno deliberatamente fatto filtrare alla stampa, affinché il mondo sapesse che il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, era stato sfiduciato da tutti gli altri membri del consiglio di sovrintendenza della banca. Ed era stato sfiduciato, si è letto, per manifesta incapacità a svolgere il suo ruolo, per frequente abbandono del posto di lavoro, per ignoranza colpevole dei suoi doveri, per comportamento personale "sempre più bizzarro", naturalmente anche per sospetta diffusione di documenti riservati, insomma, per un totale di nove capi di accusa sul filo dell'insulto, messi ai voti e approvati uno per uno dal board di rinomati consiglieri: il tedesco Ronaldo Hermann Schmitz della Deutsche Bank; l'americano Carl Albert Anderson dei Cavalieri di Colombo; lo spagnolo Manuel Soto Serrano del Banco di Santander e l'italiano Antonio Maria Marocco, notaio a Torino e ultimo cooptato. I primi tre, nel 2009, avevano dato un convinto sostegno alla nomina di Gotti Tedeschi a presidente dello Ior. E il sostegno l'avevano mantenuto fino a poco tempo fa, quando erano già aspri i contrasti fra Gotti Tedeschi e il direttore generale della banca, Paolo Cipriani, uomo forte della vecchia guardia. Da sei mesi i due non si parlano più. Il comunicato con l'annuncio della sfiducia a Gotti Tedeschi terminava dicendo che il giorno dopo, venerdì 25 maggio, si sarebbe riunita la commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior, la sola che può rendere esecutiva la mozione dei consiglieri. La riunione in effetti c'è stata, ma senza alcun comunicato finale. Formalmente Gotti Tedeschi non è stato ancora destituito, e sta affilando le armi per dire le sue ragioni. Ma intanto il conflitto si è spostato dove più conta, dentro la commissione dei cardinali. Dove c'è Bertone che ne è il presidente, ma c'è Attilio Nicora che non è quasi mai andato d'accordo con lui, e c'è Jean-Louis Tauran che da ex ministro degli Esteri della Santa Sede non ha mai digerito l'affidamento della Segreteria di Stato a un non esperto in diplomazia come appunto Bertone. Gli altri due cardinali della commissione vivono l'uno in India, Telesphore Placidus Toppo, e l'altro in Brasile, Odilo Pedro Scherer. Assenti giustificati. Tra Bertone e Nicora l'ultimo terreno di scontro è stata la normativa introdotta nella Città del Vaticano per l'ammissione alla "white list" internazionale degli Stati con i più alti standard di contrasto al riciclaggio di denari sporchi. La legge, la 127 nella numerazione vaticana, entrò in vigore il 1° aprile 2011, e contestualmente Benedetto XVI, con un Motu Proprio, dotò il Vaticano di un'Autorità di Informazione Finanziaria, presieduta da Nicora, con poteri di controllo assoluti su ogni movimento di denari compiuto da qualsiasi ufficio interno o collegato con la Santa Sede, Ior e segreteria di Stato compresi. Ma appena questa normativa fu varata, subito partì la controffensiva. Il management dello Ior, la Segreteria di Stato e il Governatorato obiettarono che con essa il Vaticano perdeva la sua sovranità e diventava una "enclave" di poteri esterni bancari, politici e giudiziari. Affidarono a un avvocato americano di loro fiducia, Jeffrey Lena, la riscrittura della legge, e l'inverno scorso, per decreto, ne fecero entrare in vigore una seconda stesura, che limitava i poteri ispettivi dell'Autorità di Informazione Finanziaria. Nicora e Gotti Tedeschi giudicano la nuova legge 127 "un passo indietro" che costerà alla Santa Sede la non ammissione alla "white list". Un primo responso delle autorità internazionali sulla normativa antiriciclaggio in vigore in Vaticano è atteso per luglio. E si vedrà a chi darà ragione. Intanto però in Vaticano è guerra. Al card. Bertone si rinfaccia anche la campagna da lui condotta nel 2011 per l'acquisto, con i denari dello Ior, del San Raffaele, l'ospedale d'avanguardia creato a Milano da un discusso sacerdote, don Luigi Verzé, precipitato in una voragine di debiti. All'inizio Gotti Tedeschi appoggiò l'offerta d'acquisto, ma molto presto passò tra gli oppositori, tra i quali c'erano i cardinali Nicora e Angelo Scola, neoarcivescovo di Milano, e lo stesso Benedetto XVI, contrarissimi all'acquisto non solo per il coinvolgimento diretto della Santa Sede in un affare mondano troppo lontano dai suoi fini spirituali ma anche perché nel San Raffaele e nell'annessa università si praticano attività e si impartiscono insegnamenti in plateale contrasto con la dottrina cattolica, e non possono certo essere sostituiti in blocco medici, scienziati e professori. Alla fine Bertone si è arreso e il San Raffaele è stato acquistato da un imprenditore italiano di prima grandezza nel settore della sanità, Giuseppe Rotelli. Ma per l'esuberante Segretario di Stato, il sogno di creare un polo ospedaliero cattolico sotto il controllo e la guida del Vaticano è duro a morire. Come prova l'altra sua impresa fallita: la conquista del Gemelli, il policlinico romano dell'Università Cattolica del Sacro Cuore divenuto famoso nel mondo per aver ospitato e curato Giovanni Paolo II. Per la conquista del Gemelli c'era un passaggio obbligato: il controllo dell'istituto fondatore e promotore dell'Università Cattolica, il Toniolo, a sua volta controllato dalla Conferenza Episcopale italiana e tradizionalmente presieduto dall'arcivescovo di Milano. Il Toniolo era da anni l'obiettivo di un arrembaggio, che mirava ad estromettere con ogni mezzo i suoi esponenti più legati al cardinale che fu presidente della CEI fino al 2007, Camillo Ruini. L'attacco che nel 2009 colpì Dino Boffo, membro del Toniolo e direttore del quotidiano della CEI Avvenire, con accuse di omosessualità poi riconosciute false dallo stesso giornale che le aveva pubblicate, fu il momento più feroce di questa lotta. Bertone non lo difese. Peggio, il direttore del giornale edito dalla Segreteria di Stato vaticana, L'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, investì di critiche Boffo, in una spietata intervista al Corriere della Sera, proprio nel momento cruciale dell'attacco contro di lui. Non ci sarebbe stato bisogno, oggi, di leggere le accorate lettere scritte da Boffo in quel frangente, comparse tra le carte trafugate al Papa. La dinamica sostanziale dei fatti era già allora sotto gli occhi di tutti. L'operazione San Raffaele, l'attacco a Boffo, la tentata conquista del Gemelli, la pretesa di Bertone di scavalcare la CEI nel ruolo di guida della Chiesa in Italia. Tutto si tiene. Nel 2010 l'incontenibile Segretario di Stato, vantando un presunto mandato di Benedetto XVI, addirittura intimò per iscritto al card. Dionigi Tettamanzi di lasciare la presidenza del Toniolo. L'arcivescovo di Milano si inalberò. E Benedetto XVI diede ragione al secondo, dopo aver chiamato davanti a lui entrambi i contendenti. Anche questo carteggio è stato trafugato e reso pubblico. Ma anche qui la storia era già nota. Oggi la presidenza del Toniolo è pacificamente passata al successore di Tettamanzi sulla cattedra di Milano, il card. Scola. In una lettera pubblica ai vescovi di tutto il mondo, nel 2009, Benedetto XVI ammonì: "Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi gli uni gli altri". Aveva ripreso queste parole da San Paolo. Perché anche nella cristianità delle origini c'erano contrasti feroci. E anche con Gesù, tra gli apostoli, c'era chi si azzuffava per posti di potere e c'era chi protestava contro lo sperpero dell'unguento prezioso versato sui piedi del Maestro, invece che "venderlo e dare il ricavato ai poveri". Benedetto XVI ha la finezza e l'umiltà di non identificare mai se stesso con Gesù. Ma di associarsi a lui sì. Lo scorso 21 maggio, al brindisi di un pranzo con i cardinali, ha concluso fiducioso: "Siamo nella squadra del Signore, quindi nella squadra vittoriosa". Ma che fatica, quando tutto gli gioca contro, anche "mascherato col bene". Subito prima, ai cardinali aveva citato Sant'Agostino: "Tutta la storia è una lotta tra due amori: amore di se stesso fino al disprezzo di Dio; amore di Dio fino al disprezzo di sé". E aveva aggiunto: "Siamo in questa lotta e in essa è molto importante avere degli amici. Per quanto mi riguarda, io sono circondato dagli amici del collegio cardinalizio, mi sento sicuro nella loro compagnia". Anche padre Federico Lombardi ha garantito, il 29 maggio: "Non c'è nessun cardinale tra gli indagati o i sospettati". Ma senza scomodare i gendarmi, non tutti i cardinali "amici" giocano in squadra come il Papa si aspetta.

Sandro Magister, L'Espresso

Card. Bertone: attacchi mirati, a volte anche feroci, ma il Papa è un uomo mite, di grande fede e preghiera, non si lascia certo intimorire

"Benedetto XVI è un uomo che ascolta tutti; è un uomo che va avanti fedele alla missione che ha ricevuto da Cristo". Lo ripete spesso il card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, parlando di Papa Ratzinger. E lo ha ripetuto anche ieri sera, rispondendo alle domande di Alberto Maccari, direttore del Tg1, in una intervista andato in onda alle 20.00. "E vorrei anche sottolineare il fatto che - ha aggiunto - Benedetto XVI, come tutti sanno, è un uomo mite, di grande fede e di grande preghiera. Non si lascia certo intimorire dagli attacchi, di qualsiasi genere, e anche dalle dure incrostazioni dei pregiudizi". Il card. Bertone ha colto l’occasione offertagli dalla richiesta di un bilancio dell’Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano, al quale egli ha partecipato al fianco del Papa, rivoltagli dal telegiornale della prima rete della televisione italiana per ribadire alcuni concetti. Così rispondendo a una specifica domanda sulla possibilità che le vicende che trovano tanto spazio sui media in questi giorni siano "illazioni strumentali per arrivare ad attaccare la Chiesa e il Papa", il Segretario di Stato ha ricordato che "gli attacchi strumentali ci sono sempre stati, in tutti i tempi: li ricordo anche per quanto riguarda la mia esperienza di Chiesa, ad esempio ai tempi di Paolo VI, che non sono poi così lontani. Questa volta, però, sembra siano attacchi più mirati, a volte anche feroci, dilanianti e organizzati". A proposito dello stato d’animo con il quale il Papa vive questo momento, il cardinale si è soffermato sulla sua grande forza morale, che addirittura "sostiene quanti gli sono vicini e lavorano al suo fianco". Un conforto decisivo gli viene dal sentire "il grande affetto della gente. Specialmente in questi giorni, ha sentito un affetto plenario della gente che gli sta vicino, dei giovani e delle famiglie con i bambini", come per esempio gli è stato manifestato proprio nelle giornate milanesi, durante le quali la gente "applaudiva freneticamente il Papa". Anzi "mi sembra che il viaggio a Milano - ha puntualizzato il porporato - gli abbia dato ulteriore forza. Inoltre, voglio sottolineare una parola che ha ripetuto tante volte, anche proprio prima di partire dal cortile dell’arcivescovado di Milano: è la parola 'coraggio'. L’ha detta agli altri, l’ha detta ai giovani, ai giovani che cercano di formare una famiglia; l’ha detta alle famiglie in difficoltà e l’ha detta anche alle autorità, e lo dice a tutta la Chiesa. Questa parola la dice perché è convinto interiormente, è la sua forza che gli viene dalla fede e dall’aiuto di Dio, e quindi dice a tutti: 'coraggio!'. E lo ha detto anche ai terremotati. Ripeto: vorrei che interiorizzassimo questa parola accanto al Papa, sotto la guida del Papa". Effettivamente i tre giorni milanesi hanno concentrato in modo eccezionale l’attenzione dell’opinione pubblica, "forse - ha ipotizzato Maccari - per la coincidenza con l’inchiesta interna vaticana di cui abbiamo parlato tutti e in cui si è vista una grande prova di trasparenza per il Vaticano". Puntuale la risposta del card. Bertone: "Questo è anche vero. Ricordo proprio il sabato sera, quando tornavamo dal parco Bresso, dalla grande adunata della sera, verso il Duomo di Milano. Ero con il card. Scola ed eravamo vicini in macchina. Abbiamo visto le vetrate del Duomo di Milano illuminate, e abbiamo commentato immediatamente: 'Questa è la Chiesa, una casa luminosa, nonostante tutti i difetti di persone nella Chiesa'. La trasparenza, però, è un fatto di impegno, un fatto di solidarietà gli uni con gli altri, di fiducia. Non è un atto di cinismo o un atto di superficialità: non basta venire a conoscenza di alcuni documenti e pubblicare documenti parziali per conoscere la piena verità sui fatti. Spesso avviene proprio questo: che le chiarificazioni sono frutto di un lavoro di dialogo, di rapporti personali e anche di conversione del cuore, che non risultano semplicemente dalle carte o dalla burocrazia. Le carte sono importanti, ma i rapporti personali lo sono molto di più. Ciò che c’è di più triste in questi eventi e in questi fatti è la violazione della privacy del Santo Padre e dei suoi più stretti collaboratori. Vorrei però dire che questi non sono stati e non sono giorni di divisione ma di unità, e vorrei anche aggiungere che sono anzitutto giorni di forza nella fede, di ferma serenità anche nelle decisioni. È il momento della coesione di tutti coloro che vogliono servire veramente la Chiesa". Come ha dimostrato l’avvenimento di Milano, durante il quale "abbiamo sperimentato tutti - ha sottolineato il Segretario di Stato - questa manifestazione straordinaria di amore al Papa e di accompagnamento, di sostegno a lui e al suo magistero, alla sua opera, la gioia e l’entusiasmo attorno a lui. Ho visto tantissima gente che si commuoveva, anche per le strade di Milano. Pensiamo alle strade di Milano il venerdì o il sabato, quindi nel weekend, e non soltanto nelle grandi adunate dello stadio o del parco di Bresso. Era davvero dappertutto. È stata, quindi, una bella manifestazione di amore al Papa in questo particolare momento ed un atto di stima per Benedetto XVI, che è stato non a caso chiamato 'il grande allenatore' della grande squadra della Chiesa universale per i campionati del terzo millennio. Ha avuto una 'standing ovation' che nessun giocatore, nessun allenatore e nessun protagonista della vita sociale o artistica ha avuto". Un’ovazione che ha realmente reso felice il Papa. "Era molto contento - ha confidato il cardinale - e anche molto commosso".

L'Osservatore Romano

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