mercoledì 27 gennaio 2010

Il Patriarca ortodosso della Serbia: è giunto il momento di un incontro con il Papa. L'ipotesi di un viaggio per i 1700 anni dell'Editto di Milano

Irinej, il nuovo Patriarca della Chiesa ortodossa serba, ha ribadito il desiderio di incontrare il Papa Benedetto XVI, sostenendo che ''è giunto il momento per un tale incontro'' che potrebbe avvenire in Serbia. ''Anche prima si parlava di una possibile visita del vescovo di Roma. La nostra posizione era allora che non era ancora arrivato il tempo e che bisognava aspettare una occasione migliore. Ora invece ritengo che bisogna salutare tali colloqui'', ha detto Irinej citato oggi dalla stampa di Belgrado. ''Forse è arrivato il momento che gli uni e gli altri ci diciamo quello che abbiamo da dire, e che poi gli uni e gli altri riflettiamo su tutto'', ha aggiunto il Patriarca serbo secondo il quale ''le divisioni non sono cose positive''. E ''la divisione tra Oriente e Occidente dura da secoli''. Un incontro è quindi indispensabile per cominciare ad esaminare i problemi sul tappeto. Per affrontare e esaminare i problemi, ha sottolineato Irinej, è necessario incontrarsi e parlare. ''Come ci si può avvicinare senza parlarsi e entrare in contatto?''. Nei giorni scorsi, alla vigilia della sua elezione alla carica di Patriarca della Chiesa serba al posto di Pavle, il Patriarca morto il 15 novembre scorso all'età di 95 anni, Irinej, esprimendo il desiderio di incontrare il Pontefice, aveva detto che un suo possibile viaggio in Serbia potrebbe avvenire nel 2013 in occasione delle celebrazioni per i 1700 anni dall'Editto di Milano (313) col quale l'imperatore romano Costantino accolse il Cristianesimo. Tali festeggiamenti sono in programma a Nis, città del sud della Serbia, dove nacque Costantino e della quale Irinej e' stato vescovo fino alla sua elezione a Patriarca.

Ansa

Benedetto XVI: dalla memoria del dramma della Shoah un più convinto rispetto della dignità di ogni persona perché gli uomini siano una sola famiglia

“Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!”. Con questo appello, pronunciato al termine dell’Udienza generale di questa mattina prima dei saluti in lingua italiana, il Papa ha ricordato il “dramma della Shoah”, nella Giornata della Memoria, che si celebra oggi. “Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oświecim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti”, ha esordito Benedetto XVI. “Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti – ha proseguito - rivelarono al mondo l'orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista”. Il Papa poi ha ricordato che il “Giorno della Memoria” si celebra “in ricordo di tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli Ebrei, e in onore di quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida”. “Con animo commosso – le parole del Pontefice - pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani”. “La memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico – l’auspicio del Papa - susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia”. Poi l’augurio finale, sotto forma di preghiera: “Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più simili tragedie!”.

SIR

Il Papa: Francesco gigante della santità e uomo del dialogo che insegna l'amore per Dio e il creato. Rinnova la Chiesa solo in comunione con il Papa

“Un gigante della santità”: è una delle tante, ammirate, definizioni che Benedetto XVI ha dedicato a San Francesco. La vita e la straordinaria testimonianza di carità del Poverello di Assisi sono state al centro della catechesi dell’Udienza generale di questa mattina in Aula Paolo VI. San Francesco, ha affermato il Papa, resta un affascinante modello di santità, di gioia cristiana, di dialogo interreligioso, di amore per la Chiesa e per il Creato. “Nacque al mondo un sole”. Le migliaia di persone presenti in Aula Paolo VI hanno sentito il Papa fare suo lo stupore di Dante Alighieri, che settecento anni fa, in una terzina della Divina Commedia, usò questa espressione per parlare della nascita di San Francesco. Un Santo di caratura universale, per il quale ci si è sforzati lungo i secoli di coniare appellativi che provassero a restituirne la grandezza. “Alter Christus”, “fratello di Gesù”. Benedetto XVI li ha ricordati e ripetuti, spesso alternando al testo scritto riflessioni spontanee permeate di genuino entusiasmo verso il Santo di Assisi, del quale ha sintetizzato così l’ideale più intimo dell’anima: “Essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali". "La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali”. Ripercorrendo le fasi più importanti della sua vita, la conversione, la rinuncia ai beni materiali per il bene di Dio, il viaggio a Roma da Innocenzo III, il Papa si è soffermato con una digressione a braccio sul “forte simbolismo” che avvolge l’episodio avvenuto nella chiesa diroccata di San Damiano, quando per tre volte il Crocifisso chiede a Francesco di riparare la sua “Chiesa in rovina”. “Lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante". "Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo”. Connessa a ciò, ha proseguito Benedetto XVI, va considerata anche “la grande deferenza” che il Santo di Assisi nutrì verso i sacerdoti, anche quelli “poco degni”, per via del loro potere di rendere presente Cristo nell’Eucaristia, così come il rispetto nei riguardi del Pontefice di Roma. Francesco, ha osservato Benedetto XVI, non rinnovò la Chiesa “contro il Papa” ma assieme a lui poiché “il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo Mistico, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei Santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo”. Con l’approvazione pontificia, consolidata dai successori di Innocenzo III, l’Ordine francescano cresce e si ramifica arrivando a testimoniare il proprio carisma ben più in là dei villaggi dell’Italia centrale dov’era sorto. Ed emblematica diventa la missione che Francesco compie in Egitto per predicare il Vangelo al cospetto di un sultano musulmano: “In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il cristianesimo e l’islam, Francesco, armato solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo". "È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione”. Francesco muore alla Porziuncola, “sulla nuda terra” ha ricordato il Papa, la sera del 3 ottobre 1226. Nemmeno per un istante muore invece la sua eredità spirituale. Il suo essere un “uomo gioioso” semplice e umile, innamorato di Cristo, diventa uno stile che suscita un numero infinito di seguaci. E non muore quel “senso della fraternità universale” che si traduce per Francesco nel “Cantico delle creature” e per l’umanità di oggi, ha affermato Benedetto XVI, in un “messaggio molto attuale”. “Come ho ricordato nella mia recente Enciclica "Caritas in veritate", è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente, e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto dell’ambiente”. Resta, dunque, di San Francesco il tratto della “perfetta letizia”, che lo rese un uomo “lieto in ogni situazione”. Da questo, ha concluso il Papa, comprendiamo "il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio”.

Radio Vaticana

L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa