sabato 29 gennaio 2011

Joseph Ratzinger firmò nel 1970 con nove teologi un documento in cui si chiedeva una verifica e una riflessione sul vincolo del celibato sacerdotale

Il giovane Joseph Ratzinger firmò nel 1970 un documento nel quale venivano sollevati dubbi sul celibato sacerdotale. Il memorandum, datato 9 febbraio 1970 e firmato dal futuro Papa assieme ad altri nove teologi, venne inviato a tutti i vescovi tedeschi: "Le nostre riflessioni riguardano la necessità di una verifica urgente e di una diversa riflessione sul vincolo del celibato della Chiesa latina per la Germania e della Chiesa universale per il mondo intero". Il contenuto del documento è stato pubblicato dalla Sueddeutsche Zeitung sotto il titolo: "I dubbi del giovane Ratzinger". A voler aprire il dibattito sul celibato vi erano illustri teologi, da Karl Rahner a Otto Semmelroth, fino a Karl Lehmen e Walter Kasper. I teologi motivavano la loro perplessità in particolare con la mancanza di vocazioni di giovani preti: se queste sono troppo poche, "la Chiesa ha l'obbligo di procedere consapevolmente a qualche modifica" della regola. Nel testo, comunque, i firmatari ripetono più volte che con la loro petizione non vogliono in alcun modo condizionare alcuna decisione che porti all'abolizione del vincolo del sacerdozio senza matrimonio.

TMNews

Cinquemila bambini della 'Carovana della Pace' domani in Piazza San Pietro per l'Angelus. Insieme a due di loro Benedetto XVI libererà due colombe

Ci saranno anche i circa cinquemila bambini e ragazzi romani della tradizionale Carovana della Pace tra i fedeli che domani ascolteranno le parole di Benedetto XVI all'Angelus in Piazza San Pietro. Al termine della preghiera mariana il Papa libererà due colombe, consegnategli da due ragazzi dell'Azione cattolica ragazzi, che prima leggeranno un messaggio di pace. I bambini e ragazzi dell'Acr di Roma, insieme ai loro educatori, genitori e coetanei delle scuole e delle parrocchie della città, si ritroveranno alle 8.30 a Piazza Navona. Da lì, dopo varie attività di animazione, tra cui lo scambio di messaggi di pace, partiranno in corteo attraversando le vie del centro, accompagnati dallo slogan 'Contiamo sulla pace', per raggiungere Piazza San Pietro. Qui il cardinale vicario Agostino Vallini rivolgerà un saluto ai ragazzi e alle loro famiglie e ai rappresentanti dell'associazione diocesana. Alle 12.00, poi, la preghiera dell'Angelus guidata dal Pontefice. Durante la mattinata i piccoli dell'associazione romana consegneranno le offerte raccolte nelle parrocchie di appartenenza durante il mese di gennaio. Quanto raccolto sarà destinato in parte a favore di un orfanotrofio gestito delle suore Ancelle dell'Immacolata Concezione nella Diocesi Cattolica di San Giuseppe in Siberia, in parte al 'Centro di crisi per bambini di strada' di San Pietroburgo, nel quale sacerdoti cattolici e ortodossi lavorano insieme prendendosi cura di bambini che, per diversi motivi, vivono situazioni di abbandono, solitudine e disagio sociale.

IMGPress

Videomessaggio del Papa alla Pontificia Università 'Santo Tomas' di Manila: fede e ragione parte di un approccio realmente integrato all'istruzione

La gratitudine del Papa per quei sacerdoti, religiosi e laici che “hanno tramandato a generazioni di filippini” la “fede, la conoscenza e la saggezza” che possono essere rintracciate nelle “scienze religiose e secolari”. Si esprime così Benedetto XVI nel videomessaggio inviato ai docenti, studenti ed ex alunni della Pontificia Università “Santo Tomas” di Manila, nelle Filippine, che ieri hanno solennemente celebrato i 400 anni di fondazione dell’ateneo, alla presenza dell’inviato pontificio, il card. Zenon Grocholewski. Come sapete, ricorda Benedetto XVI, “l'Università di Santo Tomas è il più antico istituto di istruzione superiore cattolica in Estremo Oriente e continua a svolgere un ruolo molto importante nella Chiesa in tutta la regione". Tenendo presente, prosegue il Papa, che "la fede e la ragione sono sempre parte di un approccio realmente integrato” per ciò che concerne l'istruzione, “confido che la vostra Università – conclude – continuerà a contribuire alla formazione intellettuale, spirituale e di arricchimento culturale delle Filippine e non solo”.

Conclusa la visita apostolica nell’arcidiocesi di Armagh. Murphy-O’Connor: ho ascoltato anche voci di integrità di buoni sacerdoti, di fede e speranza

Il card. Cormac Murphy-O’Connor (nella foto con Benedetto XVI), arcivescovo emerito di Westminster, martedì ha terminato la visita apostolica, iniziata il 10 gennaio, nell’arcidiocesi irlandese di Armagh. Il porporato era stato nominato dalla Santa Sede per "supervisionare – riferisce L’Osservatore Romano – la visitazione apostolica" dopo i casi di abusi sui minori commessi da esponenti del clero. "Mi trovo qui – ha affermato Murphy-O’Connor durante il rito di penitenza e guarigione nella Cattedrale di Saint Patrick – su invito del Papa". "Il Santo Padre – ha proseguito – ha espresso la sua profonda tristezza in merito alla dolorosa ferita dell’abuso di minori e adulti vulnerabili nella Chiesa in Irlanda". Il porporato ha invitato a pregare per l’effusione dei doni dello Spirito Santo e ha sottolineato "il senso di tradimento e di dolore di quanti hanno subito abusi". "Ho ascoltato anche voci di onestà e di integrità di varie persone e di buoni sacerdoti" e, ha aggiunto, "voci di fede e la determinazione a perseverare nell’edificazione della Chiesa in questa diocesi". Soprattutto "ho ascoltato le voci di speranza". Dopo il rito di penitenza e guarigione, il card. Séan Baptist Brady, arcivescovo di Armagh, ha guidato il gesto umile e solenne della lavanda dei piedi ai fedeli presenti.

Avvenire

Il Papa: i Santi non un ornamento che riveste la Chiesa dall’esterno, ma come i fiori di un albero che rivelano la inesauribile vitalità della linfa

"I Santi non sono un ornamento che riveste la Chiesa dall'esterno, ma sono come i fiori di un albero che rivelano la inesauribile vitalità della linfa che lo percorre". Lo ha detto Benedetto XVI ricevendo in udienza la Comunità del Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano. Il Papa, ricordando, con le parole del Concilio Vaticano II, che "la santità si colloca nel cuore stesso del mistero ecclesiale ed è la vocazione a cui tutti siamo chiamati", ha poi sottolineato: "E' bello contemplare così la Chiesa, in modo ascensionale verso la pienezza del 'vir perfectus', in continua, faticosa, progressiva maturazione; dinamicamente sospinta verso il pieno compimento in Cristo". “Nonostante il carattere proprio della vocazione di ciascuno”, ha poi osservato, “non siamo separati tra di noi; siamo invece solidali in comunione all’interno di un unico organismo spirituale”. Cristo, ha detto ancora, ha “conquistato” la nostra vita. E tuttavia “non sopprime le qualità caratteristiche della persona”. Al contrario, ha concluso il Pontefice, “le eleva, le nobilita e, facendole sue, le chiama a servire il suo mistero e la sua opera”. Ai sacerdoti e seminaristi di Etiopia e Eritrea, il Papa ha indicato il modello del fondatore dell'istituto che li ospita in Vaticano, San Giustino De Jacobis, del quale ricorre il 150° anniversario della morte. "Missionario in Etiopia, nel Tigrai, prima ad Adua e poi a Guala, dove pensò subito a formare preti etiopi, dando vita ad un seminario chiamato 'Collegio dell'Immacolata', con il suo zelante ministero operò instancabilmente perchè quella porzione di popolo di Dio ritrovasse il fervore originario della fede, seminata dal primo evangelizzatore, San Frumenzio". "Giustino intuì con lungimiranza che l’attenzione al contesto culturale doveva essere una via privilegiata sulla quale la grazia del Signore avrebbe formato nuove generazioni di cristiani. Imparando la lingua locale e favorendo la plurisecolare tradizione liturgica del rito proprio di quelle comunità, egli si adoperò anche per un’efficace opera ecumenica”. Si è così soffermato sull’attività del Pontificio Collegio che sostiene i seminaristi “nel loro impegno di preparazione teologica, spirituale e pastorale”. Ha esortato i sacerdoti formati a Roma a “suscitare in ciascuno l’amore a Dio e alla Chiesa”, una volta rientrati nella comunità d’origine o quando accompagnano i connazionali emigrati all’estero. Seguendo l’esempio di San Giustino, ha soggiunto, sappiate che per voi sacerdoti e seminaristi “è tracciata la via della santità”. “Voi siete un segno di speranza, specialmente per la Chiesa nei vostri Paesi di origine. Sono certo che l'esperienza di comunione vissuta qui a Roma - ha detto Papa Ratzinger - vi aiuterà anche a portare un prezioso contributo alla crescita e alla pacifica convivenza delle vostre amate Nazioni".

Agi, Radio Vaticana


La cattedra di Ambrogio. Martiniani, ciellini e outsider: Benedetto XVI sceglie la guida per la diocesi di Milano, una delle più importanti al mondo

Il nunzio vaticano in Italia, Giuseppe Bertello, ha pronte le lettere da spedire a tutti i vescovi della Lombardia e a quei cardinali che in Italia sono a capo delle Conferenze Episcopali regionali. Saranno inviate a ore. Lo scopo è chiedere a tutti i destinatari tre nomi per la successione di quella che è una tra le diocesi più importanti del mondo, Milano (foto). Dicono in città: “Qui il sindaco è un Re e il vescovo è come un Papa”. Forse oggi non è più così, ma il convincimento popolare non è senza senso: all’apertura di ogni conclave, qualsiasi sia il Pontefice il cui regno si è appena concluso, e chiunque sieda sulla cattedra di Ambrogio e Carlo, c’è un nome che tutti gli osservatori sono obbligati a inserire nella lista dei papabili: il nome dell’arcivescovo di Milano.I tempi sono ormai stretti. Il prossimo 14 marzo il card. Dionigi Tettamanzi compirà 77 anni e dopo i due anni di proroga che Papa Ratzinger gli ha concesso, su sua esplicita richiesta, alla guida della chiesa ambrosiana, sarà chiamato a lasciare. In diocesi da Roma ancora ufficialmente non è stato comunicato nulla, ma l’impressione è che tutto potrebbe essere deciso addirittura entro e non oltre marzo stesso. Di qui la domanda che tanto agita le notti di gran parte di coloro che compongono il collegio cardinalizio: chi dopo Tettamanzi? Una domanda non da poco perché, secondo il pensiero di molti, è anche intorno a questa scelta che si gioca una parte importante del futuro della chiesa. Beninteso: non che il successore di Benedetto XVI, quando sarà, sarà per forza il prossimo arcivescovo di Milano. Anzi, in pochissimi oggi scommetterebbero su un esponente italiano. Ma è innegabile che se la scelta del Papa per Milano sarà di quelle considerate di primo piano (e non, dunque, un nome di ripiego o di “transizione”), il designato assumerà un ruolo e un’autorevolezza decisivi all’interno del collegio cardinalizio prima e durante il futuro conclave. Più prima che durante, ovviamente. Infatti, il regno di Papa Ratzinger sembra destinato a durare ancora parecchio. Il tempo, dunque, è propizio per lavorare bene, per riportare la diocesi che fu di San Carlo Borromeo e poi di cardinali come Ferrari, Schuster e Montini ai fasti di un tempo. E, insieme, tessere le migliori strategie in vista dell’elezione del prossimo successore di Pietro. Una volta che i vescovi e i cardinali avranno risposto, mons. Bertello sottoporrà le loro preferenze al Papa, il quale le valuterà con attenzione. Anche se poi farà di testa sua. Agirà autonomamente. Qui più che altre volte. Si dice infatti nella Curia romana che Joseph Ratzinger, soprattutto per la nomina di Milano, non intende restare invischiato nei rivoli delle diverse correnti ecclesiali le quali, come è logico che sia, lavorano per candidati differenti. Tarcisio Bertone è il primo collaboratore del Papa. Quando l’11 ottobre scorso Papa Ratzinger scelse Cesare Nosiglia quale successore di Severino Poletto a Torino, in molti dissero, non senza sbagliare, che il Papa, per la prima volta, disattese il volere di Bertone che a Torino voleva Giuseppe Versaldi, vescovo di Alessandria. Nosiglia, dissero in molti, era invece nei desiderata del cardinale Camillo Ruini. Vi fu chi lesse in quella nomina un segnale che qualcosa dentro il pontificato stava cambiando: Joseph Ratzinger prendeva maggiore autonomia dal suo primo collaboratore. La verità, è banale dirlo, sta nel mezzo: il Papa decide sempre in autonomia e i consigli del suo segretario di stato li ascolta, spesso assecondandoli, ma altre volte discostandosene. Nella nomina di Torino si è discostato. Ma non così ha fatto qualche mese dopo, quando ha dovuto scegliere il vescovo di un’altra grande e importante diocesi: Santiago del Cile. Incurante delle voci che descrivono le recenti nomine molto, forse troppo, di stampo salesiano, il Papa ha affidato proprio a un salesiano, Ricardo Ezzati Andrello, la popolosa diocesi sudamericana. Anche per Milano il card. Bertone ha i suoi preferiti. In cima alla lista c’è l’attuale capo del “ministero” della cultura del Vaticano. Nato e cresciuto nell’establishment milanese, amato dalla curia, divulgatore della fede capace di valorizzare l’eredità che fu di Carlo Maria Martini che al progetto della “nuova evangelizzazione” wojtyliana contropropose l’idea della “cattedra dei non credenti”, il neo cardinale Gianfranco Ravasi è la prima prestigiosa opzione di Bertone per Milano. Dietro di lui la seconda scelta, ovvero Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza ma di origini piemontesi come il segretario di stato. Ravasi e Ambrosio sono i candidati ideali per soddisfare quella parte di Milano che spera in una scelta di continuità con la linea martiniana, che a suo modo anche il “centrista” Tettamanzi ha garantito? La risposta non è facile. Ravasi non è un martiniano in senso stretto. E’ cresciuto a Milano, ma dalla città e dalla curia ha saputo emanciparsi. Come Martini ha tra le sue priorità il dialogo con chi non crede – per questo ha ideato l’iniziativa del “Cortile dei gentili” –, scrive su Il Sole 24 Ore ed è amato nei salotti che contano. Ma nello stesso tempo, da raffinato divulgatore, sa stare dove sta il popolo: la sua rubrica settimanale su Radio Maria lo porta vicino a un tipo di devozione aliena, e anche invisa, a una certa chiesa milanese. Tra Ravasi e Ambrosio è quest’ultimo il più martiniano. Formatosi alla facoltà teologica di Milano, cuore pulsante di quella teologia “debole” che a partire dagli anni Settanta ha in parte ceduto acriticamente agli orientamenti e agli influssi più o meno direttamente di radice kantiana provenienti soprattutto d’oltralpe, Ambrosio rappresenterebbe una scelta dal marchio facilmente riconoscibile. Perché, ecclesialmente parlando questa è Milano: la diocesi dove dal post Concilio, e poi nell’epoca di Wojtyla, si è alimentato ed è cresciuto un magistero alternativo a quello romano. Al Cristo al quale spalancare le porte di wojtyliana memoria, si è preferita la proposta di una fede non esente da dubbi, zone grigie e ombre dell’ante-Papa Carlo Maria Martini. Una domanda ancora non ha risposta: su chi davvero puntano i martiniani, dall’emerito Martini al quasi emerito Tettamanzi? Nelle scorse settimane il Corriere della Sera si è speso parecchio per Ravasi. Forse si è speso troppo. Tanto che in Vaticano c’è chi assicura: l’hanno fatto per confondere le acque, il vero candidato di via Solferino è un altro. Tanto che un’altra battuta popolare in riva ai Navigli torna alla mente: “L’arcivescovo di Milano lo decidono al Corriere”. Nei giorni scorsi un blog di La Repubblica ha scritto che Ravasi avrebbe rifiutato la possibilità di andare a Milano. Ha rifiutato, o ha capito che l’ipotesi non è percorribile? La risposta, probabilmente, la conoscono soltanto lui e il Papa. Anche se l’outsider proposto sul Corriere della Sera da Marco Garzonio, biografo ufficiale di Martini, fa capire tante cose. Garzonio ha buttato lì il nome del francescano Pierbattista Pizzaballa, giovane custode di Terra Santa. Scrive addirittura Garzonio: “Per Tettamanzi tale scelta potrebbe comportare una prorogatio di fatto per un anno, in modo da arrivare all’Incontro delle Famiglie”. Come dire: lanciamo Ravasi ma portiamo avanti un candidato diverso, Pizzaballa appunto, uno che ci sia fedele senza necessariamente essere già un nome affermato. Il nome di Pizzaballa lascia intuire che è soprattutto qui che si gioca la vera battaglia: un candidato low profile ma di impostazione martiniana contro un candidato di scuola opposta. Comunione e liberazione è forte a Milano e in tutta la Lombardia. E’ forte politicamente, ha suoi uomini nelle istituzioni locali, ma è molto stimata anche nella curia romana. Nata con uno strappo non indolore dalla Chiesa-istituzione ambrosiana che pure cercava in tutti i modi di resistere, arrancando, ai venti post conciliari, ha mantenuto negli anni il suo forte carattere anti curiale. La curia, e più ancora la struttura territoriale della diocesi e delle parrocchie, da una parte, Cl dall’altra. Giussani è sempre stato nel cuore del Vaticano, di Wojtyla e di Ratzinger, eppure proprio nell’era del grande pontificato del Papa polacco, a Milano sono stati designati due vescovi che al movimento ciellino hanno fatto da contraltare, da argine e da diga. Perché la Chiesa è fatta di pesi e contrappesi. E ogni territorio ecclesiale deve avere al suo interno i giusti equilibri. Per il dopo Tettamanzi i martiniani temono un candidato ciellino. Temono anzitutto quell’Angelo Scola, patriarca di Venezia, indicato da molti sulla rampa di lancio. Pronto, dunque, al decollo. Scola, tra l’altro, è riuscito in questi anni a crearsi un profilo che va oltre Cl. E’ uomo di caratura internazionale, uomo del dialogo seppure d’impostazione balthasariana: l’idea di Communio contrapposta a quella di Concilium. Eppure, quando si chiede di Scola a Milano, la risposta in Vaticano è sempre una: “E’ inverosimile che il patriarca di Venezia, la diocesi che ha portato al papato Angelo Roncalli e Albino Luciani, lasci per Milano. Sarebbe una diminutio”. Se la candidatura di Scola è controversa, quale allora potrebbe essere quella realistica? La domanda si rincorre da settimane nelle felpate stanze d’oltre il Tevere. In molti ricordano che proprio la sede ambrosiana, nel secolo scorso, ha avuto tre pastori che vi sono arrivati senza precedenti esperienze episcopali: Alfredo Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Montini e lo stesso Carlo Maria Martini. Ecco allora che il profilo dell’outsider s’avanza con sempre maggiore forza. Un profilo di basso impatto mediatico. Un uomo di Chiesa magari completamente “esterno” rispetto alla Chiesa ambrosiana. Una terza scelta. Una personalità che oggi può esistere soltanto nella mente del Papa. Il suo nome potrebbe non essere indicato in nessuna delle terne che i vescovi e i cardinali invieranno al Papa tramite mons. Bertello. Ma questo non è un problema. Su Milano, Benedetto XVI ha intenzione di fidarsi soltanto di se stesso.

Paolo Rodari, Il Foglio