Ci saranno alcuni posti fissi, e altri a rotazione, per un totale di otto. Fra i “fissi” sono presenti Associated Press, Reuters, e Agence France Presse. Un quarto posto è attribuito a un’agenzia italiana. Giustamente il vaticanista dell’Agi, Salvatore Izzo, critica su Il Blog degli amici di Papa Ratzinger il modo in cui si è decisa la composizione del pool di giornalisti che seguirà il processo a Paolo Gabriele, a partire da sabato prossimo. Una premessa. Non vediamo perché un processo che riguarda la persona più importante per un miliardo e duecento milioni di cattolici non possa essere trasmesso a circuito chiuso nell’aula della Sala Stampa vaticana. Ma le ritrosie vaticane su questo punto, condivise da alcuni Stati americani, se non ci sbagliamo, e dalla Gran Bretagna possono essere umanamente comprensibili. Quello che ci sembra più difficilmente comprensibile è questo. La maggioranza dei cattolici nel mondo sono ispanofoni. Anche negli Stati Uniti la Chiesa Cattolica sta assumendo una fisionomia sempre più “latina”. Che senso ha allora non dare un posto di osservazione fisso a un’agenzia di stampa, o a un mezzo di comunicazione nella lingua più parlata dai fedeli del pianeta? Fra l’altro, il “furto” della pepita e dell’assegno dedicato alla carità del Papa erano stati fatti a danno di persone che, appunto, parlano spagnolo. E se ci si dice che assegnare un posto in più fisso ridurrebbe lo spazio per i “volanti”, la soluzione potrebbe essere questa: le due agenzie in lingua inglese si alternerebbero nella presenza. E’ vero che si tratta di un pool, e che di conseguenza i colleghi a esso dedicati dovrebbero comunicare a tutti gli altri ciò che hanno visto, sentito e percepito. Ma sappiamo da lunga esperienza, che anche nel migliore dei casi, anche con tutta la buona volontà possibile, così non è. A chi è lì, di persona, anche se condivide tutto, resta sempre qualche cosa di più in tasca. E dal momento che si tratta di informare, con equilibrio e senza i pregiudizi mostrati nel recente passato da qualcuna delle agenzie prescelte, l’orbe cattolico su qualche cosa che riguarda la persona e la casa del Papa, ci sembra plausibile e ragionevole che vengano rispettati criteri di appartenenza linguistica. Senza discriminazioni, fra l’altro, fra chi è cattolico e chi non lo è. Esistono mezzi di informazione ispanofoni in area cattolica che potrebbero benissimo svolgere questo compito. E sarebbe veramente straordinario che non venissero scelti appunto perché sono cattolici.
La ''Chiesa non è moribonda - come a volte si vorrebbe e viene rappresentata''
e Papa Benedetto XVI, grazie alla sua ''mitezza'' e alla sua ''disarmante
affabilita''' è sempre più ''amato''. Lo ha detto il card. Angelo Bagnasco (foto), presidente della CEI e arcivescovo di Genova, nella
prolusione con cui ha aperto i lavori della sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente (Roma, 24-27 settembre). A liberare Papa Ratzinger ''dal laccio di tradimenti
impensabili o malevoli interpretazioni'' è ''puntualmente la sua mitezza e la
sua disarmante affabilità, procedendo egli nella propria missione ancora più
amato''. ''La Chiesa - ha aggiunto Bagnasco - non è moribonda - come a
volte si vorrebbe e viene rappresentata - lacerata da divisioni, soffocata da
contro-testimonianze, in condizioni di mera sopravvivenza. La Chiesa è unita e
- seppur sotto sforzo - vuole affrontare le traversie del tempo con umilta',
vigore e lungimiranza''. “L’Italia reagisca alla tentazione dello scoraggiamento, diceva con
accoratezza il Papa in visita ad Arezzo. Noi, per quel che possiamo, siamo qui per questo. Vogliamo essere
gli araldi del Vangelo, e dunque della speranza”, così il card. Bagnasco ha iniziato la sua prolusione. Il porporato si è soffermato sulle “prove dure e inesorabili”
che il Paese sta affrontando, soffermandosi in particolare sulla condizione
giovanile (“I giovani sono il nostro maggiore assillo, i giovani e il loro magro
presente. Il precariato indica chiaramente una fragilità sociale, ma sta
diventando una malattia dell’anima”) e sulla famiglia (“La gente non perdonerà
la poca considerazione verso la famiglia… Si finisce per parlare d’altro, per
esempio si discute di unioni civili che sono sostanzialmente un’imposizione
simbolica” per “affermare ad ogni costo un principio ideologico, creando dei
nuovi istituti giuridici che vanno automaticamente ad indebolire la
famiglia”). Ha, quindi, richiamato la classe politica la “rafforzata indignazione” che
“va covando nella cittadinanza”, a fronte di “un reticolo di corruttele e di
scandali”, che dicono di “immoralità e malaffare”. “La vita della gente è in grave affanno – ha aggiunto – e sente che il
momento è decisivo: dalla sua soluzione dipende la stessa tenuta sociale. È
l’ora di una solidarietà lungimirante, della concentrazione assoluta, senza
distrazioni, sui problemi prioritari dell’economia e del lavoro, della
rifondazione dei partiti, delle procedure partecipative ed elettive, di una
lotta penetrante e inesorabile alla corruzione: problemi tutti che hanno al
centro la persona e ne sono il necessario sviluppo”. La parte centrale della prolusione del cardinale presidente è stata
dedicata alla questione fede, che, ha ricordato citando Benedetto XVI, rimane
“la sfida prioritaria”: “Solamente delle esistenze non mediocri riescono ad
incidere nel vissuto ecclesiale e sociale... Senza lo spirituale nella persona e
nella società, c’è una povertà strutturale incolmabile, si determina una perdita
per tutti, anche per chi tale dimensione non la coltiva o non la stima”. Al riguardo, citando le esperienze offerte dai media cattolici, Avvenire,
SIR e Tv2000, ha osservato: “Non è vero che la maggioranza della gente rifiuta
il sacro e le sue narrazioni, anzi ne ha fame e nostalgia: Dio non è in esilio,
ma al cuore del vissuto umano”. Di qui lo sguardo al Sinodo dei vescovi
sulla Nuova Evangelizzazione e all'Anno della fede, nel 50° del Concilio Vaticano II e nel 20° del
Catechismo della Chiesa Cattolica. Una fede incarnata, che sa prendersi cura (“Sulla salvaguardia della
dignità degli embrioni, come dei migranti che avventurosamente varcano il mare
alla ricerca di una vita migliore, la Chiesa è vigile ed è impegnata, ricordando
a tutti il monito: che ne è di tuo fratello (cfr Gn 4,9)?) e che fa
concludere: “La Chiesa è rimasta forse l’unica a lottare per i diritti veri dei
bambini, come degli anziani e degli ammalati, della famiglia, mentre la cultura
dominante vorrebbe isolare e sterilizzare ciò che di umano resta nella nostra
civiltà”.
Anche l’Argentina vuole ricevere Benedetto XVI. Non è un’iniziativa ufficiale ma è nata dal basso, in uno dei paesi più secolarizzati del Sudamerica. Un gruppo di fedeli “autoconvocati” ha lanciato una raccolta di firme per sollecitare il Papa a recarsi nel paese il prossimo luglio 2013, prima o dopo la sua tappa a Río de Janeiro (Brasile) in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Un’iniziativa che si aggiunge aggiungersi ad altre simili in Colombia, Panama, Cile e Paraguay. Come è noto in America Latina vive più del 45 % della popolazione cattolica di tutto il mondo. Se il successore di Pietro visita la regione, tutti i paesi vogliono riceverlo. Anche quelli nei quali il rapporto tra la Chiesa e lo Stato non è ottimale, a causa dei loro governi. L’Argentina sta attraversando tempi difficili, in ambito politico ma anche dal punto di vista ecclesiastico. In questo contesto, un gruppo di fedeli ha lanciato la campagna “Benedetto, l’Argentina ti attende”. Senza molte risorse nè aiuti istituzionali, ma con molta volontà, i membri hanno pubblicato il blog Generación Benedicto XVI e una pagina nel social network Facebook. Il tutto è cominciato grazie a un gruppo di genitori che stavano preparando i viaggi dei loro figli in Brasile per la GMG. Il raduno più importante dei giovani cattolici di tutto il mondo tornerà in Sudamerica dopo 26 anni. I giorni 11 e 12 aprile 1987 ebbe luogo, a Buenos Aires, la seconda GMG. Questa è stata la prima esperienza fuori Roma e, per la stessa ragione, non aveva le caratteristiche della Giornata attuale. Il prossimo appuntamento a Río, in programma dal 23 al 28 luglio 2013, avrà una risonanza internazionale. Ed è per questo motivo che diversi governi ed episcopati della regione hanno messo in moto alcune strategie per riuscire a convincere Joseph Ratzinger a recarsi in un altro paese latinoamericano a margine dell’incontro principale. E anche se in Vaticano ci sono alcuni collaboratori del Papa interessati alla realizzazione di alcune di queste possibilità, lo stesso Pontefice si è mostrato prudente e ha fatto capire che preferirebbe svolgere solo la tappa brasiliana, salute permettendo. Ad ogni modo, gli interessati insistono. Come il Cile, per esempio, che si è mobilitato con particolare intensità durante le ultime settimane e con la speranza di ricevere un viaggio apostolica. Ma è praticamente impossibile, se si pensa alla distanza tra Río e Santiago. Gli argentini, invece, hanno comunicato la loro iniziativa alla Conferenza Episcopale e alla Nunziatura apostolica a Buenos Aires. Dal vertice dei vescovi non hanno avuto nessuna risposta, ma dall’ambasciata vaticana hanno ricevuto un "caloroso" incoraggiamento. Inoltre, alcuni sacerdoti e diverse scuole si sono aggiunti alla raccolta firme. L’idea è quella di portare Benedetto XVI a visitare il santuario nazionale della Madonna a Luján (foto). Parlando con Vatican Insider, uno degli organizzatori dell’iniziativa, Carlos Colazo Benavidez, ha dichiarato: "La patria vive dei momenti difficili, la famiglia subisce attacchi e la vita umana è disprezzata; c’è l’intento molto forte di unificare i codici Civile e Commerciale, aprendo le porte a ogni sorta di aberrazione: aborto, adozione da parte di coppie omosessuali, manipolazione di embrioni, uteri in affitto. La visita del Papa al santuario nazionale si percepisce come la possibilità di rinforzare la fede degli argentini e di mostrare al popolo quello che sta succedendo, nell'ottica del Vangelo".
“Non è frequentissimo un discorso che arrivi a
proporre la laicità. Abbiamo avuto documenti pontifici che sottolineavano
l’importanza della libertà religiosa, ma proporre come estrinsecazione politica
della libertà religiosa la sana laicità e proporla oggi in Medio Oriente mi pare
un qualcosa di abbastanza nuovo e di molto coraggioso”. E’ quanto afferma Silvio
Ferrari, docente di diritto e religione alle Università di Milano e Leuven, che
in un’intervista all'agenzia SIR commenta l’Esortazione Apostolica post-sinodale “Ecclesia in Medio
Oriente” promulgata da Benedetto XVI in Libano. “Il Papa - afferma il docente -
parla ai cristiani per farsi capire dai musulmani ma parla ogni tanto anche ai
musulmani per farsi intendere dai cristiani. Per esempio quando afferma che il
diritto di libertà religiosa include la possibilità di manifestare liberamente
la propria religione e i propri simboli. Dietro questo rilievo non c’è solo
tutto il problema della possibilità dei cristiani di aprire le chiese in Medio
Oriente ma anche, forse, la questione dei simboli religiosi e della loro
presenza nello spazio pubblico europeo”. Nell’intervista si parla anche di
tolleranza religiosa. Questa, spiega Ferrari, “genera la cittadinanza di seconda
classe” in quanto “permette di professare la propria fede però dentro
determinati limiti. Non si è titolari degli stessi diritti e doveri degli altri
cittadini”.
Benedetto XVI ha nominato Salvatore Martinez (foto), presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo in Italia, uditore alla XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. Martinez, nell’aprile scorso, era stato nominato dal Papa consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. “L’espressione ‘nuova evangelizzazione’ - ha detto Martinez commentando la nomina - ricorda ai cristiani che la diffusione del Vangelo non può conoscere appannamenti, svilimenti di senso, ritardi, omissioni”. Attraverso i vari Pontefici, ha aggiunto il presidente del Rns, “la Chiesa non ha mai cessato di lasciarsi stimolare e convincere dallo Spirito Santo del bisogno di non ripetere stancamente il Vangelo, ma di inculturarlo con speciale attenzione al tempo corrente, ai linguaggi e alle attese dell’uomo moderno”. Il Rinnovamento nello Spirito Santo è un movimento ecclesiale che in Italia conta più di 200mila aderenti, raggruppati in oltre 1.900 gruppi e comunità.
Papa Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina, nel Palazzo Apostolico di Castelgandolfo, il presidente della Conferenza Episcopale italiana (foto) e arcivescovo di Genova, card. Angelo Bagnasco. Il capo dei vescovi italiani ha incontrato il Pontefice, come di consueto, prima dell'apertura oggi pomeriggio, con la prolusione del porporato, dei lavori della session autunnale del Consiglio Episcopale permanente della CEI, che proseguiranno fino a giovedì prossimo. La formazione cristiana degli adulti alla luce dei convegni regionali sulla
catechesi appena celebrati, il cammino di preparazione al Convegno ecclesiale di
metà decennio (Firenze 2015), una riflessione sulla pastorale vocazionale e la
costituzione di uno specifico Ufficio Nazionale a ciò dedicato: sono questi
alcuni degli argomenti all’ordine del giorno del
Consiglio Episcopale permanente, che analizzerà la
situazione in ordine ai registri comunali delle unioni di fatto e delle
dichiarazioni anticipate di trattamento; stabilirà, inoltre, il tema e il
programma della 47ª Settimana Sociale (Torino, 12-15 settembre 2013).
La Parola di Dio è sempre di luce, dipende da come la si ascolta. È questo l’insegnamento che si desume dalla pagina del Vangelo proposta dalla liturgia di oggi. “Nessuno – si legge nel brano di Luca – accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce..Fate attenzione dunque a come ascoltate”. Su questi aspetti, Benedetto XVI ha spesso esortato i cristiani a compiere un percorso di maturazione.
Linguaggio in parabole per il pubblico e spiegazioni con diverso stile comunicativo in privato, per i suoi discepoli. Il Vangelo restituisce questa come linea generale di insegnamento del Maestro. Le parabole di Gesù, criptiche all’apparenza, sono un distillato di sapienza che ha però bisogno, per essere comprese, di un requisito particolare e dunque difficilmente riscontrabile a livello di massa: la disposizione all’ascolto con il cuore. “Fate attenzione a come ascoltate”, mette in guardia Gesù coloro che lo attorniano nella scena descritta del Vangelo di Luca. Un valore, quello dell’ascolto della Parola di Dio, che da quei giorni del primissimo annuncio a oggi ha visto soffermarsi Dottori della Chiesa, Santi, teologi, Papi, non ultimo Benedetto XVI. C’è chi ascolta superficialmente la Parola ma non l’accoglie; c’è chi l’accoglie sul momento ma non ha costanza e perde tutto; c’è chi viene sopraffatto dalle preoccupazioni e seduzioni del mondo; e c’è chi ascolta in modo recettivo come il terreno buono: qui la Parola porta frutto in abbondanza” (Angelus, 10 luglio 2011). La parabola del Seminatore, ricordata qui dal Papa, è una limpida cartina di tornasole. Perché la Parola di Dio rischiari tutta la casa, e non sia l’inutile punto-luce messo in un angolo, è necessario la Parola diventi per un cristiano un cibo ruminato con costanza da solo e comunitariamente, con la meditazione e la vita dei Sacramenti. “Ascoltare insieme la parola di Dio; superare la nostra sordità per quelle parole che non si accordano con i nostri pregiudizi e le nostre opinioni; tutto ciò costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l’unità nella fede, come risposta all’ascolto della Parola” (25
gennaio 2007, Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per
l'Unità dei Cristiani). La comprensione della Parola di Dio è un dono di Dio stesso. Tuttavia, afferma Gesù nel Vangelo di Luca, “non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce”. Una garanzia del fatto che quel seme, al di là del terreno che lo accoglierà, deve essere comunque gettato ne solchi dei cuori dalla Chiesa di ogni tempo. “E’ una Parola che deve essere testimoniata e proclamata esplicitamente, perché senza una testimonianza coerente essa risulta meno comprensibile e credibile” (All'Assemblea Generale delle Pontificie Opere Missionarie, 14 maggio
2011).
C’è anche il nome di Maria Voce (foto), presidente del Movimento dei Focolari, nella lista degli Auditores (o Uditori) nominati da Benedetto XVI per il Sinodo dei vescovi sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, che si terrà in Vaticano dal 7 al 28 ottobre. “L’esperienza del Sinodo, in cui viene in evidenza in modo eminente la collegialità della Chiesa - dice oggi Maria Voce commentando la sua partecipazione -, ci trova particolarmente sensibili, anche per il carisma dell’unità che ci caratterizza”. Maria Voce esprime anche “la profonda riconoscenza al Santo Padre per la fiducia che con questo invito dimostra a lei e a tutto il Movimento dei Focolari - si legge in un comunicato diffuso oggi -, vedendo in questa circostanza un’opportunità di servizio alla Chiesa universale”. Sono stati nominati anche due altri membri del Movimento dei Focolari: Ernestine Sikujua Kinyabuuma, docente all‘Istituto Universitario Maria Malkia di Lubumbashi (Rep. Democratica del Congo), e Gisèle Muchati, responsabile regionale in Siria di Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari. Dal dicembre 2011 Maria Voce è consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione.
"Il Santo Padre è venuto con un messaggio di pace e tutti hanno capito che come vero capo religioso, come uomo di Dio ha portato un messaggio di solidarietà e di fraternità". Lo afferma ai microfoni della Radio Vaticana il nunzio apostolico in Libano, mons. Gabriele Caccia. "Il Paese - rivela -ha potuto mostrare il volto più bello, è stata proprio l'occasione per dire: insieme, tutti, si può fare qualcosa di bello, di importante per il Libano e direi anche per il Medio Oriente". "In tutti - assicura l'arcivescovo Caccia - c'è ancora un'atmosfera di grande gioia". "Raramente - aggiunge il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, nell'editoriale del settimnale "Octava dies" del Centro Televisivo Vaticano - il messaggio del Papa nel corso di un viaggio e' stato compreso e accolto da ammirazione e consenso quasi unanime come in questa occasione". Secondo padre Lombardi, il fatto che siano state "assai poche le voci dissenzienti, è stato un segno molto apprezzabile del senso di responsabilità dei comunicatori". "La missione del profeta disarmato che andava senza incertezze, decisamente, a parlare di pace in una regione e in un periodo di conflitti e proteste infuocate era - ha sottolineato ancora Lombardi - un messaggio di forza e di evidenza non comune" controtendenza rispetto alla fiducia diffusa "nel potere e nelle armi". "Il Papa e la Chiesa Cattolica - conclude il portavoce, per il quale è stata 'particolarmente incoraggiante' l'accoglienza dei capi religiosi musulmani del Libano - fanno la loro parte per la pace nel mondo, anche chi ha strumenti di potere politico, militare o di comunicazione deve fare la sua parte in questo impegno cruciale per l'avvenire dell'umanità".
Papa Benedetto XVI ha recentemente incontrato i vescovi della Conferenza Episcopale di Francia per la consueta visita "ad limina" che, di regola, ogni cinque anni i presuli devono compiere a Roma per rendere conto alla Santa Sede dello stato della propria diocesi. Oltre alle parole di benvenuto, il Pontefice ha posto in rilievo alcune priorità pastorali, in risposta alle sfide della società odierna che “ampiamente secolarizzata invitano a ricercare una risposta coraggiosa ed ottimistica, proponendo con audacia e inventiva la novità permanente del Vangelo”. Tra i doveri del vescovo, “Buon Pastore” verso fedeli e sacerdoti, il Papa sottolinea la “sollecitudine particolare verso i sacerdoti, in particolare coloro che sono di recente ordinazione e quanti si trovano nel bisogno o sono anziani”. Benedetto XVI ricorda, inoltre, la particolare responsabilità che ogni vescovo ha nei confronti dei propri sacerdoti in ordine alla santità; “la vita spirituale – prosegue, infatti, il Pontefice – è il fondamento della loro vita apostolica» e, di conseguenza, il garante della fecondità del loro ministero”. Successivamente il Papa ha ricordato una della Sante patrone di Francia, Giovanna d'Arco, di cui quest'anno ricorre il sesto centenario della nascita, l’importanza della famiglia “minacciata in tanti modi, a seguito di una concezione della natura umana che si rivela difettosa” e l’unità di tutta la Chiesa che il vescovo è chiamato a difendere. Nonostante i suoi 85 anni di età, il 264° Successore di Pietro, in barba alle ingenue considerazioni che vedevano in Joseph Ratzinger un Papa di transizione, dimostra una notevole capacità di giudizio su tutto ciò che riguarda il governo della Chiesa “Urbi et Orbi”. E così, anche se si ritrova a parlare con l’Episcopato francese, non è detto che il Papa non faccia espliciti riferimenti a situazioni che riguardano anche altre diocesi sparse per il mondo! C’è, infatti, nel discorso dettato da Benedetto XVI ai vescovi di Francia un particolare riferimento che ci permette di richiamare alla nostra attenzione un dichiarazione di pochissimi giorni fa. Il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza Episcopale austriaca, ha recentemente annunciato la possibilità di chiedere ai laici uno specifico coinvolgimento nella guida pastorale delle 660 parrocchie austriache che, a causa anche di un notevole calo di vocazioni sacerdotali, nei prossimi dieci anni verrebbero accorpate come entità più grandi e composte da singole filiali per meglio svolgere gli impegni pastorali. “Molte comunità locali dirette dai laici – dichiara Schönborn – formano nel loro insieme una nuova parrocchia che sarà diretta congiuntamente da sacerdoti e laici con la responsabilità finale di un parroco”. Tale riforma comporterebbe, come riconosce l’arcivescovo di Vienna, un “profondo cambio di prospettiva”, poiché “dobbiamo staccarci dall’idea che la Chiesa esista solo là dove c’è un sacerdote”: ma “così si ridà importanza al principio del sacerdozio comune” di “tutti i battezzati e cresimati”, realizzando “una coesistenza di sacerdoti e laici sulla base della loro vocazione comune di cristiani”. Se questa fosse stata una domanda, la risposta del Pontefice la si sarebbe potuta rintracciare fra le righe del discorso rivolto ai vescovi francesi che riportiamo di seguito: “La soluzione dei problemi pastorali diocesani che si presentano non deve limitarsi a questioni di organizzazione, per quanto importanti. Esiste il rischio di porre l'accento sulla ricerca dell'efficacia con una sorta di 'burocratizzazione della pastorale'; focalizzandosi sulle strutture, sull'organizzazione e i programmi, che possono divenire 'autoreferenziali', a uso esclusivo dei membri di tali strutture. (...) Il compito specifico dei fedeli laici è l'animazione cristiana delle realtà temporali nelle quali essi agiscono di propria iniziativa ed autonomamente, alla luce della fede e dell'insegnamento della Chiesa. È dunque necessario vigilare sul rispetto della differenza fra il sacerdozio comune di tutti i fedeli ed il sacerdozio ministeriale di coloro che sono stati ordinati al servizio della comunità, differenza che non è soltanto di grado, ma di natura. D'altra parte, si deve conservare la fedeltà al deposito integrale della fede come è insegnato nel Magistero autentico e professato da tutta la Chiesa”.
Nel suo recente viaggio in Libano Benedetto XVI ha pronunciato una serie di discorsi in cui il tema prevalente era l’appello alla pacificazione degli animi, in un momento che vede una contrapposizione frontale tra Islam e Occidente. Non si tratta solo della blasfemia. Vengono alla luce profonde differenze culturali che rendono il dialogo arduo, se non addirittura impossibile. Nonostante questo, il Papa ha ripetuto il suo appello più volte nella speranza che si giunga infine a ricostruire un ponte in grado di ristabilire dei contatti, se non proprio sereni, meno drammatici di quanto ora siano. Naturalmente stampa e mass media in genere si sono concentrati soprattutto su questo aspetto – il tema della pacificazione – per motivi evidenti. Adesso è tale l’emergenza che altri argomenti appaiono, al confronto, assai meno importanti. Ben pochi hanno notato che, in uno dei suddetti discorsi, Benedetto XVI ha ripreso alcuni concetti già espressi in precedenza. E, anche in quel caso, si verificò una polemica molto aspra da parte del mondo islamico e delle sue massime autorità religiose. Sto parlando della “lectio magistralis” che egli tenne, in veste di professore in visita, all’università tedesca di Ratisbona (Regensburg) il 12 settembre 2006. In quella sede Joseph Ratzinger parlava innanzitutto da filosofo, e solo in modo mediato come teologo. Lo spunto fu un dialogo avvenuto nel 1391 tra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un dotto persiano su cristianesimo e Islam e sulla verità di entrambi. Il luogo era Ankara, l’attuale capitale turca che a quei tempi faceva parte dell’Impero di Bisanzio. Nessuno avrebbe immaginato che un argomento così “dotto”, tipico delle aule universitarie, avrebbe scatenato polemiche a non finire. Eppure proprio questo accadde. Papa Ratzinger citò alcune affermazioni di Manuele II Paleologo circa il tema della “jihad” (guerra santa) riportandole in questo modo: “Sicuramente l’imperatore sapeva che nella sura 2, 256 del Corano si legge: ‘Nessuna costrizione nelle cose di fede’. E’ una delle sure del periodo iniziale in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l’imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il ‘Libro’ e gli ‘increduli’, egli, in modo sorprendentemente brusco, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: ‘Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava’. L’imperatore spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole”. Si tratta, lo si noti, di una citazione, tratta da un testo che ben pochi conoscono al di fuori degli specialisti del settore. Il Papa continuò notando: “L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. Per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza”. In seguito il Papa affermò: “Qui si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia”. In altri termini, il papa intendeva ribadire che l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non è un semplice caso. Infatti la lezione si chiude con queste parole: “Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamento, realizzata in Alessandria, è più di una semplice traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero ellenistico fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire ‘con il logos’ è contrario alla natura di Dio”. Credo molti rammentino l’episodio e le polemiche accesissime che allora nel mondo islamico si scatenarono contro il discorso del pontefice. Ci volle del tempo prima che si placassero, e l’eco non è ancora del tutto spento. A Beirut, tuttavia, Benedetto XVI ha riproposto esattamente le stesse tesi, senza citare testi come quello dianzi menzionato. Ha parlato dell’incontro con la filosofia greca, della ragione che costituisce il “sigillo divino dell’uomo”, di una sorta di ri-ellenizzazione del mondo islamico. Perché l’incontro tra filosofia greca e Islam avvenne davvero nei “secoli d’oro” del mondo islamico. L’esempio maggiore è la raffinata civiltà che si sviluppò nel califfato abbaside di Baghdad tra i secoli VIII e X dopo Cristo, e in seguito – pur non raggiungendo analoghi livelli di splendore – nei regni musulmani di quella parte della Spagna che è ora l’Andalusia. Arabi e persiani sono stati alcuni dei maggiori filosofi e scienziati del Medio Evo, basti citare per tutti Avicenna, Averroè e al-Farabi. Alla civiltà islamica dobbiamo, tra l’altro, la diffusione di Aristotele nell’Europa medievale, e non è certo poco. Sembra un discorso astratto, ma è tutt’altro che così. Non sappiamo quante probabilità abbiano le considerazioni del Papa di essere accolte in un mondo islamico come quello attuale, così attratto dalle opzioni fondamentaliste e dalla negazione che tra fede e ragione sussiste un rapporto reciproco e fecondo. Tuttavia credo che l’aver gettato dei semi di quel tipo, in un momento così tumultuoso, possa alla lunga produrre dei buoni frutti.