lunedì 29 marzo 2010

Il Papa: l’amore non calcola, non pone barriere, sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro. Giovanni Paolo II esempio di questo amore

“Durante il suo lungo pontificato, si è prodigato nel proclamare il diritto con fermezza, senza debolezze o tentennamenti, soprattutto quando doveva misurarsi con resistenze, ostilità e rifiuti”. E’ il ricordo di Giovanni Paolo II offerto dal Papa nell’omelia della Messa celebrata questa sera nella Basilica di San Pietro nel V anniversario della morte. Il 2 aprile, quest’anno, è il Venerdì Santo: di qui la scelta di anticipare ad oggi la Celebrazione Eucaristica di suffragio. “Sapeva di essere stato preso per mano dal Signore – ha proseguito Benedetto XVI - e questo gli ha consentito di esercitare un ministero molto fecondo, per il quale, ancora una volta, rendiamo fervide grazie a Dio”. Nel suo “amato predecessore”, Benedetto XVI vede l’immagine perfetta del “servo di Dio”, che – come dicono le Scritture – “agirà con fermezza incrollabile, con un’energia che non viene meno fino a che egli non abbia realizzato il compito che gli è stato assegnato. Eppure, non avrà a sua disposizione quei mezzi umani che sembrano indispensabili all’attuazione di un piano così grandioso. Si presenterà con la forza della convinzione, e sarà lo Spirito che Dio ha posto in lui a dargli la capacità di agire con mitezza e con forza, assicurandogli il successo finale”. “La regola della comunità di Gesù – ha ricordato il Santo Padre – è quella dell’amore che sa servire fino al dono della vita”. Di qui la contrapposizione tra l’atteggiamento di Maria di Betania, che lavando i piedi del Maestro con una grande quantità di profumo pregiato “offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda”, e quello di Giuda, che “calcola là dove non si può calcolare, entra con animo meschino dove lo spazio è quello dell’amore, del dono, della dedizione totale”. “L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore”, ha sottolineato Benedetto XVI commentando il brano evangelico della cena di Gesù a Betania con Lazzaro, Marta e Maria. Se Maria si pone dunque “ai piedi di Gesù in umile atteggiamento di servizio”, come farà Gesù stesso nell’Ultima Cena, Giuda “sotto il pretesto dell’aiuto da recare ai poveri, nasconde l’egoismo e la falsità dell’uomo chiuso in se stesso, incatenato dall’avidità del possesso, che non si lascia avvolgere dal buon profumo dell’amore divino”. Un “compagno di viaggio per l’uomo di oggi”. Così il Papa ha poi definito Papa Wojtyla. “Tutta la vita del Venerabile Giovanni Paolo II – ha commentato Benedetto XVI - si è svolta nel segno di questa carità, della capacità di donarsi in modo generoso, senza riserve, senza misura, senza calcolo. Ciò che lo muoveva era l’amore verso Cristo, a cui aveva consacrato la vita, un amore sovrabbondante e incondizionato”. Giovanni Paolo II, ha proseguito il suo successore, “si è lasciato consumare per Cristo, per la Chiesa, per il mondo intero: la sua è stata una sofferenza vissuta fino all’ultimo per amore e con amore”. “Chi ha avuto la gioia di conoscerlo e frequentarlo – le parole del Pontefice - ha potuto toccare con mano quanto viva fosse in lui la certezza ‘di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi’; certezza che lo ha accompagnato nel corso della sua esistenza e che, in modo particolare, si è manifestata durante l’ultimo periodo del suo pellegrinaggio su questa terra: la progressiva debolezza fisica, infatti, non ha mai intaccato la sua fede rocciosa, la sua luminosa speranza, la sua fervente carità”. Salutando, infine, i fedeli polacchi, Benedetto XVI ha detto loro che “la vita e l’opera di Giovanni Paolo II, grande polacco, può essere per voi motivo di orgoglio”.

Mons. Dolan: il Papa una guida nella purificazione, nella riforma e nel rinnovamento della Chiesa. La vicinanza dei vescovi del Medio Oriente

L'arcivescovo di New York Timothy Dolan ha difeso con forza Papa Benedetto XVI dagli attacchi mediatici sugli scandali di pedofilia nella Chiesa. Lo ha fatto ieri durante l'omelia della Messa della Domenica delle Palme nella Cattedrale di San Patrizio a New York, riscuotendo il plauso dei fedeli. Dolan ha invitato a pregare per il Pontefice, paragonando la sua situazione alle ingiuste persecuzioni subite da Gesù Cristo. Ha definito il Santo Padre "una guida nella purificazione, nella riforma e nel rinnovamento di cui la Chiesa ha molto bisogno". La Chiesa "merita di essere messa sotto esame e criticata per i tragici orrori del passato?", si è chiesto Dolan. "Si!Si!", è stata la sua risposta. "Tutto ciò che chiediamo è che questo avvenga in modo onesto e che non si prenda di mira la Chiesa Cattolica per un orrore che ha afflitto ogni cultura, religione, organizzazione, istituzione, scuola, agenzia e famiglia del mondo".
Appoggio incondizionato e piena solidarietà anche dalle Chiese mediorientali. "In Iraq i nostri fedeli sono convinti - afferma mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo di Mosul - che si tratti di una propaganda contro la Chiesa, per infangarla agli occhi del mondo". "Uno scandalo che scoppia nella Chiesa - ha dichiarato all'agenzia SIR mons. Michel Kassarji, vescovo di Beirut dei caldei - non può essere usato per screditarla". "La Chiesa Cattolica è l'unica ad aver avuto il coraggio di guardare al suo interno per porre riparo agli errori - sottolinea da parte sua mons. Selim Sayegh vicario di Giordania - siamo vicini a Benedetto XVI in questo momento".

Apcom, Agi

Pasqua 2010. Il card. Ruini nella Via Crucis al Colosseo: Signore liberaci dalla presunzione di poter costruire da soli la nostra felicità e vita

Saranno in libreria domani le meditazioni della Via Crucis che sarà presiduta dal Papa il Venerdì Santo al Colosseo. Autore dei testi è il card. Camillo Ruini. Trentamila le copie stampate dalla la Libreria Editrice Vaticana: 15 mila arriveranno nelle librerie religiose e nei punti vendita della Lev di Piazza San Pietro, Piazza Pio XII e Via di Propaganda, le altre 15 mila saranno distribuite al Colosseo. Le illustrazioni che arricchiscono la pubblicazione riproducono la Via Crucis della prima metà dell’800 di Joseph Führich che si trova nella Chiesa di San Giovanni Nepomuceno di Vienna. L’introspezione, il dolore e la speranza i temi proposti dal cardinale Ruini. “Signore, Dio Padre onnipotente...Libera la nostra volontà dalla presunzione...ingenua e infondata, di poter costruire da soli la nostra felicità e il senso della nostra vita”: è uno stralcio della preghiera che aprirà la Via Crucis, che inviterà i fedeli a brevi e profonde riflessioni. La prima è quella che scaturisce dalla crocifissione di Gesù dovuta ai nostri peccati, come anche spiegano le Scritture. Da qui l’esortazione a guardare “al male e al peccato che abitano” in noi “e che troppo spesso fingiamo di ignorare” e a percorrere nella Via Crucis un itinerario di penitenza, di dolore e di conversione, fin quando Gesù è spogliato delle vesti per essere inchiodato sulla Croce. Lì tocca a noi denudarci, davanti a Dio e ai nostri fratelli, “spogliarci della pretesa di apparire migliori di quello che siamo, per cercare invece di essere sinceri e trasparenti”, non ipocriti. Via via che il percorso di Cristo torna alla memoria attraverso i brani evangelici della Passione, il passato è collegato all’oggi, sicché gli atti di scherno e di disprezzo dei soldati verso Gesù giudicato da Pilato possono richiamare, per il card. Ruini, alle “mille pagine della storia dell’umanità e della cronaca quotidiana” fatte di violenza e soprusi. Alla crudeltà dell’uomo, capace “delle cose peggiori, perfino di cose incredibili”, quando la luce del bene che alberga nella sua coscienza è “oscurata dai risentimenti, da desideri inconfessabili, dalla perversione del cuore”. Ma per il porporato meditare la Passione è anche prendere atto “del dolore fisico che” Gesù “ha dovuto sopportare”, “un dolore enorme e tremendo, fino all’ultimo respiro sulla Croce, un dolore che non può non fare paura”. E se oggi “la sofferenza fisica è la più facile da sconfiggere, o almeno da attenuare” con le nuove tecniche e metodologie”, “le anestesie e le terapie del dolore”, che pur non fanno scomparire la “gigantesca massa di sofferenze fisiche...nel mondo”, come non tener conto del fatto che “Gesù non ha rifiutato il dolore fisico”. “Così – scrive il card. Ruini – si è fatto solidale con tutta la famiglia umana, specialmente con quella grande parte di essa la cui vita, anche oggi, è segnata da questa forma di dolore”. Allo stesso modo, anche noi dobbiamo aprirci alla solidarietà nella sofferenza altrui. E ricordare Gesù sotto il peso della Croce significa anche pensare alle “tante diverse forme” di croce “nella vita di ogni giorno”, spesso considerate sfortune o disgrazie, mentre invece, considera il porporato, il cristiano che vuole andare dietro a Cristo rinnegando se stesso, può scorgerle come porte che nella vita si aprono verso un bene più grande. E per quelle disgrazie che sono perdite, c’è da pensare al Risorto che la morte l’ha già vinta. Anche se, bevendo “fino in fondo il suo amaro calice”, rivolgendosi al Padre ha chiesto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Un grido che però richiama ad aver fiducia in Dio, a fidarci di Lui che ha risuscitato il Figlio. C’è poi il ricordo di Giovanni Paolo II nelle meditazioni del card. Ruini; proprio venerdì ricorrerà il quinto anniversario della morte, e considerando il male di cui l’uomo è capace, il porporato ha voluto fare memoria di quanto Papa Wojtyla in proposito affermava: “il limite imposto al male, di cui l’uomo è artefice e vittima è … la Divina Misericordia”. E terminando la Via Crucis, arriva il silenzio, quello che sgorga di fronte alla morte di Gesù. Silenzio di adorazione, silenzio nel quale affidiamo noi stessi al Cristo. E guardando Maria ai piedi della Croce, silenzio che fa comprendere come “per essere veramente cristiani...bisogna essere legati” a Gesù con “la mente, la volontà, il cuore” nelle “piccole e grandi scelte quotidiane”, senza ridurre Dio ad “una consolazione che dovrebbe essere sempre disponibile”, che non deve “interferire...con gli interessi concreti in base ai quali operiamo”. E se dinanzi al Sepolcro di Gesù le strade di credenti e non si dividono sulla Risurrezione, ancora oggi per i cristiani è la notizia di Maria di Magdala agli Apostoli narrata nei Vangeli ad aver trasformato “il cammino della Croce” in “sorgente di vita”.

Radio Vaticana

Gli attacchi al Papa sugli abusi sessuali del clero: si tenta di colpirlo per mortificare una parola e un'autorità che mette a disagio

E’ in atto una campagna di odio anticristiano come d’altra parte è accaduto spesso nella storia: è quanto afferma il card. Ersilio Tonini, arcivescovo emerito di Ravenna, riferendosi, in una intervista al quotidiano Avvenire, agli attacchi contro il Papa sulla questione degli abusi su minori compiuti da alcuni esponenti del clero. Il New York Times o Der Spiegel, ha aggiunto il porporato, fanno il loro mestiere: parlano la lingua della politica, dell’economia e del potere, non ne capiscono altre, mentre la testimonianza della Chiesa oggi è rimasta la grande istanza che contraddice questa logica. Gli attacchi, conclude, confermano che questo è un momento straordinario nella storia della Chiesa. Attaccare la Chiesa fa vendere i giornali, ha invece affermato il card. José Maria Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione per le Cause dei Santi; siamo di fronte a un vile attacco alla Chiesa e al Papa attorno al quale tutti i cattolici devono stringersi in un abbraccio affettuoso e di amore. L’arcivescovo di San Salvador José Luis Escobar Alas parla di una campagna orchestrata e potente che, strumentalizzando il tradimento di pochi, vuole cancellare la testimonianza generosa della stragrande maggioranza dei sacerdoti fedeli a Cristo. “Oggi la Chiesa è nella prova: ci ritireremo come spettatori? Prenderemo le distanze da essa come sfiduciati e delusi? Oppure sentiremo nostra l’umiliazione che viene a lei dalla infedeltà di quanti, suoi figli, l’hanno ferita?”: lo ha detto ieri nella Cattedrale di Chiavari il vescovo mons. Alberto Tanasini, nell’omelia della Domenica delle Palme. Parlando degli attacchi al Papa di questi giorni, ha detto: “Si tenta di colpire il Santo Padre per mortificare una parola e una autorità che non piace, che mette a disagio. Ma oltre a rilevare le distorsioni pretestuose e mistificanti dei fatti, noi oggi ripetiamo le parole del Signore appena ascoltate: ‘Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli’”. Il vescovo sottolinea che “con la certezza di queste parole del Signore, efficaci anche oggi, ci stringiamo al Santo Padre Benedetto e gli diciamo affetto e fiducia senza riserve”. “Per parte nostra – ha poi affermato il vescovo - non vogliamo essere discepoli addormentati per l’oppressione. Nei momenti della prova della Chiesa i santi, tutti, hanno deciso una vita cristiana più vera, una penitenza più decisa per noi e per i deboli”.

Radio Vaticana, SIR

Lunedì Santo, la figura di Giuda. Il Papa: nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori, controbilanciamo il male testimoniando Gesù

Il Vangelo del Lunedì Santo si concentra sulla figura di Giuda Iscariota. Il passo di Giovanni lo mostra nell’episodio in cui il traditore di Cristo critica l’omaggio che Maria, la sorella di Lazzaro, fa a Gesù, cospargendogli i piedi di un prezioso profumo: un gesto che Giuda bolla come uno spreco di denaro, sostenendo che avrebbe potuto essere impiegato per i poveri. Tuttavia, spiega il Vangelo, a Giuda non importavano i poveri bensì i soldi della cassa, che lui teneva e derubava. Già in alcune occasioni, Benedetto XVI ha riflettuto pubblicamente sulla figura di Giuda, sulle motivazioni del suo gesto contro Cristo, su ciò che significò per la storia della salvezza e quello che insegna alla Chiesa di oggi. Fin dalla prima ora della sua bimillenaria esistenza, la Chiesa ha conosciuto il tradimento al suo interno. Gesù era inviso alla maggioranza della classe dirigente ebraica del suo tempo, ma se essa trova infine il modo di catturarlo e mandarlo a morte è grazie al tradimento di uno della cerchia degli Apostoli. E’ Giuda Iscariota che consegna Cristo ai suoi nemici. E Giuda, scrivono i Vangeli, era “uno dei Dodici”. Concludendo la sua personale galleria di ritratti degli Apostoli, Benedetto XVI affronta la storia dell’uomo il cui nome, osserva all’inizio, “suscita tra i cristiani un’istintiva reazione di riprovazione e di condanna”. In quella catechesi, il Papa si pone le due domande che, quando si parla di Giuda, tutti si pongono: perché Gesù lo chiamò con sé? E perché decise di tradire chi lo aveva scelto? Il “mistero della scelta rimane”, afferma Benedetto XVI. E pur avanzando “ipotesi”, anche le ragioni contingenti del tradimento, delusione verso un leader non politico, pura e semplice avidità di denaro, non sono più chiare.
“In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che ‘il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo’…In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno” (18 ottobre 2006).
Ciò non vuol dire che Giuda abbia semplicemente ceduto a una forza soprannaturale che, per quanto malefica, era preponderante rispetto alla sua volontà. Vuol dire esattamente il contrario. Giuda, afferma il Papa, rompe gli indugi mentre si trova nel Cenacolo, poco dopo che Gesù, in un atto di suprema umiltà, gli ha lavato i piedi pur sapendo che, in quell’uomo, la vera sporcizia è annidata altrove.
“È la superbia che non vuole confessare e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione. In Giuda vediamo la natura di questo rifiuto ancora più chiaramente. Egli valuta Gesù secondo le categorie del potere e del successo...l'amore non conta. Ed egli è avido: il denaro è più importante della comunione con Gesù, più importante di Dio e del suo amore. E così diventa anche un bugiardo, che fa il doppio gioco e rompe con la verità; uno che vive nella menzogna e perde così il senso per la verità suprema, per Dio” (13 aprile 2006: Santa Messa nella Cena del Signore).
Se Pietro, il primo degli Apostoli, che baratta inizialmente la propria incolumità con lo strazio inflitto al suo Maestro, sa trovare lacrime amare di vergogna e di pentimento per la sua debolezza, Giuda, prosegue Benedetto XVI, è l’evidenza di un uomo che “si indurisce”, che pur pentendosi non sa tornare sui suoi passi e “butta via la vita distrutta”. La sua è la disperazione che degenera in “autodistruzione”.
“E’ per noi un invito a tener sempre presente quanto dice San Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua ‘Regola’: ‘Non disperare mai della misericordia divina’. In realtà Dio ‘è più grande del nostro cuore’, come dice san Giovanni. Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono” (13 aprile 2006: Santa Messa nella Cena del Signore).
Su un “gesto inescusabile” come quello di Giuda Dio poi costruisce un passaggio-chiave del suo progetto di redenzione del mondo. Nella sua “superiore conduzione degli eventi”, chiarisce il Papa, il tradimento conduce alla morte di Gesù, che “trasforma” un “tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre”. I minuti restanti della catechesi su Giuda Benedetto XVI li dedica a Mattia, l’uomo che “fu associato agli undici Apostoli” al posto di Giuda. Di lui, riferisce il Papa, “non sappiamo altro, se non che anch’egli era stato testimone di tutta la vicenda terrena di Gesù, rimanendo a Lui fedele fino in fondo”. Una fedeltà culminata in una nomina a discepolo, che lo ricompensa per la sua lealtà e compensa il tradimento di Giuda. Conclusione che vale un inequivocabile insegnamento per le vicende della Chiesa di oggi: “Ricaviamo da qui un’ultima lezione: anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori, spetta a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore” (18 ottobre 2006).

Radio Vaticana

Il card. Kasper: Il ‘Benedetto colui chi viene’ in ogni tempo può rapidamente cambiare nel grido ‘Crocefiggilo’. Il celibato non c'entra con gli abusi

“Come Gesù aveva i suoi nemici anche noi, i cristiani, e la Chiesa ha sempre nemici, non solo oggi ma anche in passato, in ogni secolo e così sarà anche nel futuro. In questi giorni, nei quali non solo il Papa ma tutta la Chiesa, e così ogni fedele cioè ognuno di noi, è frontalmente attaccato e denunciato da alcuni influenti mass media in un modo che oltrepassa ogni lealtà e anche ogni verità, lo sentiamo di nuovo. Non siamo sorpresi! Gesù ce lo ha predetto. Il ‘Benedetto colui chi viene’ in ogni tempo può rapidamente cambiare nel grido ostile ‘Crocefiggilo!’”. Lo ha detto il card. Walter Kasper celebrando ieri, a Roma, nella Parrocchia di Ognissanti, di cui è titolare, la Domenica delle Palme. A riferirlo è l’ufficio stampa orionino che in una nota riporta stralci dell’omelia. “Non c'è motivo di scoraggiarsi ed essere abbattuti – ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei cristiani - sappiamo che la gente che ha benedetto Gesù con canti e palme alla fine ha avuto ragione. Hanno vinto i credenti. Perché la Via Crucis non è finita con la crocifissione con la risurrezione di Pasqua. La Chiesa oggi ha bisogno di una umile pulizia interna da sporcizie inaccettabili e noi tutti ne abbiamo bisogno, ognuno nel suo modo. Però, se ci convertiamo e ci purifichiamo, la Chiesa alla fine uscirà dalla crisi attuale rinnovata, più splendida e bella”. In un'intervista al quotidiano La Stampa, il card. Kasper ha risposto all'ennesima provocazione del card. Carlo Maria Martini, secondo cui va ripensato il celibato dei sacerdoti. "Di sicuro il celibato non ha nulla a che vedere con gli abusi sessuali del clero sui minori. Il Pontefice definisce il celibato un segno della consacrazione con cuore indiviso, l'espressione del dono di sè a Dio e agli altri. Tutti gli esperti documentano che la stragrande maggioranza dei casi avviene nelle famiglie e non in ambiti ecclesiastici. Il Papa ci insegna che il sacerdote non appartiene più a se stesso ma attraverso il sigillo sacramentale ricevuto, diventa proprietà di Dio". E poi secondo il cardinale, "è dimostrato che la pedofilia non ha alcuna attinenza con la tradizione antichissima che impedisce ai sacerdoti di sposarsi. Anzi le statistiche sugli abusi ci dicono esattamente il contrario".

SIR, Apcom

Benedetto, cinque anni sotto attacco. Da Ratisbona ai lefebvriani, dal Concilio alla pedofilia. Il Papa governa 'con il pensiero e la preghiera'

di Paolo Rodari
Il Foglio

Era il 10 marzo scorso. Mentre i casi di preti accusati di aver commesso abusi su minori investivano la Germania, Benedetto XVI spiegava in Piazza San Pietro la sua idea di governo della Chiesa. Prese esempio da San Bonaventura dicendo che per lui “governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e pregare”. “Per Bonaventura” disse “non si governa la Chiesa solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime”. Dal 10 marzo a oggi Ratzinger non è più tornato sull’argomento. Ma di fronte alle accuse sulla gestione della Chiesa che si sono fatte sempre più importanti – le ultime dicono di un New York Times che riporta i casi di due preti pedofili, lo statunitense Lawrence C. Murphy e il tedesco Peter Hullermann, per mettere in discussione il Ratzinger cardinale, prefetto dell’ex Sant’Uffizio dal 1981 – ha risposto mettendo in pratica l’insegnamento del teologo francescano. Ovvero lasciando un proprio “pensiero illuminato”, come vuole essere la Lettera pastorale alla Chiesa d’Irlanda.
Così è sempre successo nel corso dei suoi cinque anni di pontificato, che ricorrono il 19 aprile prossimo. Le parole sono il primo modo con cui il Papa guida e indirizza la Chiesa, consapevole che la divulgazione dell’autentico pensiero cristiano è la vera “spada” portata nel mondo. “Intendiamoci – spiega il vaticanista Luigi Accattoli – non è una novità. Reazioni furenti al pensiero del Papa avvennero già in passato”. Quale l’elemento scatenante? “L’idea che il Papa vuole tornare indietro, a prima del Concilio, agli anni bui dell’era tridentina. Che le sue parole sono retrograde se paragonate alla cultura contemporanea, al progressismo dei tempi nuovi. Paolo VI scrisse l’Humanae Vitae e dopo un primo momento di speranza per la cultura mediatica di stampo più ‘liberal’ divenne d’un colpo il Papa del diavolo. ‘Il Papa e il diavolo’, scrisse non a caso Vittorio Gorresio nel 1973. ‘La svolta di Paolo VI’ scrisse il vaticanista de L’Espresso, l’ex prete Carlo Falconi nel 1978. Dove per svolta s’intende l’accento preconciliare che Montini volle dare al proprio pontificato con l’Humanae Vitae. Le medesime accuse vennero rivolte a Giovanni Paolo II. Fino al 1989 Wojtyla era una speranza per tutti. Dopo la caduta del Muro di Berlino il suo pensiero non serviva più, e arrivarono le critiche. Ma il più retrogrado per la stampa era Ratzinger. ‘Restaurazione’ titolarono tutti i giornali quando nel 1985 anticiparono l’uscita del suo "Rapporto sulla fede" scritto con Vittorio Messori. ‘Restaurazione’, una parola che suonava quasi come un’infamia”.
Tutto comincia il 22 dicembre 2005. Benedetto XVI tiene il suo primo discorso alla Curia romana. E lancia la sfida a coloro che vorrebbero una Chiesa non tanto “per il mondo”, o “vicina al mondo”, ma una Chiesa “del mondo”. Ratzinger parla del Concilio. Dice che non fu una rottura col passato. Spiega che chi svolge questa interpretazione altro non fa che allinearsi alla “simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna”. “E’ il 22 dicembre del 2005 che tutti hanno definitivamente capito chi è Ratzinger” dice il primo dei vaticanisti, Benny Lai. “E’ qui che tutti hanno intuito con chi avrebbero avuto a che fare. Fino al 2005 c’era ancora qualcuno che sperava che il primo Ratzinger, quello ritenuto più progressista, sarebbe tornato. E invece non fu così. Ma già ai tempi del Concilio in molti presero un abbaglio ritenendo che Ratzinger fosse un teologo progressista. Lo pensava anche il cardinale Giuseppe Siri. La prima volta che lo vide non ne ebbe una buona impressione. Ma poi Ratzinger dimostrò d’essere altro dall’etichetta che gli era stata appiccicata addosso inizialmente. Ed è questo cambiamento che ancora oggi dà fastidio fuori e dentro la Chiesa”.
Dal discorso alla Curia romana a oggi il “Ratzinger pensiero” si è manifestato in più forme andando a scatenare la reazione indignata di diversi mondi. “Beninteso” dice ancora Benny Lai, “va detto che Ratzinger parte svantaggiato rispetto a Wojtyla perché per lui la folla non ha una funzione terapeutica, come ce l’aveva per il Papa polacco. Ma il problema è all’origine. Folla o non folla sono i contenuti che porta che danno fastidio e che generano avversioni. Anche nel caso dei preti pedofili: quanto fastidio dà, dentro la Chiesa, il fatto che Ratzinger continui a insistere sul celibato dei preti? Comunque il Papa non si scompone. Come ha fatto quando gli venne negata la possibilità di parlare alla Sapienza. Non si presentò nell’aula magna ma mandò ugualmente il suo discorso e lasciò un segno: ‘Non voglio imporre la fede’ disse. E tutti i giornali ci fecero il titolo. E la stessa cosa avvenne quando partì per l’Africa. Disse che l’Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi. Apriti cielo. L’intellighenzia laica di mezza Europa lo attaccò. Ma aveva detto una cosa giusta: per combattere l’Aids serve un’educazione dell’uomo che lo porti a considerare il proprio corpo in modo diverso. L’opposto, insomma, di una concezione narcisistica e autoreferenziale della sessualità”.
Un’altra reazione importante a Benedetto XVI si ebbe, già prima, a Ratisbona. Parlò del rapporto tra fede e ragione. Toccò il nesso esistente tra religione e civiltà spiegando che convertire usando la violenza è contro la ragione e Dio. La citazione di una frase di Manuele II Paleologo, secondo il quale Maometto introdusse solo “cose cattive e disumane come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede” scatenò l’indignazione del mondo musulmano. “Quella pagina” spiega Piero Gheddo, missionario, giornalista e scrittore del Pime, “è sintomatica di cosa sia questo pontificato. Parte del mondo musulmano reagì indignato. Eppure le parole del Papa restarono. Perché alle sue parole non si può sfuggire. E, infatti, il suo discorso produsse frutto. Un anno fa, ad esempio, sono stato in Bangladesh. Qui diversi musulmani stanno lavorando sulle parole del Papa in particolare sul rapporto che ci deve essere tra fede e ragione”.
Ratzinger ferisce non solo quando parla. Ma anche quando prende decisioni che entrano nel cuore della vita della Chiesa. Tra queste, la firma del "Summorum Pontificum" che ha liberalizzato il rito antico e la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani. Il ripristino della Messa antica provocò reazioni soprattutto in Francia. “Che cosa dice a coloro che in Francia temono che il "Summorum Pontificum" segni un ritorno indietro rispetto alle grandi intuizioni del Vaticano II?” chiesero i giornalisti al Papa nel settembre del 2008, sull’aereo che lo portava verso Parigi. “E’ una paura infondata” rispose il Papa. “Perché questo Motu Proprio è semplicemente un atto di tolleranza, a fini pastorali, per persone che sono state formate in quella liturgia, la amano, la conoscono, e vogliono vivere con quella liturgia”. L’accusa è sempre la medesima: il Papa vuole tornare a prima del Concilio. E, quindi, è contro la modernità. E’ la stessa accusa che in molti hanno rivolto al Papa quando revocò la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Anche qui Ratzinger reagì spiegando: da una parte “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962”. Dall’altra disse a coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio che “chi vuole essere obbediente al Vaticano II, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
Il Vaticano II ritorna sempre. La revoca della scomunica ai lefebvriani è per il mondo ebraico un ritorno a un passato ostile. Tra i quattro vescovi lefebvriani c’è Richard Williamson, negazionista quanto alla Shoah. Benedetto XVI è costretto a ribadire un concetto per lui ovvio, e cioè che non condivide in nulla la posizione del vescovo. Ma si capisce che parte del mondo ebraico non è soddisfatta. Del resto, è dalla visita ad Auschwitz e dal viaggio in Terra Santa che diversi rabbini di città importanti, soprattutto europee, criticano Ratzinger giudicando insufficienti la maggior parte delle parole che egli dedica agli ebrei. Dal tedesco Ratzinger si vuole di più, anche se è uno dei teologi che più hanno lavorato per il riavvicinamento con l’ebraismo. Ma nonostante le pressioni il Papa continua per la sua strada decidendo di comunicare, a pochi giorni dalla visita alla sinagoga di Roma, la firma del decreto sulle virtù eroiche di Pio XII, ultimo passo prima della beatificazione. Il mondo ebraico reagisce. Ma il Papa ha deciso e in sinagoga ridice un concetto già più volte espletato: “La sede apostolica svolse un’azione di soccorso verso gli ebrei spesso nascosta e discreta”.
C’è anche un certo mondo protestante che non comprende Ratzinger. E’ del novembre scorso la Costituzione Apostolica "Anglicanorum" Coetibus con la quale quei gruppi di anglicani che lo desiderano possono tornare con Roma. Il Papa ha spiegato il gesto come una risposta a una richiesta avanzata dagli stessi anglicani. Ma molti anglicani e anche parte della Chiesa Cattolica non l’hanno capito e l’hanno accusato di saper pescare “soltanto a destra”, ovvero in quei settori della cristianità scontenti per le derive progressiste e ‘liberal’ delle proprie chiese. Il primo febbraio scorso il Papa risponde alle accuse. E ai vescovi d’Inghilterra e Galles ricevuti in visita ad limina dice: “Vi chiedo di essere generosi nel realizzare le direttive della costituzione apostolica per assistere quei gruppi di anglicani che desiderano entrare in piena comunione con la chiesa cattolica. Sono convinto che questi gruppi saranno una benedizione per tutta la chiesa”. Dice Piero Gheddo: “Ho girato il mondo e ho conosciuto diverse realtà anglicane. Perché vogliono tornare in comunione con Roma? Perché una Chiesa che apre al mondo in modo sconsiderato accettando l’ordinazione femminile e i matrimoni gay non ha senso. Il Papa combatte per salvaguardare una Chiesa ancorata alla verità e per questo c’è chi lo osteggia”.

Pasqua 2010. Su 'Pope2You' in diretta streaming e con commento in 5 lingue le celebrazioni presiedute dal Papa. Sul sito anche cartoline augurali

In occasione della Settimana Santa e della Pasqua, Pope2You (www.pope2you.net) permetterà di vivere in video e audio streaming direttamente da Roma le celebrazioni presiedute da Benedetto XVI. Per la prima volta questo portale per i giovani, promosso dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, trasmette in simultanea questi eventi con commenti in ben 5 lingue. Chi si collegherà a Pope2You potrà seguire in diretta streaming le celebrazioni papali, ascoltando l'audio in italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco. Il servizio è fornito e promosso dal Centro Televisivo Vaticano, dalla Radio Vaticana e dal servizio internet della Santa Sede (www.vatican.va), con il supporto tecnico dell'agenzia H2onews. Oltre a questo servizio, Pope2You ripropone ancora una raccolta di cartoline augurali per le festività pasquali con bellissime immagini del Santo Padre, da condividere con i propri amici su Facebook, oltre che da inviare ai propri contatti e-mail o scaricare sul proprio computer.

Zenit