lunedì 8 ottobre 2012
Wuerl: in che modo promuovere una fiducia rinnovata nella Verità della fede, la sfida del Sinodo. Celli: i nuovi media e il grande tema del linguaggio
In che modo promuovere “una fiducia rinnovata nella Verità della fede”? È questa la sfida principale al centro dei lavori dell’Assemblea sinodale iniziata questa mattina in Vaticano. A sintetizzarla, in questi termini, è stato il relatore generale del Sinodo, il card. Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington, intervenendo oggi, nella Sala Stampa vaticana, alla conferenza stampa di presentazione della “Relazione prima della discussione”. Il tema di questo Sinodo, ha detto il cardinale, “riguarda la Chiesa che guarda al futuro. Da qui l’impegno nella nuova evangelizzazione”. Nella “mia relazione”, ha spiegato, “ho cercato di sintetizzare tutto il lavoro preparatorio” che ha portato a questo Sinodo e di elencarne “gli obiettivi”. Filo conduttore l’interrogativo: “Come comunicare il Vangelo oggi”?. Nel mondo occidentale, infatti, “l’influenza del laicismo è diventata tale che tanti elementi della nostra cultura, come il matrimonio e la famiglia, sono stati sviliti. È come se lo tsunami del laicismo avesse travolto il mondo occidentale. Tutto è stato indebolito”. Per questo, “la nuova evangelizzazione ci chiama” a promuovere “un apprezzamento ex novo” del Vangelo, della “voce di Cristo”. In questo scenario, ha proseguito il card. Wuerl, un “elemento incoraggiante” è rappresentato dalle “nuove generazioni che sono alla ricerca di risposte che si trovano nel Vangelo. A noi spetta il compito di trovare il modo di diffondere il Vangelo a persone che pensano di conoscerlo ma in realtà non lo conoscono”. Per questo è importante “recuperare la nostra identità di cristiani”. In questa assemblea sinodale, ha detto il relatore generale, si cercherà di vedere “quali cose funzionano in diverse parti del mondo” nell’annuncio del Vangelo. Si cercherà di “condividere tutto ciò che funziona” per “raggiungere i lontani, le persone che non si sono appropriate della propria fede” ma anche i “giovani adulti” che “sono alla ricerca della Verità”. La nuova evangelizzazione, ha spiegato il cardinale, è finalizzata a “raggiungere queste persone”. Il card. Wuerl ha augurato che ci sia “una riaffermazione della fiducia nel Vangelo a livello individuale e a livello istituzionale. Sarebbe molto bello, infatti, che alcune istituzioni cattoliche - come scuole, ospedali, etc. - esprimessero il loro essere oltre a perseguire il compito specifico loro affidato”. Ed ha concluso sottolineando che “non basta annunciare la fede ma occorre viverla” perché “non è questione di parole ma anche di azioni”.
“Questo Sinodo ci aiuti a sognare e a sperare”. È l’augurio di mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e della Commissione per l’informazione della del Sinodo dei vescovi, intervenendo alla conferenza stampa. Mons. Celli ha ricordato le parole di Giovanni XXIII in apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, “Gaudet Mater Ecclesia” (“La Madre Chiesa si rallegra”), per sottolineare l’atteggiamento di gioia con cui “la Chiesa guarda al futuro con speranza”. Circa il tema del Sinodo - “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” - l’arcivescovo ha spiegato che “al di là delle nostre progettazioni occorre ricordare quanto Dio ama l’uomo e si fa presente nel suo cammino”. Mons. Celli si è anche soffermato sull’“importanza dei nuovi media”. La Chiesa, ha detto, è chiamata “ad annunciare il Vangelo nel contesto della cultura digitale”. Da qui il “grande tema del linguaggio”: “Come comunicare? Con che linguaggio parlare all’uomo di oggi?”. La Chiesa, ha concluso, “si pone il problema di come essere accanto all’uomo con atteggiamento di grande simpatia. Con audacia e saggezza. Senza lasciare nulla d’intentato, anche dinanzi alla tecnologia a nostra disposizione”.
SIR
“Questo Sinodo ci aiuti a sognare e a sperare”. È l’augurio di mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e della Commissione per l’informazione della del Sinodo dei vescovi, intervenendo alla conferenza stampa. Mons. Celli ha ricordato le parole di Giovanni XXIII in apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, “Gaudet Mater Ecclesia” (“La Madre Chiesa si rallegra”), per sottolineare l’atteggiamento di gioia con cui “la Chiesa guarda al futuro con speranza”. Circa il tema del Sinodo - “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” - l’arcivescovo ha spiegato che “al di là delle nostre progettazioni occorre ricordare quanto Dio ama l’uomo e si fa presente nel suo cammino”. Mons. Celli si è anche soffermato sull’“importanza dei nuovi media”. La Chiesa, ha detto, è chiamata “ad annunciare il Vangelo nel contesto della cultura digitale”. Da qui il “grande tema del linguaggio”: “Come comunicare? Con che linguaggio parlare all’uomo di oggi?”. La Chiesa, ha concluso, “si pone il problema di come essere accanto all’uomo con atteggiamento di grande simpatia. Con audacia e saggezza. Senza lasciare nulla d’intentato, anche dinanzi alla tecnologia a nostra disposizione”.
SIR
Santa Sede: nessun dossier sul tavolo card. Bertone sui bilanci della Fabbrica di San Pietro, l'articolo de 'Il Messaggero' del tutto disinformato

TMNews
COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
Card. Wuerl: i cristiani superino la sindrome dell’imbarazzo di annunciare il tesoro semplice, genuino e tangibile dell’amicizia con Gesù a favore della volontà e il desiderio di condividere la fede anche con chi se ne è allontanato o è in ricerca
La “Relazione prima della discussione”, pronunciata in latino, del cardinale relatore generale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington è, insieme, appassionata e lucida. Partendo dal principio che ciò che si proclama “non è un’informazione su Dio, ma piuttosto Dio stesso” fattosi uomo, il porporato non esita ad affrontare il difficile contesto della nuova evangelizzazione nella società contemporanea, in cui esiste “la separazione intellettuale ed ideologica di Cristo dalla sua Chiesa”, la “barriera dell’individualismo” che fa decadere la responsabilità dell’uomo nei confronti dell’altro; il razionalismo che trasforma la religione in una “questione personale”; la “drastica riduzione della pratica della fede” tra i battezzati. Questo volto della società che cambia “in modo drammatico”, spiega il card. Wuerl,affonda le sue radici negli anni ’70 e ’80, decenni di “catechesi veramente scarsa”, di discontinuità, di “aberrazioni nella pratica della liturgia”.
“È stato come se uno tsunami di influenza secolare - dice il porporato - portasse via con sé indicatori sociali come il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione fra bene e male”. E non solo: “i peccati di pochi” hanno alimentato la sfiducia nelle strutture della Chiesa.
“Una delle sfide che oggi fa crollare la nuova evangelizzazione e allo stesso
tempo crea una barriera è l’individualismo”, l’analisi del cardinale, secondo il
quale “la nostra cultura e l’enfasi in gran parte della società moderna esaltano
l’individuo e minimizzano il necessario rapporto di ognuno con gli altri”.
“Nella nostra società, che esalta la libertà individuale e l’autonomia, la
realizzazione e la supremazia della persona, è facile perdere la nostra
dipendenza dagli altri, insieme alle responsabilità che abbiamo nei loro
confronti”, ha affermato il relatore generale. “La secolarizzazione - ha affermato il cardinale -
ha modellato due generazioni di cattolici che non conoscono le preghiere
fondamentali della Chiesa. Molti non percepiscono il valore della partecipazione
alla messa, non ricevono il sacramento della penitenza e spesso hanno perso il
senso del mistero o del trascendente”. Tutto ciò ha fatto sì che “una grande
parte di fedeli fosse impreparata ad affrontare una cultura caratterizzata dal
secolarismo, dal materialismo e dall’individualismo”. Tuttavia, non mancano segnali positivi lanciati dai giovani, dai bambini e dai loro genitori. In una parola: dalla famiglia, “modello-luogo della nuova evangelizzazione”, “primo elemento costitutivo della comunità”, così spesso sottovalutata e ridicolizzata dalla società contemporanea. E se i missionari del passato hanno coperto “immense distanze geografiche” per annunciare il Vangelo, i missionari del presente devono superare “distanze ideologiche altrettanto immense”, senza neppure uscire dal quartiere.
“La nuova evangelizzazione non è un programma – sottolinea Wuerl – Si tratta di un nuovo modo di pensare, di vedere e di agire. È come una lente attraverso cui vediamo le opportunità di proclamare di nuovo il Vangelo”.
Di qui, l’invito ad avere, nella verità del messaggio cristiano, “una nuova fiducia”, spesso erosa da un sistema di valori laici impostosi come superiore allo stile di vita proposto da Gesù. Oggi, dunque, “i nostri sforzi per diffondere il Vangelo non ci portano più
necessariamente in terre straniere e verso popoli lontani”: “Coloro che hanno
bisogno di sentir parlare di Cristo sono vicini a noi, nei nostri quartieri e
nelle nostre parrocchie, anche se i loro cuori e le loro menti sono lontani da
noi. I missionari della prima evangelizzazione hanno coperto immense distanze
geografiche per portare la Buona Novella. Noi, missionari della Nuova
Evangelizzazione, dobbiamo superare distanze ideologiche altrettanto immense,
spesso prima ancora che usciamo fuori del nostro quartiere o della nostra
famiglia”. Di qui la necessità, per i credenti, di “superare la sindrome
dell’imbarazzo” di annunciare “il tesoro semplice, genuino e tangibile dell’amicizia con Gesù”, a favore della “volontà e il desiderio di condividere la fede”
anche con chi se ne è allontanato o è in ricerca. Tale annuncio, però, esorta il relatore generale, sia testimoniato nella vita, perché evangelizzare significa offrire l’esperienza dell’amore di Gesù e non “una tesi filosofica di comportamento”.
Tre, quindi, i fondamenti dell’evangelizzazione: quello antropologico, che dice che ogni uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio ed ha in sé il desiderio naturale di comunione con il trascendente; quello cristologico, per il quale il Cristo si è rivelato e non è una creazione sociologica o un’aberrazione teologica; ed il fondamento ecclesiologico, che porta la salvezza di Cristo “dentro e attraverso la Chiesa”.
Il porporato allarga, inoltre, lo sguardo ai movimenti e alle comunità ecclesiali, “segno della nuova evangelizzazione”. Ne cita tre per tutti, Comunione e liberazione, Opus Dei ed il Cammino Neocatecumenale, ed esorta tutti ad “integrare più pienamente le loro energie e attività nella vita di tutta la Chiesa”. Inoltre, continua il porporato, è vero che Gesù non ha promosso “un particolare programma politico”, però ha stabilito principi di base fondamentali per la libertà e la dignità umana e per l’ordine morale naturale, che si devono riflettere anche nella politica.
Infine, quattro sono le caratteristiche dell’evangelizzatore di oggi, conclude l’arcivescovo di Washington: avere coraggio, quel “pacifico coraggio” di San Massimiliano Kolbe o di Madre Teresa di Calcutta; essere in comunione con la Chiesa e solidale con i suoi pastori; annunciare con gioia il messaggio di Dio; avvertire l’urgenza di una missione “troppo importante” per la quale “non c’è tempo da perdere”.
Radio Vaticana, SIR
RELATIO ANTE DISCEPTATIONEM DEL RELATORE GENERALE, CARD. DONALD WILLIAM WUERL, ARCIVESCOVO DI WASHINGTON (USA)
Radio Vaticana, SIR
RELATIO ANTE DISCEPTATIONEM DEL RELATORE GENERALE, CARD. DONALD WILLIAM WUERL, ARCIVESCOVO DI WASHINGTON (USA)
Mons. Eterović: la nuova evangelizzazione ha per finalità la trasmissione della fede cristiana, tale trasmissione, poi, si svolge in un ambiente religioso, culturale e sociale che richiede una nuova evangelizzazione
Il tema di questa Assemblea sinodale “rappresenta il risultato di un’ampia consultazione dell’episcopato mondiale e della sollecitudine pastorale” del Papa. È quanto ha ricordato questa mattina mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, nella sua relazione all’apertura dei lavori. Benedetto XVI, ha spiegato il segretario generale, “ha voluto inserire la riflessione sulla trasmissione della fede cristiana nel contesto della nuova evangelizzazione sottolineandone la complementarità: la nuova evangelizzazione ha per finalità la trasmissione della fede cristiana; tale trasmissione, poi, si svolge in un ambiente religioso, culturale e sociale che richiede una nuova evangelizzazione”. Rivolgendosi ai 256 Padri sinodali presenti, mons. Eterović ha sottolineato che “il Vangelo rimane lo stesso, ma cambiano le situazioni umane, religiose, culturali e sociali nelle quali tale Parola di salvezza deve essere vissuta e trasmessa agli altri. La condizione indispensabile per tale urgente opera missionaria è la fede, misura del dinamismo apostolico”. Mons. Eterović ha fatto poi il punto sull’attività svolta in questi anni dalla segreteria generale del Sinodo, “espressione della comunione tra i vescovi” e “dell’unità” con il Papa, “capo di tale collegio”. Il segretario generale del Sinodo dei vescovi ha anche fornito “alcune indicazioni pratiche, utili per l’assemblea sinodale in corso”: “Come nelle ultime assisi sinodali, ogni Padre sinodale avrà a disposizione 5 minuti per il suo intervento”, mentre “per i delegati fraterni come pure per le uditrici e gli uditori sono previsti interventi, ognuno di 4 minuti”. Oggi pomeriggio, ha proseguito mons. Eterović, “interverranno i rappresentanti dell’episcopato dei 5 continenti che cercheranno di dare uno sguardo d’insieme circa il tema della nuova evangelizzazione e della trasmissione della fede cristiana nei rispettivi continenti. Ognuno di essi avrà a disposizione 10 minuti”. Al termine delle Congregazioni generali pomeridiane “è prevista la discussione libera dalle 18.00 alle 19.00. Ogni Padre sinodale potrà intervenire per non oltre 3 minuti, con una sola eventuale replica”. Durante quest’assise sinodale “sono previste alcune discussioni tematiche”: l’8 ottobre sulla relazione del relatore generale, card. Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington; il 9 sulla recezione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale “Verbum Domini”, dopo l’intervento del card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi. Discussioni tematiche, ha fatto sapere mons. Eterović, “dovrebbero far seguito anche a due altre relazioni”: l’intervento di Rowan Douglas Williams, arcivescovo di Canterbury e primate di tutta l’Inghilterra e della Comunione anglicana, che parlerà il 10 ottobre, e quello di Werner Arber, docente di microbiologia nel “Biozentrum” dell’Università di Basilea (Svizzera) e presidente della Pontificia Accademia delle scienze, che interverrà il 12 ottobre. Anche per quest’assemblea sinodale, ha proseguito il segretario generale del Sinodo, “saranno adoperati gli apparecchi di votazione elettronica”. Tuttavia, “considerando l’importanza delle votazioni delle Proposizioni e la prassi collaudata, tale votazione sarà fatta sia per iscritto sia in modo elettronico”. Mons. Eterović ha ricordato la presenza di tre invitati speciali: fratello Alois, priore di Taizé (Francia), Lamar Vest, presidente dell’American Bible Society (Usa), e Werner Arber. Inoltre, “nella solenne celebrazione eucaristica dell’11 ottobre, presieduta da Benedetto XVI, è prevista la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I”.
SIR
RELAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI, MONS. NIKOLA ETEROVIĆ
Card. Tong Hon: la prima comunità cristiana nostro modello di evangelizzazione. Il piano salvifico di Dio è sorprendente, con fede, speranza e amore, la nostra missione avrà successo
Dopo la preghiera dell'Ora Terza e la meditazione di Benedetto XVI sono intervenuti il card. John Tong Hon, arcivescovo
di Hong Kong, per il saluto del presidente delegato e mons.
Nikola Eterovic, per la
relazione del Segretario Generale. Dopo l’intervallo è intervenuto il c. Card. Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington, per la "Relatio
ante disceptationem" del Relatore Generale. La Congregazione generale si è
conclusa a mezzogiorno con la recita dell’Angelus Domini guidata dal Santo
Padre. Erano presenti 256 Padri sinodali.
“La Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana rappresenta un tema veramente impellente, in quanto molte persone nel mondo ancora non conoscono Nostro Signore Gesù Cristo, e molti tra i battezzati si sono allontanati dalla pratica della fede”. Così il presidente delegato del Sinodo dei vescovi card. Hon si è rivolto al Santo Padre e ai vescovi presenti. Per il cardinale, oggi “dobbiamo prendere la prima comunità cristiana” come “nostro modello di evangelizzazione”: “I membri di quella comunità possedevano tre qualità che possiamo descrivere con tre parole greche: 'didaché', 'koinonia' e 'diakonia'. 'Didaché' significa dottrina, che non è solamente una teoria, ma piuttosto un incontro personale con Gesù Cristo incarnato, crocifisso e risorto. 'Koinonia' - ha aggiunto il card. Tong Hon - significa comunione a vari livelli: anzitutto con Dio, poi con tutti i membri della Chiesa, quindi con gli uomini di tutto il mondo, in particolare con i poveri. 'Diakonia' significa servizio, poiché Gesù ci ha insegnato a non essere serviti ma a servire, fino al dono totale di sé, che porta alla croce (cfr Mt 20, 28). Queste tre qualità sono già state illustrate a Hong Kong, a Macao e nella Cina continentale”. Il termine “crisi”, ha precisato il cardinale, “in lingua cinese è definito da due caratteri: ‘pericolo’ e ‘opportunità’”: “Per questo motivo, di fronte alla crisi dell’incertezza, perfino i cattolici non praticanti sono tornati in seno alla Chiesa per avere un sostegno spirituale. E molti fedeli hanno partecipato alla catechesi, a corsi biblici e teologici per approfondire la propria fede e diventare evangelizzatori”. Delle tre caratteristiche, ha precisato il card. Tong Hon, “che troviamo esemplificate nella Chiesa primitiva e che si rispecchiano nelle testimonianze di cui abbiamo parlato qui, la didaché mi sembra la più importante, perché Dio opera attraverso di noi come suoi testimoni”. “Oggi, quando ci confrontiamo con la cultura materialistica del mondo e col problema dell’allontanamento di molti cattolici dalla Chiesa, dobbiamo essere testimoni zelanti della nostra fede. Dobbiamo inoltre rivolgere un’attenta considerazione ai giovani - ha concluso il presidente delegato -, come spesso ci ricorda il Santo Padre: '‘Che i giovani diventino evangelizzatori di giovani'. Il piano salvifico di Dio è sorprendente. Sono certo che, con fede, speranza e amore, la nostra missione evangelizzatrice avrà successo”.
SIR
SALUTO DEL PRESIDENTE DELEGATO, CARD. JOHN TONG HON, ARCIVESCOVO DI HONG KONG (CINA)
“La Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana rappresenta un tema veramente impellente, in quanto molte persone nel mondo ancora non conoscono Nostro Signore Gesù Cristo, e molti tra i battezzati si sono allontanati dalla pratica della fede”. Così il presidente delegato del Sinodo dei vescovi card. Hon si è rivolto al Santo Padre e ai vescovi presenti. Per il cardinale, oggi “dobbiamo prendere la prima comunità cristiana” come “nostro modello di evangelizzazione”: “I membri di quella comunità possedevano tre qualità che possiamo descrivere con tre parole greche: 'didaché', 'koinonia' e 'diakonia'. 'Didaché' significa dottrina, che non è solamente una teoria, ma piuttosto un incontro personale con Gesù Cristo incarnato, crocifisso e risorto. 'Koinonia' - ha aggiunto il card. Tong Hon - significa comunione a vari livelli: anzitutto con Dio, poi con tutti i membri della Chiesa, quindi con gli uomini di tutto il mondo, in particolare con i poveri. 'Diakonia' significa servizio, poiché Gesù ci ha insegnato a non essere serviti ma a servire, fino al dono totale di sé, che porta alla croce (cfr Mt 20, 28). Queste tre qualità sono già state illustrate a Hong Kong, a Macao e nella Cina continentale”. Il termine “crisi”, ha precisato il cardinale, “in lingua cinese è definito da due caratteri: ‘pericolo’ e ‘opportunità’”: “Per questo motivo, di fronte alla crisi dell’incertezza, perfino i cattolici non praticanti sono tornati in seno alla Chiesa per avere un sostegno spirituale. E molti fedeli hanno partecipato alla catechesi, a corsi biblici e teologici per approfondire la propria fede e diventare evangelizzatori”. Delle tre caratteristiche, ha precisato il card. Tong Hon, “che troviamo esemplificate nella Chiesa primitiva e che si rispecchiano nelle testimonianze di cui abbiamo parlato qui, la didaché mi sembra la più importante, perché Dio opera attraverso di noi come suoi testimoni”. “Oggi, quando ci confrontiamo con la cultura materialistica del mondo e col problema dell’allontanamento di molti cattolici dalla Chiesa, dobbiamo essere testimoni zelanti della nostra fede. Dobbiamo inoltre rivolgere un’attenta considerazione ai giovani - ha concluso il presidente delegato -, come spesso ci ricorda il Santo Padre: '‘Che i giovani diventino evangelizzatori di giovani'. Il piano salvifico di Dio è sorprendente. Sono certo che, con fede, speranza e amore, la nostra missione evangelizzatrice avrà successo”.
SIR
SALUTO DEL PRESIDENTE DELEGATO, CARD. JOHN TONG HON, ARCIVESCOVO DI HONG KONG (CINA)
Il Papa: il cristiano non deve essere tiepido, la fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, che realmente accende il mio essere, diventa grande passione del mio essere e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione
Questa mattina alle 9.10, alla presenza del Santo
Padre, nell’Aula del Sinodo in Vaticano, hanno avuto inizio i lavori della XIII
Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, sul tema "La nuova
evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Presidente
delegato di turno era il card. John Tong Hon, arcivescovo di Hong Kong. La prima Congregazione generale si è aperta con il canto dell’Ora
Terza, durante la quale Papa Benedetto XVI ha tenuto una meditazione, in cui ha toccato il nervo centrale del Sinodo portando anzitutto nella quiete dell’Aula il rumore e i palpiti di chi nel mondo alza gli occhi al cielo, non vede nulla e continua a chiedersi:
“Dietro il silenzio dell’universo, dietro le nuvole della storia, c’è un Dio o non c’è? E se c’è questo Dio, ci conosce, ha a che fare con noi? Questo Dio è buono e la realtà del bene ha potere nel mondo o no? Questa domanda è oggi così attuale come lo era in quel tempo. Tanta gente si domanda: Dio è un’ipotesi o no? E’ una realtà o no? Perché non si fa sentire? ‘Vangelo’ vuol dire che Dio ha rotto il suo silenzio: Dio ha parlato, Dio c’è...Dio ci conosce, Dio ci ama, è entrato nella storia. Gesù è la sua Parola, il Dio con noi, il Dio che ci mostra che ci ama, che soffre con noi fino alla morte e risorge”.
Ecco la risposta della Chiesa alla grande domanda. Tuttavia, in tono sommesso ma senza giri di parole, il Papa ha posto un secondo quesito, quello vitale per i Padri sinodali: “Dio - ha ripetuto Benedetto XVI - ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato. Ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi affinché diventi salvezza?”. Avendo chiari tre passi fondamentali, che il Papa ha spiegato prendendo spunto dall’Inno dell’Ora Terza recitata poco prima. Primo passo, la preghiera. Gli Apostoli, ha affermato, non crearono la Chiesa “elaborando una costituzione”, ma raccogliendosi in preghiera in attesa della Pentecoste:
“Noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il nostro fare, ma con il fare e il parlare di Dio...Solo Dio può creare la sua Chiesa. Se Dio non agisce, le nostre cose sono solo nostre e sono insufficienti. Solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato”.
Dunque, ha osservato il Papa, non è “una mera formalità” se ogni assise sinodale comincia con la preghiera, ma una dimostrazione di consapevolezza del fatto che “l’iniziativa” è sempre di Dio, che noi possiamo implorarla e che con Dio la Chiesa può solo “cooperare”. Da qui nasce il secondo passo, con quella che in latino si chiama “confessio”, la confessione pubblica della propria fede. Questo atto, ha spiegato il Papa, è più che un professare la fede in Cristo: è una vera e propria “confessione”. Come quella fatta con coraggio davanti a un tribunale, “davanti agli occhi del mondo”, pur sapendo che potrà costare:
“Questa parola ‘confessione’, che nel linguaggio cristiano latino ha sostituito la parola ‘professione’, porta in sé l’elemento martirologico, l’elemento del testimoniare davanti a istanze nemiche alla fede, testimoniare anche in situazioni di passione e di pericolo di morte...Proprio questo garantisce la credibilità: la ‘confessio’ non è qualunque cosa che si possa lasciar anche cadere. La ‘confessio’ implica la disponibilità a dare la mia vita, ad accettare la passione”.
La “confessio” ha però bisogno di un abito che la renda visibile. Ed ecco il terzo passo: la “caritas”. Cioè la più grande forza che deve bruciare nel cuore di un cristiano, la fiamma da cui attingere per appiccare l’incendio del Vangelo attorno a lui:
“C’è una passione nostra che deve crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità...Il cristiano non deve essere tiepido”, perché “la
tiepidezza discredita il cristianesimo”. Al contrario, “la fede deve divenire in
noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere; diventa
grande passione del mio essere e così accende il prossimo. Questo è il modo
dell’evangelizzazione”. “L’Apocalisse - ha spiegato Benedetto XVI - ci
dice che questo è il più grande pericolo del cristiano: no, che dica no; ma che
dica un sì molto tiepido”. In una prospettiva cristiana, ha aggiunto, “la verità
diventa in me carità e la carità accende come fuoco anche l’altro. Solo in
questo accendere dell’altro per la fiamma della nostra carità, cresce realmente
l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma
realtà vissuta”. “La cultura umana - ha fatto notare il Santo Padre - comincia
nel momento nel quale l’uomo ha il potere di creare fuoco: con il fuoco posso
distruggere, ma con il fuoco posso trasformare, rinnovare. Il fuoco di Dio è
fuoco trasformante, fuoco di passione - certamente - che distrugge anche tanto
in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una
novità dell’uomo, che diventa luce in Dio”.
Radio Vaticana, SIR
RIFLESSIONE NEL CORSO DELLA PRIMA CONGREGAZIONE
GENERALE DELLA XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI - il testo integrale della meditazione del Papa
Appello di Gianluigi Nuzzi al Papa: conceda la grazia a Paolo Gabriele. Benedetto XVI un uomo puro in mezzo ai lupi, tra lui e gli scontri del potere una distanza siderale
Un appello "affinché il Papa conceda la grazia al suo ex collaboratore Paolo Gabriele (foto)" e una
riflessione sui motivi che hanno spinto l'ex maggiordomo a portare allo scoperto i segreti nascosti
del Vaticano. A fare entrambi, appello e riflessione, è Gianluigi Nuzzi, giornalista e autore del libro
"Sua Santità": è a lui che Paolo Gabriele ha consegnato quelle carte riservate, sottratte
dall'appartamento privato di Benedetto XVI, ed è con lui che, durante mesi di frequentazione, il
corvo si è sfogato raccontando i perché del suo gesto. Ora Nuzzi racconta e spiega quei perché in
un articolo che esce oggi in contemporanea su Le Monde e El Mundo e, in stralci, sulla Süddeutsche
Zeitung. Quello di Gabriele, scrive Nuzzi, era un gesto fatto per denunciare, "per evidenziare storie
opache che si sviluppano in Vaticano, nuocendo alla Chiesa stessa". C'è da chiedersi, continua il
giornalista, "se il danno alla Chiesa lo cagiona Gabriele che, pur violando la fiducia del Papa, ha
fatto emergere storie di interessi in Vaticano o i protagonisti di quelle vicende". Quello che emerge
dalle parole di Nuzzi è il ritratto di un uomo che ha agito seguendo un fine preciso: rendere pubblici
fatti che, a suo avviso, stavano minando dall'interno il Vaticano. Fatti di cui era all'oscuro lo stesso
Joseph Ratzinger, descritto come "un uomo puro in mezzo ai lupi". Tra il Papa e "gli scontri, le
espressioni più dure del potere" ci sarebbe una distanza siderale, un "vuoto da vertigine tra chi
lavora per la trasparenza e chi coltiva interessi lontani dalle Scritture". Nuzzi, seguendo Gabriele,
racconta un mondo lontano dallo spirito del primitivo cristianesimo e ricorda tre fatti emblematici:
"L'allontanamento di mons. Carlo Maria Viganò, economo della Città del Vaticano promosso a
Washington dopo le denunce al Papa, il durissimo scontro con il segretario di Stato Tarcisio Bertone
e il siluramento di Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior". E poi corruzione e "interessi opachi negli
appalti", casi come quello del presepe in Piazza San Pietro che, ogni anno, costa 250mila euro.
Storie ancora tutte da chiarire, scrive Nuzzi, ma "che spiegano la frustrazione di un uomo solo di
fronte a questi intrighi".
Corriere della Sera
Corriere della Sera
Mons. Maniago, uscito pulito dallo scandalo di Lelio Cantini, dovrebbe essere il nuovo vescovo di Ischia. Mons. Scicluna aveva espresso al Papa il desiderio di tornare a Malta
E' solo una curiosa coincidenza ma lasceranno la penisola nei prossimi mesi per destinazioni geograficamente simili due prelati tra loro coetanei, hanno entrambi 53 anni, il cui nome è legato alle inchieste sugli abusi sessuali, uno perchè se ne è occupato come "promotore di giustizia" dell'ex Sant'Uffizio, guadagnandosi stima e apprezzamento per il suo coraggio e la fedeltà alle severe indicazioni di Papa Ratzinger, mons. Charles Scicluna, che torna in patria come vescovo ausiliare di Malta, e l'altro, mons. Claudio Maniago, dal 2003 ausiliare di Firenze, per essere finito clamorosamente sotto inchiesta, uscendone però pulito.
A mons. Maniago, scrive il sito Orticalab, manca solo l'approvazione del Papa per diventare il nuovo vescovo di Ischia. Nel capoluogo toscano, nel 2007 è stato coinvolto nello scandalo di don Lelio Cantini, il parroco di Firenze che ha abusato sessualmente di alcune ragazze, uscendo però pulito dall'oscura vicenda nonostante le accuse pesantissime di due dipendenti laici della Curia e di due sacerdoti.
A Firenze, Maniago è attualmente vicario generale dell'ex segretario della CEI Giuseppe Betori, elevato alla dignità cardinalizia da Benedetto XVI lo scorso febbraio. La diocesi di Ischia attende il nuovo vescovo da quando, nel luglio scorso, monsignor Filippo Strofaldi, 72 anni compiuti ad agosto, si è dimesso per gravi motivi di salute.
Il trasferimento a Malta del pm Scicluna, che l'anno scorso sembra che avesse rifiutato un più prestigioso incarico vescovile per restare al suo posto e non abbandonare la trincea ratzingeriana della lotta in atto contro la pedofilia e l'omertà diffusa nella Chiesa, è stato commentato con amarezza su molti siti internet. Tuttavia il prelato era promotore di giustizia dal 1995 e quindi un avvicendamento in questo ruolo è normale, anche perchè per un pastore è molto pesante essere sempre immerso negli aspetti più negativi della vita ecclesiale. Inoltre, a quanto si apprende, aveva espresso al Papa il desiderio di tornare in patria per stare più vicino alla sua famiglia.
Agi
www.orticalab.it/Sara-Maniago-il-nuovo-vescovo-di
Agi
www.orticalab.it/Sara-Maniago-il-nuovo-vescovo-di
Giustizia esemplare: che cosa insegna il processo a Paolo Gabriele. Possibile che in futuro vengano prese nuove iniziative a seconda di se e quali altre evidenze dovessero emergere
Si è parlato molto, giustamente, del processo a Paolo Gabriele (nella foto con Benedetto XVI).
Giustamente perché l’oggetto del giudizio, a parte l’inusualità dell’evento in sé, un processo penale in Vaticano non si vedeva probabilmente da oltre un secolo, riguardava una materia, il "furto in casa del Papa", inaudita e, francamente, inaudibile. Nel senso di inconcepibile, inimmaginabile, al di là della fantasia, se non fosse, com’è effettivamente, accaduto. Giusto, dunque, parlarne, aprire alla stampa di ogni continente le porte del tribunale dello Stato più piccolo del mondo, rendere pubblico il pur rapido procedimento in ogni sua fase. Un po’ meno giusto, anzi non poco distorto, invece, come questo processo sia stato generalmente visto, raccontato, commentato. Presentandolo come "il processo sui vatileaks", ossia sui responsabili della fuga e della pubblicazione dei documenti riservati della Curia romana, alcuni, molti, addirittura personali del Papa.
Processo che il Vaticano avrebbe istruito in fretta e chiuso in fretta per mettere una sorta di pietra tombale su una vicenda, al di là di ogni altra considerazione, senza dubbio triste, prima ancora che imbarazzante. E dove i "veri responsabili" sono, dunque, destinati a restare impuniti.
Inutile tornare a ripetere che si tratta di una lettura di quanto è successo tanto diffusa quanto distorta, e non si tratta certo di un dettaglio. Perché quello celebrato non è stato un processo sul caso Vatileaks, ma un processo per furto. E, come più volte ripetuto anche dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, è possibile che in futuro vengano prese nuove iniziative a seconda di se e quali altre evidenze dovessero emergere.
Il punto da sottolineare oggi, tuttavia, non è questo. Quanto, piuttosto, ciò che questo processo così rapido, e nel medesimo tempo così trasparente, ha messo in evidenza. A cominciare dalla mitezza di una pena erogata al colpevole (al quale "è un’eventualità molto concreta" che il Papa concederà la grazia, ha specificato Lombardi) che mostra quasi il disagio, il pudore, con cui la Chiesa ha affrontato questa vicenda. In questo senso è illuminante come fin nella stesura della sentenza, riconoscendo e dimostrando di comprendere le ragioni umane ("pur erronee") di chi ha sbagliato, per la Chiesa anche la somministrazione della giustizia secolare non può mai separarsi dalla misericordia. Perché la Chiesa non è, mai, per 'punire', ma per aiutare chi è caduto a sollevarsi di nuovo. Non cerca vendetta ma, appunto, giustizia, e per questo non perde mai di vista l’umanità della persona.
E così la stessa rapidità di istruttoria e giudizio, l’immediatezza con cui la corte ha aperto un fascicolo per appurare se Gabriele abbia o meno subito una detenzione non dignitosa, e anche l’essere riusciti, nonostante le pressioni dei media di tutto il mondo, a non trasformare il processo in una sorta di reality show, tutto ciò è un ulteriore segnale di quell’atteggiamento. Di un’attenzione che non è forma, ma sostanza. Non c’è dubbio che Benedetto XVI desideri, anche nel complesso di questa vicenda che tanto lo ha "rattristato e colpito", che sia fatta una pulizia profonda, senza reticenze e, soprattutto, senza che nulla sia nascosto. Ma, appunto, senza che mai si smarrisca quella dimensione di amore che, connaturata alla Chiesa, non tradisce la giustizia ma la rende, se possibile, ancora più giusta.
Salvatore Mazza, Avvenire
Salvatore Mazza, Avvenire
Vian: lo sguardo mediatico preferisce soffermarsi sulle ombre e sulle infedeltà della Chiesa, che certo non mancano ma sono affrontate con coraggio, e mai come in questo Pontificato
Nella Chiesa le ombre e le infedeltà certo non mancano, ma sono affrontate con coraggio, e mai come in questo Pontificato.
Lo scrive L'Osservatore Romano, nell'editoriale dedicato dal direttore Giovanni Maria Vian, ai 50 anni del Concilio Vaticano II. Vian rileva che"lo sguardo mediatico preferisce soffermarsi" sugli aspetti negativi, ma invita a non dimenticare "la volontà di rinnovamento della Chiesa" che fu espressa in quella storica assise e rileva che "nel cattolicesimo mondiale coerenti con questa volontà sono stati in complesso i decenni da allora trascorsi, nonostante le contraddizioni, le mancanze e i limiti inevitabili in ogni realtà umana, e nonostante stereotipi tenaci che hanno cercato e cercano continuamente di diffondere visioni contrarie ma non rispettose della realtà".
"Ci si può chiedere - continua l'edtoriale - quanto e che cosa di questo richiamo riuscirà ad arrivare alle donne e agli uomini di oggi, in un mondo globale disorientato e che sembra spesso in balia di un flusso senza precedenti di informazioni: non sono forse inevitabilmente destinate a imporsi immagini parziali e notizie distorte? Certo - conclude Vian - molta responsabilità è di chi questo messaggio trasmette" e si lascia condizionare da "sordità, insensibilità, volontà pervicaci di non capire, nonostante lo sforzo evidente di quell''aggiornamento' intuito e incarnato da Giovanni XXIII e continuato dai suoi successori, che altro poi non è se non desiderio di fedeltà al Vangelo e alle mutevoli necessità del suo annuncio".
Agi
Agi
La strategia del danno ridotto: Paolo Gabriele non sarà interdetto dagli uffici e potrà restare nell'appartamento che gli hanno dato in Vaticano
Una battutaccia che girava ieri Oltretevere è che adesso gli avrebbero trovato un lavoro tranquillo,
lontano dalle tentazioni dell'intelligence e dalle frequentazioni col potere, in un ufficio decentrato
con mansioni che aveva già mostrato di svolgere con perizia: magari, considerata l'esperienza, a
fare fotocopie. Ma non è che lo scherzo sia poi così lontano dalla realtà.
In Vaticano, rispetto al corvo, è iniziata quella che si potrebbe definire una strategia di riduzione del
(già notevole) danno. La stessa che trapelava nella richiesta del promotore di giustizia Nicola
Picardi, una richiesta tutta particolare ("questa è una mia invenzione", ha sorriso ironico il pm
vaticano) che prevedeva per l'ex maggiordomo "l'interdizione perpetua, ma limitata, dai pubblici
uffici" e cioè, ha spiegato, la possibilità per l'imputato di tornare sì a lavorare nello Stato della Città
del Vaticano, ma in uffici che però fossero lontani dall'"uso del potere". La corte non ne ha fatto
menzione nella sentenza, il che significa che Paolo Gabriele (nella foto con Benedetto XVI) non sarà interdetto dagli uffici vaticani.
Ma la sostanza della proposta resta valida.
In teoria, il regolamento generale della Curia del 30 aprile 1999, in tema di violazioni del "segreto
d'ufficio", all'articolo 76 adombra il "licenziamento" per chi, tra l'altro, viola il "segreto pontificio",
materia delicatissima e tuttora disciplinata dall'Istruzione "Secreta continere" approvata da Paolo VI
il 4 febbraio 1974. Ma in questo processo si parlava solo di "furto aggravato" e in Vaticano adesso
spiegano che il licenziamento è una misura limite per "casi gravi" e insomma non è il caso per uno
condannato a 18 mesi. Una sentenza considerata peraltro "mite". Paolo Gabriele, del resto, fu
'sospeso ad cautelam' il 23 maggio, poche ore prima d'essere arrestato, ma in questi mesi ha
continuato a ricevere regolarmente lo stipendio. Non verrà cacciato, non nel centro della cristianità,
il perdono evangelico porterà con sé la grazia di Benedetto XVI. Ci sono anche da considerare la
moglie, i tre figli, una famiglia che in Vaticano conoscono tutti ed è guardata con affetto sincero.
Detto questo, è anche una questione di realismo. Nulla sarebbe più pericoloso e inopportuno, per la
Chiesa, di un corvo che taglia ogni legame con il Vaticano e se ne va magari a scrivere le sue
memorie o a concedere libri-intervista. Magari non lo farebbe mai, ma la sola ipotesi viene
considerata con orrore. Anche perché Gabriele, in queste settimane, non ha mai ceduto
sull'essenziale. Si è riconosciuto "colpevole" di "aver tradito la fiducia" del Papa, ma nulla di più.
Lui, che si considerava "infiltrato dello Spirito Santo", a proposito del Papa è arrivato a dire: "Nel
tempo ho maturato la convinzione che è facile manipolare la persona che ha un potere decisionale
così importante". Pensava e pensa che il Papa inconsapevole fosse manipolato, una tesi peraltro
contraddetta dalle stesse "carte segrete", che mostrano come Benedetto XVI segua tutto, e voleva
raddrizzare la Chiesa, "non sono un ladro". È significativo che la difesa abbia rinunciato, perché
"inutile ai fini processuali", alla perizia psichiatrica della difesa firmata dal professor Tonino
Cantelmi: quella che descriveva Gabriele come un uomo manipolabile che non aveva
consapevolezza delle proprie azioni. Gabriele non ci stava a passare per "non imputabile" e nega di
avere avuto complici.
Ora potrà restare nell'appartamento che gli hanno dato in Vaticano con la sua famiglia e continuare
ad avere tutti i vantaggi di una cittadinanza esclusiva. Probabile che gli trovino, come suggeriva il
pm, un impiego non a rischio. Per fare punto e a capo, finirla qui. Resta un problema giuridico: la
grazia lo proteggerà da altre eventuali accuse? Il rinvio a giudizio del 13 agosto lo aveva mandato a
processo per "furto aggravato" disponendo la "chiusura parziale" dell'istruttoria: che resta aperta
per i reati più gravi, come i delitti contro lo Stato e l'inviolabilità dei segreti. "Dipende da come il
Santo Padre formulerà la grazia", si spiega Oltretevere. Le indagini proseguono, gli inquirenti non
sono affatto convinti che le responsabilità si esauriscano con l'ex maggiordomo. Non sarà facile
trovare riscontri. Del resto non c'è solo la strada penale: dalla Curia si può sempre essere trasferiti
altrove. Lo stesso Gabriele, pur escludendo di aver avuto complici, ha detto durante il processo:«Non sono stato solo io, in questi anni, a fornire documenti alla stampa".
Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera
Il tecnico, gli assegni e lo Ior. I misteri ancora da chiarire
Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera
Il tecnico, gli assegni e lo Ior. I misteri ancora da chiarire
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