venerdì 17 dicembre 2010

Il Papa: l'albero e il presepe portano un messaggio di speranza e amore e aiutano a creare il clima propizio per vivere il mistero del Natale

Un simbolo che “arricchisce il valore simbolico del presepe, che è un messaggio di fraternità e di amicizia; un invito all’unità e alla pace; un invito a far posto, nella nostra vita e nella società, a Dio, il quale ci offre il suo amore onnipotente attraverso la fragile figura di un Bimbo, perché vuole che al suo amore rispondiamo liberamente con il nostro amore”. Sono i pensieri con i quali Benedetto XVI ha parlato questa mattina dell’Albero di Natale, inaugurato e acceso questa sera in Piazza San Pietro. Alto oltre 90 metri, l’abete proviene da una vallata del Sud Tirolo ed è stato consegnato idealmente al Papa da una delegazione locale di circa 300 persone, accolta in Vaticano. Un incontro tradizionale di questi tempi, ma per molti versi un tuffo all’indietro, che ha risvegliato memorie di luoghi e di volti cari, e in compagnia di persone che hanno portato tra gli affreschi rinascimentali della Sala Clementina il sapore familiare di un Natale così come vissuto dalle sue parti. Per Benedetto XVI accogliere la folta delegazione dal Sud Tirolo è stata una festa dei sentimenti e della gratitudine, ma anche un momento per riflettere su cosa significhino, accanto alla scena della Natività, le luci e le decorazioni che svettano ogni anno sul presepe nel cuore di Piazza San Pietro e in milioni di case nel mondo: “L’albero di Natale arricchisce il valore simbolico del presepe, che è un messaggio di fraternità e di amicizia; un invito all’unità e alla pace; un invito a far posto, nella nostra vita e nella società, a Dio, il quale ci offre il suo amore onnipotente attraverso la fragile figura di un Bimbo, perché vuole che al suo amore rispondiamo liberamente con il nostro amore". L'Albero di Natale di 5 tonnellate di peso e di 26 metri di altezza che fronteggia la Basilica Vaticana, inaugurato dal presidente del Governatorato della Città del Vaticano, il card. Giovanni Lajolo, è stato tagliato “senza arrecare danno” al bosco in cui era cresciuto, ai 1500 metri di una tenuta nei pressi di Luson, comune di 1500 abitanti in Provincia di Bolzano, e “la straordinaria bellezza di quel paesaggio ci invita a contemplare la grandezza del nostro Creatore, il cui amore risplende ininterrottamente in quella sua meravigliosa opera che è la natura, per rischiarare il cuore degli uomini e per riempirlo di pace e gioia”. Le luci che verranno accese, ha soggiunto Benedetto XVI, sono il segno “della luce che Cristo, con la sua nascita, ha recato all’umanità”, per dissipare tra gli uomini “le tenebre dell’errore, della tristezza e del peccato”. “Il presepe e l’albero portano quindi un messaggio di speranza e di amore, e aiutano a creare il clima propizio per vivere nella giusta dimensione spirituale e religiosa il mistero della Nascita del Redentore”. Accogliendo la delegazione sudtirolese con un lungo preambolo in lingua tedesca, il Papa ha ringraziato diffusamente i presenti, a partire dalle autorità civili e religiose, per il dono di un abete rosso, destinato ad abbellire il Palazzo apostolico, ma specialmente per aver portato a Roma, ha soggiunto, anche “i costumi tradizionali, la musica natalizia e le specialità gastronomiche locali” della loro “meravigliosa terra”. Citate e apprezzate dal Papa le “stelle di paglia”, realizzate dalle donne di Bressanone, che sono, ha detto, “un elemento tipico della tradizione dei Paesi di lingua tedesca per l’addobbo dell’albero di Natale”. Ma un grazie ancor più sentito, Benedetto XVI lo ha rivolto al sindaco di Naz-Sciaves per il fatto di volergli conferire “la cittadinanza onoraria in ricordo della mia cara nonna materna che era originaria di Rasa, una frazione del comune. Un cordiale ‘Dio ve ne renda merito’ per tutte queste gradite manifestazioni del vostro affetto!”.

Il nuovo ambasciatore d'Italia al Papa: la laicità non ci rende sordi alla sua invocazione che ogni decisione non prescinda da una dimensione morale

“Siamo convinti che anche la Chiesa possa contribuire a ridare nuovo smalto alla comunità nazionale, tenendo alto un senso di unità della nazione cui facciano eco un federalismo solidale e una rafforzata coesione sociale. Solidarietà intesa non come deresponsabilizzazione o assistenzialismo ma come forza propulsiva che spinge l'uomo ad impegnarsi nella giustizia e nella pace”: lo ha detto questa mattina in Vaticano il nuovo ambasciatore dell’Italia presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco (foto), nel discorso in occasione della presentazione al Papa delle Lettere credenziali per il suo insediamento. "Il rispetto della laicità dello Stato non ci rende certo sordi all'invocazione della Santità Vostra che ogni decisione economica e politica non prescinda da una dimensione morale. Anche gli spiriti laici più intransigenti non possono infatti negare quel ruolo pubblico che la fede e la religione dovrebbero avere nella governance e che permette, al credente come al non credente, di invocare coerenza fra etica e politica". Chiesa e Stato, ha detto il diplomatico riecheggiando le parole dello stesso Benedetto XVI, vivono con "rispettiva autonomia e indipendenza, ma anche nel comune servizio della vita personale e sociale dell'essere umano". "Oggi - ha detto ancora Greco - mi viene concesso l'onore di presentarmi al Sommo Pastore della Christianitas, i cui insegnamenti contribuiscono ad illuminare il cammino - non solo dei fedeli - nella sfera politica, economica e sociale, oltre che spirituale". Il diplomatico ha poi richiamato le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, in occasione della Settimana Sociale di Reggio Calabria dell’ottobre scorso evocava "il perdurante impegno dei cattolici a far la loro parte per il progresso civile, economico e sociale dell'Italia e la cui identità culturale è permeata dai valori cristiani: un impegno che si manifesta non solo affrontando in modo costruttivo le diverse questioni che riguardano il nostro Paese ma anche riconoscendo il valore delle istituzioni repubblicane ed indicando possibili processi riformatori". "Il dialogo interculturale e interreligioso per contrastare intolleranze e fondamentalismi rappresenta per la Santa Sede una mansione esistenziale ed è divenuto per l'Italia la nuova frontiera della sua politica estera: il compito principale della diplomazia è oggi, infatti, la gestione della diversità". "Il mio ministro degli Esteri e il Governo non si stancano di ribadire, in ogni contesto interno e internazionale, che dobbiamo far sentire alta la nostra voce di fronte alla cristiano-fobia e alla violenza contro le minoranze cristiane, le più vessate di tutte", ha detto il diplomatico. Dopo aver ricordato i possibili campi di collaborazione internazionale tra Italia e Santa Sede, dalla pace nelle aree di crisi all'abolizione della pena di morte, dalla protezione dell'ambiente al "governo di una globalizzazione progressiva e pervasiva", Greco ha anche affrontato il tema della vita, non menzionato, peraltro, dal Papa nel suo discorso: "A far da sfondo c'è una visione condivisa della centralità della persona umana e del rispeto della vita. Mi piacer ricordare che, in questi lunghi anni al servizio dello Stato, insieme ai colleghi di tanti paesi abbiamo guardato con ammirazione alla millenaria diplomazia vaticana e alla sua esemplare capacità di operare con discrezione e con straordinaria efficacia".

SIR, Apcom

Il Papa: lo Stato è chiamato a tutelare i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica

Lo Stato tuteli il ruolo della religione nella sfera pubblica: è l’esortazione di Benedetto XVI nel discorso di questa mattina al nuovo ambasciatore italiano, Francesco Maria Greco (foto), ricevuto in Vaticano per la presentazione delle Lettere Credenziali. Le celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ha osservato il Papa, offrono l’occasione per una “riflessione non solo di tipo commemorativo, ma anche di carattere progettuale”, assai opportuna “nella difficile fase storica attuale, nazionale ed internazionale”. Il Papa si dice lieto per il coinvolgimento di pastori e comunità ecclesiali nella “rievocazione del processo di unificazione della nazione iniziato nel 1861”. Un cammino, constata, “a volte faticoso e contrastato”. ''Uno degli aspetti più rilevanti di quel lungo, a volte faticoso e contrastato, cammino, che ha condotto all'odierna fisionomia dello Stato italiano - ha ricordato il Pontefice -, è costituito dalla ricerca di una corretta distinzione e di giuste forme di collaborazione fra la comunità civile e quella religiosa, esigenza tanto più sentita in un Paese come l'Italia, la cui storia e cultura sono così profonda mente segnate dalla Chiesa Cattolica e nella cui capitale ha la sua sede episcopale il Capo visibile di tale Comunità, diffusa in tutto il mondo''. ''Queste caratteristiche - ha proseguito -, che da secoli fanno parte del patrimonio storico e culturale dell'Italia, non possono essere negate, dimenticate o emarginate; l'esperienza di questi 150 anni insegna che quando si è cercato di farlo, si sono causati pericolosi squilibri e dolorose fratture nella vita sociale del Paese''. Si è soffermato così sull’importanza dei Patti Lateranensi e l’Accordo di modifica del Concordato. Accordi, afferma, volti ad assicurare al Pontefice e alla Santa Sede “piena sovranità e indipendenza”. Questi patti internazionali, ha aggiunto il Papa, “non sono espressione di una volontà della Chiesa o della Santa Sede di ottenere potere, privilegi o posizioni di vantaggio economico e sociale” né di sconfinare dalla sua missione. Al contrario, tali accordi “hanno il loro fondamento nella giusta volontà da parte dello Stato di garantire ai singoli e alla Chiesa il pieno esercizio della libertà religiosa”. Un diritto, ribadisce, che “ha una dimensione non solo personale”. Per questo, è la sua esortazione, “lo Stato è chiamato a tutelare non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione e delle comunità religiose nella sfera pubblica”. “Il retto esercizio e il corrispettivo riconoscimento di questo diritto – ha proseguito il Papa – consentono alla società di avvalersi delle risorse morali e della generosa attività dei credenti”. Dunque, è stato il suo monito, “non si può pensare di conseguire l’autentico progresso sociale, percorrendo la via dell’emarginazione o perfino del rifiuto esplicito del fattore religioso, come ai nostri tempi si tende a fare con varie modalità”. Il Pontefice ha indicato in particolare “il tentativo di eliminare dai luoghi pubblici l’esposizione dei simboli religiosi, primo fra tutti il Crocifisso, che è certamente l’emblema per eccellenza della fede cristiana, ma che, allo stesso tempo, parla a tutti gli uomini di buona volontà e, come tale, non è fattore che discrimina”. Ha espresso così apprezzamento al governo italiano per aver agito “in conformità a una corretta visione della laicità e alla luce della sua storia, cultura e tradizione, trovando in ciò il positivo sostegno anche di altre nazioni europee”. Al contempo, il Papa ha ricordato che le cronache recenti “ci testimoniano come ai nostri giorni vengano compiute anche delle aperte violazioni della libertà religiosa”. La società italiana e le sue autorità, ha rilevato con gratitudine, hanno dimostrato “una particolare sensibilità per la sorte di quelle minoranze cristiane, che, a motivo della loro fede, subiscono violenze, vengono discriminate o sono costrette ad una forzata emigrazione dalla loro patria”. E ha auspicato dunque che possa “crescere ovunque la consapevolezza di questa problematica” e siano “intensificati gli sforzi per vedere realizzato, ovunque e per tutti, il pieno rispetto della libertà religiosa”. Nel suo discorso, il Papa non ha mancato di assicurare le sue preghiere per la gente d’Italia che mostra affetto ed entusiasmo nei suoi confronti a Roma come durante le sue visite pastorali nel Paese. Benedetto XVI ha auspicato per il popolo italiano di conservare il “tesoro prezioso della fede cristiana” e di ricevere da Dio “i doni della concordia e della prosperità”.

Radio Vaticana, Asca


La Santa Sede: profondo dolore per l'Assemblea dei cattolici cinesi, manifesta un atteggiamento repressivo della libertà religiosa e dei diritti umani

La Santa Sede “con profondo dolore” deplora modalità e svolgimento dell’ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, svoltasi a Pechino dal 7 al 9 dicembre scorsi, con la partecipazione forzata di numerosi vescovi, sacerdoti, religiose e fedeli laici. E’ quanto afferma oggi un comunicato della Sala Stampa vaticana. Le modalità della convocazione dell’assemblea ed il suo svolgimento, afferma il comunicato, “manifestano un atteggiamento repressivo nei confronti dell’esercizio della libertà religiosa, che si auspicava ormai superato nell’odierna Cina. La persistente volontà di controllare la sfera più intima dei cittadini, qual è la loro coscienza, e d’ingerirsi nella vita interna della Chiesa cattolica, non fa onore alla Cina; anzi – prosegue la nota vaticana - sembra un segno di timore e di debolezza, prima che di forza; di un’intransigente intolleranza, più che di apertura alla libertà e al rispetto effettivo sia della dignità umana sia di una corretta distinzione tra la sfera civile e quella religiosa”. “A più riprese la Santa Sede aveva fatto conoscere, prima di tutto ai pastori ma pure a tutti i fedeli, anche pubblicamente, che non dovevano partecipare all’evento. Ognuno di coloro che erano presenti – sottolinea il comunicato - sa in che misura è responsabile davanti a Dio e alla Chiesa. I vescovi, in particolare, e i sacerdoti saranno anche posti di fronte alle attese delle rispettive comunità, che guardano al proprio pastore e hanno diritto di ricevere da lui guida e sicurezza nella fede e nella vita morale”. La Santa Sede denuncia il fatto che molti vescovi e sacerdoti sono stati forzati a partecipare all’Assemblea: si tratta di “una grave violazione dei loro diritti umani, in particolare della loro libertà di religione e di coscienza”. La Sede Apostolica esprime nello stesso tempo “la sua stima più profonda a quanti, in diverse modalità, hanno testimoniato la fede con coraggio e invita gli altri a pregare, a fare penitenza e, con le opere, a riaffermare la propria volontà di seguire Cristo con amore, in piena comunione con la Chiesa universale”. “A coloro che portano nel cuore sconcerto e profonda sofferenza, domandandosi come sia possibile che il proprio vescovo o i propri sacerdoti abbiano partecipato all’Assemblea, la Santa Sede chiede di rimanere saldi e pazienti nella fede; li invita a prendere atto delle pressioni subite da molti dei loro pastori e a pregare per loro; li esorta a continuare coraggiosamente a sostenerli di fronte alle ingiuste imposizioni che incontrano nell’esercizio del loro ministero”.Durante l’Assemblea sono stati designati i responsabili della cosiddetta Conferenza Episcopale e dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese. Il comunicato ricorda che “l'attuale Collegio dei vescovi cattolici di Cina non è riconosciuto come Conferenza Episcopale dalla Sede Apostolica: non ne fanno parte i vescovi "clandestini", cioè non riconosciuti dal governo, che sono in comunione con il Papa; include presuli, che sono tuttora illegittimi, ed è retta da Statuti, che contengono elementi inconciliabili con la dottrina cattolica. E’ profondamente deplorevole – si afferma - che sia stato designato a presiederla un vescovo non legittimo. Per quanto poi concerne la dichiarata finalità di attuare i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa”, il comunicato ricorda “che essa è inconciliabile con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la Chiesa 'una, santa, cattolica e apostolica'”. Si definisce, quindi, “deprecabile anche la designazione di un presule legittimo a presiedere l’Associazione Patriottica Cattolica Cinese”. Per la Santa Sede “non è questo il cammino che la Chiesa deve compiere nel contesto di un grande e nobile Paese, che suscita attenzione nell’opinione pubblica mondiale per le significative mete raggiunte in tanti ambiti, ma trova ancora difficile attuare gli esigenti dettami di una vera libertà religiosa, che nella sua Costituzione pur professa di rispettare. Per giunta, l’Assemblea ha reso più arduo il cammino di riconciliazione fra i cattolici delle 'comunità clandestine' e quelli delle 'comunità ufficiali', provocando una ferita profonda non solo alla Chiesa in Cina, ma anche alla Chiesa universale”.“La Santa Sede si rammarica profondamente per il fatto che la celebrazione della suddetta Assemblea, come pure la recente ordinazione episcopale senza l’indispensabile mandato pontificio, abbiano danneggiato unilateralmente il dialogo e il clima di fiducia, avviati nei rapporti con il governo della Repubblica Popolare Cinese. La Santa Sede, mentre riafferma la propria volontà di dialogare onestamente, sente il dovere di precisare che atti inaccettabili ed ostili” come questi “provocano nei fedeli, dentro e fuori della Cina, una grave perdita di quella fiducia che è necessaria per superare le difficoltà e costruire una relazione corretta con la Chiesa, a vantaggio del bene comune”. Alla luce di quanto è avvenuto – conclude la nota vaticana – “rimane urgente” l’invito che il Papa ha rivolto a tutti i cattolici del mondo, il primo dicembre scorso, “a pregare per la Chiesa in Cina, che sta vivendo momenti particolarmente difficili”.

Cantalamessa: di fronte a una cultura refrattaria al Vangelo l'unica strada per l'annuncio è la testimonianza di qualcosa al di sopra della ragione

Di fronte ad una “cultura moderna refrattaria al Vangelo” e radicata nel “razionalismo”, è la concreta esperienza cristiana di “apertura al mistero” e la testimonianza di “di qualcosa che è al di sopra del mondo e della ragione” l’unica strada oggi percorribile per l’annuncio del messaggio cristiano. Lo ha detto questa mattina padre Raniero Cantalamessa (foto) che ha tenuto nella Cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, la sua terza ed ultima predica d’Avvento alla presenza del Papa e della famiglia pontificia. Il religioso cappuccino ha parlato del razionalismo, che insieme allo scientismo ateo e al secolarismo, contribuisce ad allontanare tanta parte della cultura moderna dal Vangelo. Il cardinale e ora Beato John Henry Newman, ha ricordato, pronunciò nel 1831 un memorabile discorso intitolato “The Usurpation of Raison”, l’usurpazione, o la prevaricazione, della ragione, definizione con cui intendeva “quel certo diffuso abuso di tale facoltà che si verifica ogni qual volta ci si occupa di religione senza una adeguata conoscenza intima, o senza il dovuto rispetto per i primi principi ad essa propri”. Accanto a questa “tendenza, per così dire imperialista, della ragione a sottomettere ogni aspetto della realtà ai propri principi”, il razionalismo può essere considerato anche da un altro punto di vista, strettamente collegato al primo. “Potremmo definirlo l’atteggiamento di isolazionismo, di chiusura in se stessa della ragione”, ha osservato padre Cantalamessa. “Esso non consiste tanto nell’invadere il campo altrui, quanto nel non riconoscere l’esistenza di altro campo fuori del proprio. In altre parole, nel rifiuto che possa esistere alcuna verità al di fuori di quella che passa attraverso la ragione umana”. “Contro tale pretesa di assolutismo della ragione – ha ricordato –, si è levata in ogni epoca la voce non solo di uomini di fede, ma anche di uomini militanti nel campo della ragione, filosofi e scienziati”. “È una tendenza contro la quale la fede ha dovuto fare i conti da sempre, non solo la fede cristiana, ma anche quella ebraica e islamica, almeno nel medioevo”. “E’ da attendersi – ha proseguito il religioso - che questo tipo di contestazione reciproca tra fede e ragione continui anche in futuro. È inevitabile che ogni epoca rifaccia il cammino per conto proprio, ma né i razionalisti convertiranno con i loro argomenti i credenti, né i credenti i razionalisti. Bisogna trovare una via per rompere questo circolo e liberare la fede da questa strettoia”. Secondo padre Cantalamessa, “bisogna dunque trovare un’altra strada che non pretenda di sostituire quella della difesa razionale della fede, ma almeno che l’affianchi, anche perché i destinatari dell’annuncio cristiano non sono solo degli intellettuali”, “ma anche la massa delle persone comuni indifferenti ad esso e più sensibili ad altri argomenti”. “Ci resta, - ha aggiunto - una via da battere: quella dell’esperienza e della testimonianza” che “possiamo far valere anche nei confronti di persone ancora estranee alla fede”. Considerando che “il terreno di cultura del razionalismo – sua causa ed insieme suo effetto – è la perdita del senso del sacro”, padre Cantalamessa ha poi sottolineato la necessità “che la Chiesa aiuti gli uomini a rimontare la china e riscoprire la presenza e la bellezza del sacro nel mondo”.“La rievangelizzazione del mondo secolarizzato passa anche attraverso un recupero del senso del sacro”, ha osservato. “Le stesse scoperte meravigliose della scienza e della tecnica, anziché portare al disincanto, possono diventare occasioni di stupore e di esperienza del divino”. Allo stesso modo, nella vita umana quotidiana “non mancano occasioni in cui è possibile fare l’esperienza di un’'altra' dimensione: l’innamoramento, la nascita del primo figlio, una grande gioia”. “Bisogna aiutare le persone ad aprire gli occhi e a ritrovare la capacità di stupirsi”, ha detto. “Quando l’esperienza del sacro e del divino che ci giunge improvvisa e inattesa da fuori di noi, è accolta e coltivata, diventa esperienza soggettiva vissuta. Si hanno così i 'testimoni' di Dio che sono i Santi e, in modo tutto particolare, una categoria di essi, i mistici”.“Quando si leggono i loro scritti, come appaiono lontane e perfino ingenue le più sottili argomentazioni degli atei e dei razionalisti!”, ha esclamato.Purtroppo, ha lamentato, “una certa moda letteraria è riuscita a neutralizzare anche la 'prova' vivente dell'esistenza di Dio che sono i mistici” “con un metodo singolarissimo: non riducendo il loro numero, ma aumentandolo, non restringendo il fenomeno, ma dilatandolo a dismisura”. “Il pericolo maggiore che corrono le persone religiose – ha concluso padre Cantalamessa - è di ridurre la fede a una sequenza di riti e di formule, ripetute magari anche con scrupolo, ma meccanicamente e senza intima partecipazione di tutto l’essere”. Il Natale, essendo “la suprema 'teofania' di Dio, la più alta 'manifestazione del Sacro'”, “può essere un’occasione privilegiata per avere questo soprassalto di fede”, e per raggiungere questo scopo è molto utile “trovare spazi di silenzio”. “La Madre di Dio è il modello insuperabile di questo silenzio natalizio”. “Il silenzio di Maria a Natale è più che un semplice tacere; è meraviglia, è adorazione; è un 'religioso silenzio', un essere sopraffatta dalla realtà”. “Fa veramente il Natale chi è capace di fare oggi, a distanza di secoli, quello che avrebbe fatto, se fosse stato presente quel giorno – ha concluso padre Cantalamessa –. Chi fa quello che ci ha insegnato a fare Maria: inginocchiarsi, adorare e tacere!”.

I vescovi del Giappone contestano la presenza del Cammino neocatecumenale nel Paese. Lunedì scorso udienza con il Papa per affrontare la questione

L’udienza è avvenuta lunedì pomeriggio in Vaticano ed è durata due ore. Tanto ci hanno messo Benedetto XVI e i vescovi giapponesi a dipanare il nodo “Cammino neocatecumenale”. Ovvero, la contestata (da parte di alcuni vescovi) presenza della realtà ecclesiale fondata da Kiko Argüello in terra nipponica. Il Cammino crea problemi sostanzialmente per un motivo: i seguaci di Argüello, l'accusa parte dell’episcopato, fanno vita a sé, promuovono vocazioni esclusivamente all’interno del Cammino come fossero una Chiesa parallela e, dunque, “minano l’unità stessa del corpo ecclesiale”. Ma per la Santa Sede - questa sarebbe la linea che ha tenuto il Papa nell’incontro di lunedì - non è tempo per promuovere battaglie e cercare divisioni. Occorre trovare strade d’incontro tra le due parti, fermo restando il fatto che la soluzione non risiede nell’espulsione del Cammino dal paese. I neocatecumenali godono da sempre di appoggi importanti all’interno della curia romana. Sotto il pontificato wojtyliano furono l’allora presidente del Pontificio consiglio Coru Unum, il tedesco Paul Josef Cordes, e il polacco Stanislaw Rylko, oggi presidente del Pontificio consiglio per i laici, a difenderli agli occhi del Papa e del suo segretario particolare Stanislaw Dziwisz. Oggi il parere di Cordes e di Rylko conta ancora parecchio, ma ancor più può il potente sostituto della segreteria di stato, l’arcivescovo Fernando Filoni. E’ lui a seguire con un occhio di riguardo le vicende del Cammino nel mondo. E’ lui a perorare la causa di Argüello davanti al card. Tarcisio Bertone e a Papa Ratzinger. E’ singolare che il Cammino abbia problemi in Giappone. Come dice il report dell’associazione “Aiuto alla chiesa che soffre” pubblicato recentemente, nei due anni appena trascorsi non è stata riscontrata nel paese “alcuna violazione del diritto alla libertà religiosa”. In Giappone la libertà religiosa è una realtà per chiunque, senza eccezioni. Qui, da tempo, il Cammino esprime il proprio carisma liberamente. Qui, probabilmente anche a motivo di questa illimitata libertà, la Chiesa locale si trova in difficoltà coi neocatecumenali e continua a lanciare verso il Vaticano segnali d’insofferenza. La Chiesa Cattolica giapponese è una realtà piccola ma nobile. Non vive di eccessi, non ha al suo interno grandi trascinatori né presuli “carrieristi”, è governata da una Conferenza Episcopale abituata a obbedire a Roma e a non cercare protagonismi. L’irruenza del Cammino, realtà ecclesiale carismatica e restia a nascodersi nelle sagrestie, infastidisce alcuni. Il capo dei vescovi, l’arcivescovo di Tokyo Peter Takeo Okada, è una personalità mite e riservata. Eppure fu lui, nel 2008, a chiedere e ottenere la chiusura del seminario Redemptoris Mater della diocesi di Takamatsu, sostenendo che i membri del Cammino lì presenti si comportavano come fossero una “setta”. Per il Cammino la richiesta era ingiustificata. In molti sostennero che in realtà erano i numeri del seminario a dare fastidio alle gerarchie: in un paese dove le vocazioni sacerdotali si contano sulle dita di una mano, un seminario che riesce a formare nel giro di pochi anni quasi trenta nuovi preti, tutti votati alla missione neocatecumenale, può anche creare qualche gelosia. Nel 2008 Papa Ratzinger diede ragione a Okada. Per non turbare ulteriormente gli animi il seminario venne trasformato in un seminario pontificio, trasportato a Roma e affidato al diretto controllo della Santa Sede. Ma non per questo la presenza del Cammino in Giappone subì particolari ostracismi da parte di Roma. La linea vaticana è sempre la stessa: assecondare e valorizzare nel limite del possibile la posizione dei vescovi locali senza penalizzare irreparabilmente il fuoco che, senza possibilità di smentita, il Cammino sa mettere nel Paese.

Paolo Rodari, Il Foglio

Benedetto XVI ai giovani dell'incontro di Taizé: scoprite la gioia profondamente legata alla fiducia in Dio che permette il rinnovamento dell'uomo

Benedetto XVI auspica che Dio conduca alle fonti della gioia i partecipanti al 33° incontro europeo di giovani, dal 28 dicembre al 1° gennaio 2011 a Rotterdam, su iniziativa della comunità di Taizé. In un messaggio, ha invitato i giovani a scoprire “questa gioia non vi allontana da una solidarietà con le sofferenze dell’umanità, ma è profondamente legata alla fiducia in Dio”. “Vivendo di questa fiducia, accogliendola, permettete questo rinnovamento radicale dell’essere umano che Cristo è venuto a portare”, ha spiegato. “Così sarete animati dal coraggio di andare contro corrente, quando questo è necessario. Resistendo al miraggio dell’individualismo, diventerete sempre di più uomini e donne di comunione, nel dono di voi stessi per gli altri”. Ha quindi auspicato che, una volta terminato l'incontro, tornando nei propri Paesi “lo Spirito Santo vi colmi di una compassione senza limiti, vi comunichi immaginazione e coraggio per scoprire in che modo trasformare le vostre comunità locali in luoghi di bontà del cuore e di fiducia”. “La pace che egli vi concede risplenderà così per gli altri e per il mondo”, ha aggiunto, prima di convocarli per la Giornata Mondiale della Gioventù che si celebrerà a Madrid nell'agosto 2011.

Il Papa a Santiago de Compostela e Barcellona. Dal card. Sistach un'esortazione pastorale, una Messa di ringraziamento e un libretto sul viaggio

“Scrivo questa riflessione con il cuore pieno di gioia per questo importantissimo avvenimento ecclesiale che abbiamo vissuto”: inizia così l’esortazione pastorale del card. Luís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona, pubblicata a poco più di un mese dal viaggio di Benedetto XVI nella città spagnola, dove ha presieduto il rito di dedicazione del Tempio della Sagrada Familia. Il documento del card. Sistach vuole riflettere sul messaggio che il Papa ha lasciato a Barcellona e, indirettamente, a tutta la Spagna, orientando così l’azione pastorale del prossimo anno. L’esortazione è composta da quindici pagine e si intitola “Prepariamo insieme al Papa le vie del Signore”. Tra i temi affrontati: camminare alla luce del Singore; guardare a Dio, amico dell’uomo e della vita; riflettere sulla missione della Chiesa e sul ruolo della famiglia cristiana; essere solidali con i piccoli ed i poveri, evangelizzare i giovani ed incoraggiare le vocazioni. L’esortazione pastorale si conclude, poi, con un invito alla preghiera: “In sintonia con lo spirito dell’Avvento – scrive il card. Sistach – termino questa esortazione con un invito a pregare, con la speranza che sia possibile vivere la fede e rivitalizzare la nostra identità cristiana. La preghiera – aggiunge il porporato – ha avuto un ruolo primario durante la preparazione della visita apostolica di Benedetto XVI nella nostra diocesi. Facciamo sì che essa rimanga presente in questa fase di riflessione sugli insegnamenti del Papa, così da metterli in pratica ed ottenere i frutti spirituali, pastorali e sociali desiderati”. A tal proposito, il porporato ricorda che sabato prossimo, 18 dicembre, alle ore 17.00, nella Basilica della Sagrada Familia, verrà celebrata una Messa di ringraziamento per il viaggio del Santo Padre ed a favore della vita e della famiglia. Infine, è da segnalare che l’arcivescovado di Barcellona ha realizzato un libretto che raccoglie tutti i discorsi pronunciati dal Papa in Spagna: intitolato “Visita apostolica di Benedetto XVI a Santiago e Barcellona”; il volume è composto da 40 pagine.

Radio Vaticana