Paolo Rodari, Il Foglio
venerdì 17 dicembre 2010
I vescovi del Giappone contestano la presenza del Cammino neocatecumenale nel Paese. Lunedì scorso udienza con il Papa per affrontare la questione
L’udienza è avvenuta lunedì pomeriggio in Vaticano ed è durata due ore. Tanto ci hanno messo Benedetto XVI e i vescovi giapponesi a dipanare il nodo “Cammino neocatecumenale”. Ovvero, la contestata (da parte di alcuni vescovi) presenza della realtà ecclesiale fondata da Kiko Argüello in terra nipponica. Il Cammino crea problemi sostanzialmente per un motivo: i seguaci di Argüello, l'accusa parte dell’episcopato, fanno vita a sé, promuovono vocazioni esclusivamente all’interno del Cammino come fossero una Chiesa parallela e, dunque, “minano l’unità stessa del corpo ecclesiale”. Ma per la Santa Sede - questa sarebbe la linea che ha tenuto il Papa nell’incontro di lunedì - non è tempo per promuovere battaglie e cercare divisioni. Occorre trovare strade d’incontro tra le due parti, fermo restando il fatto che la soluzione non risiede nell’espulsione del Cammino dal paese. I neocatecumenali godono da sempre di appoggi importanti all’interno della curia romana. Sotto il pontificato wojtyliano furono l’allora presidente del Pontificio consiglio Coru Unum, il tedesco Paul Josef Cordes, e il polacco Stanislaw Rylko, oggi presidente del Pontificio consiglio per i laici, a difenderli agli occhi del Papa e del suo segretario particolare Stanislaw Dziwisz. Oggi il parere di Cordes e di Rylko conta ancora parecchio, ma ancor più può il potente sostituto della segreteria di stato, l’arcivescovo Fernando Filoni. E’ lui a seguire con un occhio di riguardo le vicende del Cammino nel mondo. E’ lui a perorare la causa di Argüello davanti al card. Tarcisio Bertone e a Papa Ratzinger. E’ singolare che il Cammino abbia problemi in Giappone. Come dice il report dell’associazione “Aiuto alla chiesa che soffre” pubblicato recentemente, nei due anni appena trascorsi non è stata riscontrata nel paese “alcuna violazione del diritto alla libertà religiosa”. In Giappone la libertà religiosa è una realtà per chiunque, senza eccezioni. Qui, da tempo, il Cammino esprime il proprio carisma liberamente. Qui, probabilmente anche a motivo di questa illimitata libertà, la Chiesa locale si trova in difficoltà coi neocatecumenali e continua a lanciare verso il Vaticano segnali d’insofferenza. La Chiesa Cattolica giapponese è una realtà piccola ma nobile. Non vive di eccessi, non ha al suo interno grandi trascinatori né presuli “carrieristi”, è governata da una Conferenza Episcopale abituata a obbedire a Roma e a non cercare protagonismi. L’irruenza del Cammino, realtà ecclesiale carismatica e restia a nascodersi nelle sagrestie, infastidisce alcuni. Il capo dei vescovi, l’arcivescovo di Tokyo Peter Takeo Okada, è una personalità mite e riservata. Eppure fu lui, nel 2008, a chiedere e ottenere la chiusura del seminario Redemptoris Mater della diocesi di Takamatsu, sostenendo che i membri del Cammino lì presenti si comportavano come fossero una “setta”. Per il Cammino la richiesta era ingiustificata. In molti sostennero che in realtà erano i numeri del seminario a dare fastidio alle gerarchie: in un paese dove le vocazioni sacerdotali si contano sulle dita di una mano, un seminario che riesce a formare nel giro di pochi anni quasi trenta nuovi preti, tutti votati alla missione neocatecumenale, può anche creare qualche gelosia. Nel 2008 Papa Ratzinger diede ragione a Okada. Per non turbare ulteriormente gli animi il seminario venne trasformato in un seminario pontificio, trasportato a Roma e affidato al diretto controllo della Santa Sede. Ma non per questo la presenza del Cammino in Giappone subì particolari ostracismi da parte di Roma. La linea vaticana è sempre la stessa: assecondare e valorizzare nel limite del possibile la posizione dei vescovi locali senza penalizzare irreparabilmente il fuoco che, senza possibilità di smentita, il Cammino sa mettere nel Paese.