Mentre l’“aiutante di camera” Paolo Gabriele, ascoltato in queste ore in Vaticano dopo il via libera dei suoi avvocati perché sospettato di aver trafugato e diffuso documenti riservati del Papa, è stato sostituito dall’altro aiutante Sandro Mariotti, detto “Sandrone”, prosegue la ricerca del nome di colui che nei prossimi mesi andrà a sostituire definitivamente il banchiere Ettore Gotti Tedeschi alla presidenza dell’Istituto per le opere di religione. E’, infatti, cosa assodata che l’incarico concesso al tedesco Ronaldo Hermann Schmitz è soltanto una tappa intermedia verso la scelta di colui che i membri del consiglio di sovrintendenza dell’Istituto, nel documento che sfiducia Gotti Tedeschi, hanno scritto dovrà essere “un nuovo ed eccellente presidente”. Sono tante le ipotesi sul tavolo anche se, secondo molti oltre il Tevere, la soluzione verrà trovata all’interno dello stesso board dell’Istituto. Difficilmente, insomma, si pescherà fuori. Oltre a Schmitz, del board fanno parte Manuel Soto Serrano del Banco Santander, il notaio torinese Antonio Maria Marocco e il leader del facoltoso movimento statunitense dei Cavalieri di Colombo Carl Anderson. Tra questi il nome più accreditato sembra quello di Anderson, anche perché è reale la volontà vaticana di superare il passato: non, dunque, un italiano, e tanto meno un banchiere dello stesso gruppo di provenienza di Gotti Tedeschi, il Santander spagnolo, appunto. Semmai, se esiste un nome in grado di contrastare l’ascesa di Anderson, questo va ricercato fuori dal board e precisamente in quell’Hans Tietmeyer, ex presidente della Bundesbank e membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali che tanto è stimato dal suo connazionale Joseph Ratzinger. Ma, dicono di lui in Vaticano, “è comunque molto anziano, e pare già da tempo fuori dai giochi”. I Cavalieri di Colombo sono un gruppo cattolico che gode di grande stima in Vaticano. Capaci di convogliare oltre il Tevere ingenti quantità di offerte a supporto del Papa, contano 1,8 milioni di aderenti nel mondo. Nati negli Stati Uniti negli anni Venti fondando principalmente centri ricreativi (come i nostri oratori), sono stati voluti a Roma da Papa Benedetto XV che li elogiò pubblicamente per il loro sostegno alla Catholic University of America, per l’assistenza discreta e di retrovia ai vescovi americani, per il lavoro caritatevole svolto durante la Prima guerra mondiale. Da Benedetto XV a Benedetto XVI, dunque, la fedeltà al Pontefice è rimasta immutata, tanto che nel corso del Pontificato wojtyliano è culminata con il finanziamento poderoso messo in campo per la ristrutturazione della facciata della Basilica vaticana di San Pietro: “Erano 350 anni che nessuno la ristrutturarava”, scrivono nel loro sito web, dove ricordano anche che la stessa facciata ha “una superficie tre volte più grande di un campo di football”. Informa il blog di cose religiose ilmondodiannibale.globalist.it che i Cavalieri sono organizzazione conservatrice, impegnata in modo deciso sul fronte pro-life, e che continua ad appoggiare, col placet vaticano, la linea dura dell’episcopato americano contro la politica sanitaria del presidente Barack Obama. I Cavalieri gestiscono un immenso patrimonio assicurativo negli Stati Uniti che ha ricevuto nel 2011, per il diciannovesimo anno consecutivo, la tripla AAA dall’agenzia di rating Standard & Poor’s, il massimo del riconoscimento, e per il trentaseiesimo anno di seguito è stato premiato con il punteggio più alto (A++) da un’altra agenzia di rating, Am Best. Negli ultimi anni i Cavalieri hanno risanato i bilanci esangui della Santa Sede con decine di milioni di dollari, e ora potrebbero aspirare alla presidenza dello Ior. Ma c’è di più: il movimento che hanno messo in campo va oltre lo Ior e arriva a coinvolgere l’intero episcopato mondiale. L’appoggio di Anderson e dei Cavalieri ai vescovi americani è un appoggio a un’idea di chiesa precisa. Una chiesa combattiva e che non arretra di fronte alle sfide della contemporaneità. I Cavalieri sono l’esercito di retrovia di una schiera di vescovi, quelli appunto statunitensi, fortemente saldi sulla dottrina e nello stesso tempo creativi nella modalità di trasmissione della dottrina stessa. Tra questi l’arcivescovo Timothy Dolan di New York, voluto dalla maggioranza dei suoi confratelli a capo della Conferenza Episcopale americana.
Paolo Rodari, Il Foglio