Radio Vaticana
venerdì 4 settembre 2009
Il Papa a Viterbo e Bagnoregio. Il significato della tappa al Santuario della Madonna della Quercia e il francescanesimo di San Bonaventura
Accanto a Santa Rosa, la co-patrona della diocesi di Viterbo è la Madonna della Quercia (foto), venerata nel Santuario omonimo dove Benedetto XVI farà tappa nella sua visita pastorale di domenica prossima. Qui, prima di recarsi a Bagnoregio - dove offrirà una riflessione su San Bonaventura - pregherà insieme a circa 120 claustrali che giungeranno da una dozzina di monasteri della diocesi. Laddove la fede ha prevalso, la grazia del Signore ha abbondato. E’ la storia del Santuario della Madonna della Quercia, edificato nelle immediate vicinanze di Viterbo, dove è tutto pronto per accogliere il Papa. Qui dalla metà del ‘400 sono accaduti fatti straordinari in cui i viterbesi hanno subito riconosciuto i segni di un intervento divino. Dalla città salvata dalla peste nell’agosto del 1467 al bombardamento che nella II Guerra Mondiale risparmiò proprio questo luogo. Tutto cominciò da un’immagine con il volto della Madonna e il Bambino che un cittadino viterbese fece dipingere su una tegola rimasta attaccata ad una quercia. La devozione dei fedeli crebbe a tal punto che ora quella stessa tegola è custodita in una basilica preziosa di opere d’arte. Nell’attesa di Benedetto XVI è ancora vivo il ricordo di quando Giovanni Paolo II 25 anni fa la incoronò con il suo Rosario. Il rettore don Angelo Massi: “E’ il ricordo più bello che possiamo avere. Partendo dal Santuario della Quercia disse ai querciaioli: ‘Ho lasciato una corona del Rosario alla vostra Madonna di Quercia. Sia il ricordo di una preghiera che deve sempre circondare la Madonna santissima, per la pace, per il mondo, per i giovani, per tutti’”. Profondamente legato a questo luogo - perché vi è nato - è mons. Dante Bernini. vescovo emerito di Albano Laziale, spiega l’importanza di San Bonaventura, che fu anch’egli vescovo qui per due anni: “Bonaventura dà a un francescanesimo, nato dal cuore di Francesco su ispirazione dello Spirito Santo, qualcosa che Francesco nella sua genuinità evangelica non è che avesse dimenticato, ma non aveva messo in luce quanto necessario, e cioè il rapporto fra la fede e la ragione, intendendo al primo posto la fede, perché valeva per Francesco in modo definitivo e ineludibile, e la ragione, sempre conservando quella preminente presenza della carità che Francesco aveva di fatto nel suo cuore e aveva trasmesso alla sua famiglia religiosa e che, però, Bonaventura riesce a coniugare in un modo più profondo – se vogliamo – e più incisivo per la vita della Chiesa”.