SIR, Ansa
venerdì 15 ottobre 2010
Ahmadabadi: è bene per l’essenza di ogni religione che i fedeli possano esercitare i propri diritti senza vergogna e paura, come in Iran
Il rapporto fra l’Islam e il Cristianesimo, “basato sulle ispirazioni e le proposizioni del sacro Corano, si è fondato sull’amicizia, il rispetto e la comprensione reciproca” ed “è un peccato che in alcuni periodi nei passati 1400 anni, talvolta a motivo di considerazioni politiche, questi rapporti abbiano vissuto momenti bui”. Così l’ayatollah sciita Seyed Mostafa Mohaghegh Ahmadabadi (nella foto con Benedetto XVI), professore della facoltà di Diritto dell’università “Shahid Beheshti” di Teheran e membro dell’Accademia iraniana delle scienze si è rivolto al Sinodo nel suo intervento, tenuto ieri sera, in qualità di invitato speciale. “Non bisogna incolpare né l’Islam né il Cristianesimo di azioni illegittime di alcuni individui o gruppi – ha affermato l’ayatollah - secondo gli insegnamenti del Corano, in molti Paesi islamici, soprattutto in Iran, come è stato anche stabilito per legge, i cristiani vivono fianco a fianco in pace con i loro fratelli musulmani. Essi godono di tutti i diritti legali come ogni altro cittadino ed esercitano liberamente le proprie pratiche religiose”. “È bene per l’essenza di ogni religione e dei suoi fedeli che i discepoli di ciascuna fede possano esercitare i propri diritti senza vergogna e paura e vivere in conformità al proprio retaggio storico e alla propria cultura” ha ribadito Mohaghegh Ahmadabadi per il quale “la stabilità del mondo dipende dalla stabilità dell’esistenza di gruppi e società piccoli e grandi. Questa stabilità può essere raggiunta soltanto quando tutti possono vivere senza timore e senza minacce da parte degli altri. È questo l’elemento più importante per raggiungere la stabilità e la pace etica e sociale. È nostro dovere promuovere queste condizioni”. Anche se è la prima volta che interviene ad un Sinodo dei vescovi, l'ayatollah è un vecchio frequentatore del Vaticano. "Conosco bene Benedetto XVI, siamo amici da molto tempo, da prima che lui diventasse Pontefice", ha raccontato con orgoglio ai giornalisti. "Una volta, nel 2005, mi ha anche ospitato", ha affermato. "Dove? A casa sua?", hanno chiesto i cronisti. "No, ha provveduto a sistemarmi al Santa Marta", è stata la risposta dell'esponente sciita, ignaro probabilmente di aver dormito nelle stanze che, poco dopo, avrebbero ospitato i cardinali elettori del conclave che ha eletto proprio il suo "amico".