Il Papa: era convinzione del teologo Erik Peterson che non esiste storia slegata da Dio, nella quale la Chiesa occupa un posto speciale
Il 26 ottobre 1960 si spegneva ad Amburgo, all’età di 70 anni, il teologo tedesco, Erik Peterson, un evangelico convertitosi nel 1930 al cattolicesimo. Questa mattina, in Vaticano, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i partecipanti al Simposio che, tra ieri e domani, alcune istituzioni pontificie hanno dedicato a questo studioso a 50 anni dalla morte. Rimasto per molto tempo nell’ombra, il lavoro di Peterson è da tempo oggetto di una attenta riscoperta che ha posto in risalto il valore della sua riflessione alla quale sono debitrici molti celebri teologi del Novecento. Un “outsider”, lo aveva definito con simpatia il grande teologo Karl Barth, e con questo appellativo il Simposio ricorda e celebra i meriti scientifici e culturali di Erik Peterson. Alla sua famiglia, lo stesso teologo Joseph Ratzinger è da tempo legato, come testimoniato dai figli e dalle rispettive famiglie presenti all’udienza in Vaticano. Ricordando un episodio nel 1990, quando in occasione dell’80° compleanno della moglie di Peterson, ebbe modo di regalarle una pergamena autografa di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha poi scandagliato la vicenda umana e professionale di Peterson, al quale “in tutta la sua vita – ha osservato – non gli era riuscito di trovare quel posto nel quale gli fosse dato riconoscimento e fissa dimora”. Peterson, che negli anni trenta si trasferirà a Roma, si trova coinvolto nei “rivolgimenti” sociali e politici che agitano la Germania dopo il primo conflitto mondiale e che mandano in crisi anche il “dilagante ottimismo” che permeava all’epoca la teologia liberale. Peterson sceglie di lavorare in campo storico e di “affrontare nello specifico – ha ricordato il Papa, citando passi dello studioso – i problemi legati alla storia delle religioni, perché non era riuscito a farsi la strada nel groviglio delle opinioni che regnavano nella teologia evangelica del tempo”. “Sempre più si fa strada in lui la convinzione che non esista storia slegata da Dio e che, in questa storia, la Chiesa occupi un posto speciale ed abbia un significato particolare. Cito ancora: ‘Il fatto che esista la Chiesa e che la Chiesa si costituisca in un modo tutto particolare è strettamente legato al fatto che esiste una storia determinata specificamente dalla teologia. La Chiesa riceve da Dio il compito di condurre gli uomini da un’esistenza limitata e individuale in una comunità universale’, dal naturale al soprannaturale, dall’effimero alla completezza alla fine dei tempi’”. Il Papa ha quindi sottolineato uno dei fulcri della riflessione di Peterson, ovvero quello della corrente vitale che dalle Sacre Scritture percorre la Chiesa in un continuo rinnovamento fondato sulla tradizione apostolica: “Attraverso i vescovi - ha affermato Benedetto XVI - la testimonianza delle Scritture rimane viva nella Chiesa e viene a formare il fondamento delle convinzioni di fede perennemente valide della Chiesa che ritroviamo soprattutto nel Credo e nei dogmi. Esse si manifestano nella Liturgia, nell’ambito vissuto della Chiesa, nella lode a Dio. La celebrazione eucaristica celebrata sulla terra si trova, in questo contesto, in un rapporto indissolubile con Gerusalemme...lì si offre il vero ed eterno sacrificio di lode a Dio e all’Agnello, di cui la celebrazione terrena è solo immagine. Chi partecipa alla Santa Messa si ferma, in un certo senso, sulla soglia del Cielo”. Il Papa ha poi rievocato un ricordo personale di quando, giovane parroco a Bogenhausen, ebbe modo di leggere un volume appena pubblicato di Petersen, “Theologische Traktate” (“Trattati teologici”). Era, ha confidato Benedetto XVI, “la teologia che stavo cercando”: “Quella teologia che, da un lato, manifesta la serietà storica di comprendere ed analizzare i testi, di analizzarli con una seria ricerca storica e che pure non rimane ferma nel passato, ma compiendo il superamento di se stessa nella lettera...entra in contatto con Colui dal quale essa proviene: con il Dio vivente”. La storia personale di Peterson, ha proseguito il Papa, si intreccia col destino di ogni cristiano, che non ha sulla terra “una città permanente”. Il teologo visse la precarietà della perdita della cattedra dopo la conversione al cattolicesimo, l’incertezza di venire “sradicato” e di restare “fino alla fine dei suoi giorni senza un fondamento certo e senza una patria sicura”. Eppure, la penuria di mezzi non gli impedì di sposarsi dando così, ha osservato Benedetto XVI, “espressione concreta alla sua certezza interiore che, nonostante siamo stranieri – e lui lo era in maniera particolare – possiamo trovare sostegno nella comunità dell’amore e che nell’amore rimane qualcosa che dura per l’eternità”. “Egli ha sperimentato l’essere straniero del cristiano: era diventato estraneo alla teologia protestante ed era rimasto in qualche modo forestiero anche alla teologia cattolica, per com’era allora. Oggi, sappiamo che egli apparteneva ad ambedue, che ambedue hanno molto da imparare da lui: tutto il dramma, il realismo, la rivendicazione esistenziale, umana della teologia”. Il Papa ha concluso ringraziando il card. Lehmann, per l’iniziativa di pubblicare l’opera omnia di Petersen, che attualmente può vantare traduzioni in italiano, francese, spagnolo, inglese, ungherese e perfino in cinese. “Speriamo – è stata la chiosa finale del Pontefice – che attraverso questa pubblicazione si possa ulteriormente diffondere il pensiero di Peterson, che mai si ferma al dettaglio, ma guarda sempre all’insieme della teologia”.