Il Benin è un paese di pace e di ospitalità. Anche per questo Benedetto XVI l’ha scelto per firmare il documento frutto del II Sinodo speciale dei vescovi per l’Africa. Tra una settimana il Papa sarà nel continente per la seconda volta. Tre giorni per celebrare i 150 anni dell’evangelizzazione del Benin, consegnare i frutti del Sinodo e ricordare un grande figlio della nazione prestato per anni alla Curia romana: Bernardin Gantin (nella foto il secondo da sinistra). Il Benin gli deve molto e non solo per la testimonianza di fede personale. Fu lui, cardinale nel 1977 insieme a Joseph Ratzinger, a spingere Giovanni Paolo II a far si che il vescovo, suo successore alla guida della diocesi di Cotonou, Isidore de Souza, potesse presiedere la Conferenza delle Forze vive della nazione, e guidare la transizione dal marxismo alla democrazia. Oggi l’aeroporto di Cotonou, sede del Governo, porta il suo nome. E c’è la Fondazione Bernardin Gantin che ogni anno assegna un premio a chi contribuisce a sviluppare il senso del bene comune. Il Papa si fermerà sulla tomba del cardinale scomparso nel 2008. Un luogo diventato simbolico per la nazione. In Benin i cattolici sono meno di un quarto della popolazione, e devono mediare tra gli animisti, per la maggior parte seguaci del voodoo, e gli islamici. Ma anche in questo la Chiesa è maestra. I vescovi cattolici in visita pastorale salutano per primo il capo locale della religione tradizionale. L’Africa è “un polmone spirituale per un’umanità in crisi di speranza e di fede” ha ricordato il Papa.
Angela Ambrogetti, Il Portone di Bronzo