Durante la visita nel carcere di Rebibbia, il Papa ha risposto alle domande di alcuni detenuti. "Sento il suo affetto per il Santo Padre e sono commosso da questa amicizia - ha detto il Papa rispondendo alla domanda del primo detenuto, Rocco - e dalla amicizia che sento da tutti voi, penso spesso a voi, prego perché so che la situazione è molto difficile e che spesso anzichè aiutare a rinnovare amicizia con Dio e con l’umanità il carcere peggiora la situazione anche interiore". "Sono venuto soprattutto per mostrarvi la mia vicinanza personale e intima", ha spiegato il Papa ai detenuti, "ma certamente questa visita personale a voi è anche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini e al nostro Governo che ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceri italiane". Il Papa ha fatto poi riferimento alla Guardasigilli, sottolineando: "Abbiamo sentito il ministro della Giustizia, come sente con voi la vostra realtà. Possiamo essere convinti che il nostro Governo e i responsabili faranno il possibile per migliorare la situazione e aiutarvi a trovare una buona realizzazione della giustizia che vi aiuti a tornare nella società con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e tutto il rispetto che essa esige". "In quanto posso, vorrei sempre dare segni di come è importante che le carceri promuovano la dignità umana e non la attacchino. Speriamo che il Governo abbia la possibilità per rispondere a questa vocazione".
"Santo Padre vorrei domandarti un milione di cose... sono emozionato... - ha Omar, il secondo dei detenuti con cui il Papa ha dialogato - è molto forte per noi detenuti, permetterci di aggrapparci con te con la nostra sofferenza e quella e quella dei nostri familiari, come un cavo elettrico che comunichi con il Signore Nostro. Ti voglio bene". "Anch’io ti voglio bene - ha risposto Benedetto XVI -, e sono grato per queste parole che toccano il mio cuore". L'identificazione del Signore con i carcerati "ci obbliga profondamente, e io stesso devo chiedermi: ho agito secondo questo imperativo del Signore? Ho tenuto presente questa parola del Signore? Questo è un motivo perché sono venuto, perché so che in voi il Signore mi aspetta, che voi avete bisogno di questo riconoscimento umano e che avete bisogno di questa presenza del Signore, il Quale, nel giudizio ultimo, ci interrogherà proprio su questo punto". "Spero che qui - ha proseguito -, sempre più, possa essere realizzato il vero scopo di queste case circondariali: quello di aiutare a ritrovare se stessi, di aiutare ad andare avanti con se stessi, nella riconciliazione con se stessi, con gli altri, con Dio, per rientrare di nuovo nella società e aiutare nel progresso dell’umanità. Il Signore vi aiuterà". "So - ha concluso la risposta - che per me è un obbligo particolare quello di pregare per voi, quasi di 'tirarvi al Signore', in alto, perché il Signore, tramite la nostra preghiera, aiuta: la preghiera è una realtà. Io invito anche tutti gli altri a pregare, così che ci sia, per così dire, un forte cavo che vi 'tira al Signore' e ci collega anche tra di noi, perché andando al Signore siamo anche collegati tra noi".
Bert ha perso tutti i componenti della mia famiglia, "ma adesso ho una bambina di 2 anni. Però non mi concedono di tornare a casa, le sembra giusto?". "Anzitutto, felicitazioni! - ha risposto il Pontefice - Sono felice che lei sia padre, che lei si consideri un uomo nuovo". "Non conosco i dettagli del suo caso ma spero che lei quanto prima possa tornare alla sua famiglia. Prego e spero che quanto prima possa avere in braccio moglie e figlia e costruire una bella famiglia per collaborare per il futuro dell'Italia". Riconoscimento e rispetto della dignità ai quali ha fatto appello anche un detenuto del reparto infermeria, Federico, che è intervenuto a nome dei malati e dei sieropositivi. L'uomo ha chiesto "al nostro Papa gravato da tutte le sofferenze del mondo, che preghi e porti la nostra voce dove non viene sentita". "Troppo poco si parla di noi - ha detto - spesso in modo così feroce come a volerci eliminare dalla società. Questo ci fa sentire sub-umani. Lei è il Papa di tutti e noi - ha esortato - la preghiamo di fare in modo che non ci venga strappata la dignità, insieme alla libertà". "Purtroppo è vero - ha risposto il Pontefice -, ma ci sono anche altri che parlano e pensano bene di voi. Io penso alla mia piccola famiglia papale, sono circondato da 4 suore laiche e parliamo spesso di questo problema, loro hanno amici in diverse carceri, riceviamo anche doni da loro e diamo da parte nostra il nostro dono, quindi questa realtà è in modo molto positivo presente nella mia famiglia e penso in tante altre". "Dobbiamo sopportare che alcuni parlano in modo feroce, lo fanno anche contro il Papa - ha detto il Papa - e tuttavia dobbiamo andare avanti, rialzarci". E' "importante incoraggiare tutti che pensino bene, che abbiano senso delle vostre sofferenze, abbiano il senso di aiutarvi nel processo di rialzamento, e, diciamo, io farò la mia parte per invitare tutti a pensare in questo modo giusto, non in modo dispregiativo, ma in modo umano, pensando che ognuno può cadere, ma Dio vuole che tutti arrivino da Lui". "La vita ci è donata dal Signore - ha continuato Benedetto XVI -, con una sua idea. E se riconosciamo questa idea, Dio è con noi, e anche i passi oscuri hanno il loro senso per darci una maggiore conoscenza di noi stessi, per aiutarci a diventare più noi stessi, più figli di Dio e così essere realmente felici di essere uomini, perché creati da Dio, anche in diverse condizioni difficili. Il Signore vi aiuterà e noi siamo vicini a voi".
Poi è stata la volta di Gianni: "Mi è stato insegnato che il Signore vede e legge dentro di noi. Mi chiedo perché l’assoluzione è stata delegata ai preti. Se io la chiedessi in ginocchio, da solo, dentro una stanza, rivolgendomi al Signore, mi assolverebbe?". "Direi due cose - ha esordito Benedetto XVI -. La prima: naturalmente, se Lei si mette in ginocchio e con vero amore di Dio prega che Dio perdoni, perdona. Ma l’assoluzione del prete, l’assoluzione sacramentale è necessaria per realmente risolvermi, assolvermi da questo legame Dio mi perdona, mi riceve nella comunità dei suoi figli". Ai detenuti il Papa ha anche ricordato che "il peccato ha sempre anche una diomensione sociale, orizzontale: anche se forse nessuno lo sa ho sporcato la comunione della Chiesa, e ciò - ha spiegato - esige che sia assolto anche nel livello della comunità e questa seconda dimesione esige il sacramento. Nella confessione posso liberarmi da questa cosa. Così in questo senso l'assoluzione non limita la bontà di Dio ma ne è espressione". Per Benedetto XVI occorre "tenere presente queste due dimensioni, ma l'assoluzione del prete è necessaria per risolvermi, assolvermi da questo degrado del male, mo dà la certezza corporale e sacramentale che Dio mi perdona, mi riceve nella comunità dei suoi figli. Con la confessione - ha concluso - possiamo provare quasi corporalmente la bontà del Signore, la certezza della riconciliazione".
Tra le varie domande, c’è stato spazio anche per allargare lo sguardo ai Paesi poveri. Dopo aver ricordato il viaggio del Papa a novembre in Benin, in Africa, dove molte persone muoiono per povertà e violenze, Nwaihim, trattenendo a stento le lacrime, ha chiesto al Papa: "Perché Dio non li ascolta? Forse Dio ascolta solo i ricchi e i potenti che invece non hanno fede?". "Sono stato molto felice nella sua terra; l’accoglienza da parte degli africani era calorosissima, ho sentito questa cordialità umana che in Europa è un po’ oscurata perché abbiamo tante altre cose sul nostro cuore che rendono un po’ duro anche il cuore", ha risposto il Papa."Nonostante la povertà - ha osservato il Pontefice - e tutte le grandi sofferenze che ho anche visto – ho salutato lebbrosi, malati di Aids, eccetera – che nonostante tutti questi problemi e la grande povertà, c’è una gioia di vivere, una gioia di essere una creatura umana, perché c’è una consapevolezza originaria che Dio è buono e mi ama e l’uomo è essere amato da Dio". "Era per me - ha confidato - l’impressione diciamo preponderante, forte; vedere in un Paese sofferente gioia, allegrezza, più che nei paesi ricchi". Qui "con la massa delle cose che abbiamo siamo sempre più allontanati da noi stessi e da questa esperienza originaria che Dio c’è e Dio mi è vicino; e perciò direi che avere grande proprietà e avere potere non rende necessariamente felici, non è il più grande dono. Può essere anche, direi, una cosa negativa, che mi impedisce di vivere realmente". I criteri "di Dio sono diversi dai nostri, Dio dà anche a questi poveri gioia, la riconoscenza della sua presenza, fa loro sentire che è vicino a loro anche nella sofferenza, nelle difficoltà, e naturalmente ci chiama tutti perché noi facciamo tutto perché possiamo uscire da queste oscurità delle malattie, della povertà". "Nel fare questo - ha concluso il Pontefice - anche noi possiamo divenire più allegri. Quindi le due parti devono completarsi, noi dobbiamo aiutare perché anche l’Africa, questi paesi poveri, possano trovare il superamento di questi problemi, della povertà, aiutarli a vivere, e loro possono aiutarci a capire che le cose materiali non sono l’ultima parola".
L'incontro con i detenuti si è concluso con la 'Preghiera dietro le sbarre' composta da uno dei detenuti, con la recita del Padre Nostro e la benedizione del Papa. Infine lo scambio dei doni. Con lo strudel, i detenuti hanno donato al Pontefice altri prodotti del loro lavoro quotidiano. Significativo un quadro che rappresenta una finestra del carcere sulle sbarre della quale si posa una colomba bianca. Il Papa ha regalato a ciascuno di loro un panettone, un rosario e una copia del cartoncino con la preghiera di Paolo VI fatto stampare in oltre tremila copie dalla Prefettura della Casa Pontificia e inviato anche ai cappellani di altre carceri italiane e nel resto del mondo per aiutare la riflessione in questo periodo natalizio. Nelle mani del cappellano Benedetto XVI ha lasciato una somma di denaro per provvedere alle necessità più urgenti dei detenuti. Benedetto XVI ha quindi fatto una breve visita alla struttura della casa circondariale, fermandosi qualche minuto nella saletta della cooperativa sociale, sempre accompagnato dal ministro Severino. Dopo l’assaggio dei dolci, il Papa ha fatto ritorno all’esterno della struttura, sul piazzale antistante la chiesa, dove ha benedetto un cipresso piantato a ricordo della visita. "Un cordiale grazie per questa accoglienza, vi auguro un buon Natale, sappiamo che andiamo verso la luce di Dio", ha detto il Papa accomiatandosi dai carcerati attorno alle 11.20.
Il Secolo XIX, TMNews, RomaSette
Risposte del Papa alle domande dei detenuti della Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia