C’è un aspetto che sfugge nella ricorrente alluvione di rivelazioni sulla vita interna della Santa Sede. E cioè che la fuga di notizie e di commenti e di polemiche si è verificata soltanto da quando il card. Joseph Ratzinger è stato chiamato dal conclave a salire sul Soglio di Pietro. Prima, e per diversi Pontificati, nulla usciva al circuito mediatico e all’opinione pubblica per quanto vi fosse una morbosa curiosità sugli inaccessibili “segreti del aticano”. Per decenni, se non secoli, la corporazione giornalistica dei “vaticanisti” (come quella dei “cremlinologi”) ha consumato le sue intelligenze e le sue rilevanti professionalità nel difficile esercizio dell’interpretazione ambivalente e della sofisticata ricostruzione di linee di tendenza, delle gerarchie di potere, di scelte anche mondane attraverso un uso complesso di fonti incrociate e spesso contrastanti, di analisi raffinate dei documenti ufficiali, e di qualche ben coltivata “gola profonda”. Ora invece si spiattellano rapporti riservati, corrispondenze personali, scambi interni tra gli uffici di governo, relazioni diplomatiche, fino alle carte che arrivano ogni mattina sulla scrivania personale del Papa. Se il Vaticano è diventato un colabrodo, è perché in molti dall’interno hanno scavato i buchi e trovato i canali per far arrivare ad altri, che non fossero i destinatari diretti, le singole informazioni. E sembra chiaro che proprio la presenza di Benedetto XVI, professore e maestro di teologia ma anche a suo modo sorprendente e carismatico riferimento per le giovani generazioni, finisca per aumentare in maniera esponenziale l’ostilità esterna verso la Chiesa che appare sempre più scomoda e nemica della cultura dominante, del “pensiero unico” che vorrebbe rinchiudere la religione nello spazio privato e nel recinto di uno sdolcinato buonismo solidale. Dal colabrodo arriva e continuerà ad arrivare di tutto: succosissimi pettegolezzi, ampi rifornimenti per riempire il serbatoio della macchina del gossip e della macchina del fango, e tuttavia di scarso impatto morale e pure politico. Infatti, come sa bene ogni ricercatore serio e ogni attento analista politico, la parzialità dei documenti ne inficia l’importanza. Non avendo il complesso delle carte, ma solo alcuni frammenti, scelti fior da fiore dalla “manina misteriosa” che li fa scivolare fuori, è impossibile, se non pericoloso, farsi su queste fragili basi un’idea realistica e plausibile di quanto davvero si consuma nei Sacri Palazzi. E tuttavia pure queste rivelazioni, unite a quelle degli ultimi mesi, sono a loro modo parzialmente istruttive. Disegnano conflitti interni e feroci ai vertici della Chiesa (che però non sono mai stati una novità nel corso dei secoli) e insieme un deficit di guida sicura e una qual incertezza sulle posizioni da assumere anche il merito a scelte di natura più terrena. Si conferma infatti l’inadeguatezza di alcuni dei più stretti collaboratori di Papa Ratzinger. Pure il fedelissimo Segretario di Stato, il cardinale salesiano Tarcisio Bertone, nel suo zelo iperattivo e nelle spallate a voler allargare i suoi campi di potere si è certo dimostrato iperattivo e iperpresenzialista, ma anche poco fine e molto pasticcione, come lamenta sottovoce il servizio diplomatico che pure da lui formalmente dipende. Così pure, al di là della pesante vicenda del clero pedofilo e dell’immagine non brillante del rapporto con i lefebvriani, emerge l’articolata indecisione sul rapporto con le società civili e politiche, soprattutto in Italia. Il riemergere di documenti specifici sul “caso Boffo”, ad ormai quasi tre anni dalla sua esplosione, fa capire che il confronto interno sulla presenza politica dei cattolici nel Paese è ben lontano dall’aver trovato una sintesi feconda e ben determinata, che vada oltre il sempre più frequente appello ai laici credenti a spendersi nell’impegno civile e pubblico per segnare cristianamente la vita delle società e delle stesse istituzioni. Che l’attacco violentissimo e scomposto all’allora direttore di Avvenire fosse un combinato disposto tra la sinistra dell’Università Cattolica e la destra esecutrice di Vittorio Feltri lo si sapeva da tempo: ma era rimasto sempre un sospetto che la vicenda fosse transitata (se non gestita) dalle ovattate stanze de L’Osservatore Romano e di quel neo-direttore, lo storico e intellettuale GianMaria Vian, che proprio sull’Avvenire di Boffo aveva ricevuto il lancio robusto di credibilità e di diffusione.Oggetto reale del contendere, oltre al corposo potere interno alla Chiesa italiana del dopo-Ruini, era, e si rimanifesta tutt’ora, la linea da tenere sulle laceranti questioni della bioetica, dove appunto lo stesso Osservatore è stato ed è più condiscendente e più lontano dall’ortodossia dottrinaria di Papa Ratzinger. Quello che in fondo insieme sorprende e colpisce in tutte queste vicende, più o meno nobili o miserande, che riguardano la Chiesa e i cattolici è la presenza ripetuta, ricorrente e talvolta ossessiva, di un quotidiano certamente laico per natura e storia, e spesso miscredente per cronaca, come il Corriere della Sera. La testata di via Solferino, a quanto sembra, ha proprio messo in soffitta la separazione liberale tra Chiesa e Stato. Lo si è visto nell’ottobre scorso a Todi, all’incontro delle associazioni cattoliche, dove in diversi dal Corsera sono scesi a dettare la linea della presenza politica. Lo si nota spessissimo nelle cronache ecclesiastiche e nelle analisi degli osservatori dove rifulge il verbo sulla Chiesa del professor Ernesto Galli della Loggia e dei suoi numerosi famigli (non a caso accasati pure a L’Osservatore Romano). La direzione del Corriere sembra davvero andare a rimorchio dietro il mix di “atei devoti e neoclericali”. Per un giornale laico è almeno stravagante: e forse Ferruccio De Bortoli non respingerà questa messa in guardia che proviene dall’antica e affettuosa colleganza: che cioè porta davvero male, e più presto di quanto si immagini, pensare di insegnare al Papa il suo mestiere...
Giuseppe Baiocchi, Linkiesta