Era iniziato bene e si è concluso meglio. Il Sinodo apre il tempo della nuova evangelizzazione chiamando tutte le componenti della Chiesa, ecclesiastici e laici, ai blocchi di partenza per la missione, indicata come un compito di tutti i battezzati. Il messaggio al popolo di Dio ribadisce che la Chiesa invita alla missione non perché incalzata dal pessimismo, quanto piuttosto sollecitata dalla speranza, in spirito di vera amicizia con l’umanità attuale. Senza interrompere, anzi consolidando quel filo di novità pastorale ereditata dal Vaticano II.
Iniziato nel segno del Concilio, questo Sinodo, momento collegiale per rispondere concretamente alla desertificazione spirituale del nostro tempo, si è richiamato al Vaticano II, ponendo al centro del proprio orizzonte la fede in Gesù nazareno, proponendolo alla Chiesa quale stella polare di tutta la pastorale. Ormai alla conclusione, raccogliendo le iniziali indicazioni di Benedetto XVI, il Sinodo è apparso in forma nitida figlio del Concilio. Lo stesso Pontefice aprendo i lavori aveva, infatti, sottolineato la stretta relazione tra l’Anno della fede e l’assemblea sinodale come opportunità per celebrare degnamente i cinquant’anni della più grande assise dell’episcopato cattolico che la storia ricordi. Il Magistero del Vaticano II, confluito nel Catechismo, rimane per il nostro tempo un riferimento sicuro della fede. L’Assemblea sinodale ha ribadito la ferma adesione all’insegnamento del Concilio e il convinto impegno a continuarne la piena attuazione. Assenti e comunque non determinanti nei lavori i "profeti di sventura".
Si è invece creata una simpatia reale con l’uomo stretto dalle molte difficoltà dell’attuale momento storico. Culminata con l’inusuale decisione di inviare una delegazione sinodale nel pieno della bufera siriana, la preoccupazione dei padri sinodali di farsi prossimo è stata quella di ribadire la vicinanza della Chiesa a ogni specie di sofferenza umana. Tante le voci di speciale attenzione al permanere diffuso di restrizioni della libertà non solo religiosa, al persistere della povertà e dell’ingiustizia, della malattia e del lavoro precario, di conflitti, migrazioni, attentati alla dignità e alla vita umana. Nell’aula sinodale è più volte risuonata la volontà dichiarata per una Chiesa che riconosce le debolezze dei fedeli e dei suoi ministri, che intende essere amica dei giovani, della ragione e della scienza, in ascolto dei cercatori di verità anche non credenti, in dialogo con le altre religioni e impegnata a ricucire il tessuto con le altre Chiese e confessioni cristiane come contributo alla pace e al superamento definitivo della violenza.
È apparsa una coscienza più definita nel chiarire la qualità dell’evangelizzazione. Lo ha espresso bene uno dei padri sinodali invitando tutti a chiedersi "se la buona novella che annunciamo sia buona per i poveri e se noi come Chiesa rendiamo credibile questo annuncio".
Tra le carte pubblicate si legge che all’origine di questa scelta c’è il rinnovamento spirituale che la Chiesa è chiamata a proclamare e realizzare come condizione della nuova evangelizzazione. Decisivo è l’incontro personale di ogni cristiano con Cristo. Si può cogliere in questo obiettivo centrale l’eco della prima preoccupazione che caratterizza gli scritti di Papa Ratzinger che, non a caso, ha dedicato parte del suo tempo a scrivere di Gesù di Nazaret. Solo rimettendolo al centro l’opera di aggiornamento da completare avviene senza che la Chiesa smarrisca la ragione del suo essere e del suo operare.
Carlo Di Cicco, L'Osservatore Romano
Carlo Di Cicco, L'Osservatore Romano