mercoledì 9 settembre 2009

L'incontro del Papa con gli artisti. Mons. Ravasi: dialogo affinchè l'alleanza tra arte e fede risorga. Paolucci: se ne avverte la drammatica urgenza

Benedetto XVI incontrerà gli artisti nella Cappella Sistina il 21 novembre prossimo, a dieci anni dalla Lettera che Giovanni Paolo II dedicò proprio agli artisti (4 aprile 1999) e a 45 dall’Incontro organizzato con loro da Paolo VI (7 maggio 1964). Questo giovedì, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si svolgerà una conferenza stampa di presentazione dell'Incontro, alla quale interverranno mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, e mons. Pasquale Iacobone, incaricato del Dipartimento Arte & Fede del Pontificio Consiglio della Cultura. Nel testo che ha preparato per la conferenza, riportato integralmente da L'Osservatore Romano, mons. Ravasi ricorda quella che Paolo VI definì nel 1964 la grande sfida dell'artista, cioè “carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità”. Il Papa, aggiunge, voleva “ristabilire un'alleanza nuova tra l'ispirazione divina della fede e l'ispirazione creatrice dell'arte”, alleanza che per mons. Ravasi si è infranta “da tempo”. “L'arte ha lasciato il tempio, ha relegato su uno scaffale polveroso le grandi narrazioni bibliche, i simboli, le figure, le parabole sacrali e si è avviata lungo le strade 'laiche' della contemporaneità – osserva –. Ha abbandonato la concezione secondo la quale l'opera artistica incarna una visione trascendente dell'essere”, dedicandosi “a sperimentazioni di linguaggio, a complesse ricerche stilistiche, a elaborazioni autoreferenziali e persino a pure e semplici provocazioni”. In questo contesto, il 21 novembre Benedetto XVI “intesserà un dialogo nella speranza che risorga un'alleanza feconda, sulla scia anche di un'altra memoria particolare”, la Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II, scritta “per confermare la sua stima e per contribuire al riannodarsi di una più proficua cooperazione tra l'arte e la Chiesa”. Ricordando che l'“incontro dell'arte con la liturgia e la spiritualità ha generato quello straordinario patrimonio che ha abbellito secoli e secoli di storia occidentale”, mons. Ravasi si dice convinto “della possibilità, o meglio, della necessità dell'incontro tra l'artista e la trascendenza, tra la bellezza e la fede, strutturalmente legate tra loro da una consonanza naturale, perché tese a esprimere il senso ultimo dell'essere, a svelare l'epifania del mistero, a conquistare l'infinito e l'eterno, a varcare il velo della superficie per intuire il segreto ultimo della realtà”. Per questo, conclude citando lo scrittore Hermann Hesse, che affermò: “Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio”. Il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci constata dal canto suo che nell'incontro “il mondo delle arti si avvicinerà al successore di Pietro con prevedibile orgoglio, certo con soddisfazione perché essere invitati dal Papa è già di per sé un segno di status, ma anche, per molti, con un misto di curiosità, di diffidenza, di imbarazzo”. Paolucci ricorda il discorso pronunciato da Paolo VI nel 1973 durante l'inaugurazione del Museo di Arte Religiosa Moderna, quando distinse fra arte sacra e arte religiosa sottolineando che “se la prima ha una precisa connotazione di ruolo e di funzione perché è destinata a qualificare il culto divino, la seconda offre all'artista uno spettro di possibilità creative virtualmente infinito”. “Tutto ciò che esprime la umana spiritualità – stupore di fronte al miracolo della natura, culto degli affetti, ascolto e riflessione di fronte ai supremi interrogativi della vita, della morte, dell'assoluto e dell'altrove – tutto questo può essere argomento di 'arte religiosa'”. Sottolineando che “un grande Papa intellettuale del rango di Benedetto XVI, un filosofo e un teologo del suo livello, non poteva non essere sensibile agli argomenti affrontati con straordinario profetico coraggio da Paolo VI”, Paolucci rileva l'importanza dell'incontro del 21 novembre osservando che “agli esordi del secolo e del millennio la questione del rapporto fra la Chiesa e le arti – quelle figurative ma non solo – non ha perso di significato né di attualità”. “Semmai, dopo il dibattito avviato da Paolo VI, se ne avverte sempre di più la drammatica urgenza e sempre di più ci si interroga sulle ragioni del divorzio”, avvenuto a suo avviso quando, dopo che per secoli la Chiesa aveva saputo “guardare al mondo delle arti con spregiudicato coraggio”, dall'Ottocento “si è chiusa in difesa, non ha più saputo né voluto rischiare”. Oggi, confessa Paolucci, ci sono forse “le condizioni favorevoli perché la Chiesa possa giocare con successo l'ultimo azzardo”. “Non è possibile che i tesori della spiritualità cristiana si siano inabissati in modo definitivo e irreversibile”, segnala. “Quali forme d'arte abiteranno il terzo millennio cristiano, non lo sappiamo. Oggi possiamo solo riconoscere e per quanto possibile onorare e valorizzare i frammenti di sapienza e di bellezza che potranno un giorno costruire il nuovo ordine estetico”.

Zenit