venerdì 15 gennaio 2010

'L'Occidentale' sulla visita alla Sinagoga di Roma di Benedetto XVI: quel che pensa il Papa degli ebrei è chiaro ma c'è chi fa finta di non capire

di Stefano Fontana
L'Occidentale

Nei rapporti reciproci la chiarezza è molto importante. Senza un volto ben definito, ossia senza sapere chi si è, non ci si dispone nemmeno a cogliere il volto dell’altro. Il dialogo, nonostante l’attuale enfasi sulla diversità, avviene sempre tra due identità. Per questo il contributo vero, reale, fondamentale che Benedetto XVI sta dando al dialogo con gli Ebrei è la chiarezza. Anche quando, purtroppo, questa indirettamente provoca reazioni diverse tra gli interlocutori. Mentre il Rabbino Capo di Roma ha invitato il Papa a visitare la Sinagoga domenica prossima 17 gennaio, il presidente dell’Assemblea dei rabbini italiani, Giuseppe Laras, ha detto che non sarà presente e non celebrerà questa giornata di amicizia ebraico-cristiana. Le motivazioni di opportunità riguardano l’avvio del processo di beatificazione di Pio XII, di cui Benedetto XVI ha proclamato le virtù eroiche, firmando il relativo decreto il 19 dicembre scorso, e che egli ha già chiamato pubblicamente “venerabile”. Anche l’anno scorso l’Assemblea dei Rabbini aveva sospeso la propria partecipazione alla giornata di amicizia cristiano-ebraica a causa del perdono concesso dal Papa ai lefebvriani (compreso il vescovo negazionista Williamson), al ritorno del messale del 1963 di Giovanni XXIII contenente la preghiera del venerdì santo per la conversione degli ebrei. In seguito ci sono state le richieste di perdono di Williamson, i chiarimenti contenuti nella Lettera del Papa ai vescovi cattolici sui vescovi lefebvriani, il viaggio in Israele, le molteplici dichiarazioni di amicizia con gli Ebrei, la regolarizzazione delle relazioni della Santa Sede con Israele. Tutti elementi che evidentemente il Rabbino Laras considera invece ancora questioni aperte e alle quali ora aggiunge la questione Pio XII.
Su questo problema, però, la posizione della Chiesa Cattolica è chiara e nello stesso tempo aperta. Prima di tutto essa è una questione della Chiesa Cattolica, la quale non può farsi dettare l’agenda del riconoscimento dei propri beati e santi da parte di nessuno. Pretendere di farlo significherebbe mettere in discussione il dialogo nei suoi fondamenti e voler deformare il volto dell’altro e la sua identità. Né si può sempre pensare che tutte le decisioni della Santa Sede e dei suoi vari organismi siano prese tenendo conto nel particolare delle ripercussioni sui rapporti con gli Ebrei. La firma del decreto delle virtù eroiche di Pio XII è stata fatta in contemporanea con quella relativa a Karol Woytjla, ma non necessariamente questo voleva essere un messaggio, in un senso o nell’altro, rivolto agli Ebrei. La successiva precisazione che comunque le cause avranno due percorsi diversi non può essere interpretata automaticamente come una rassicurazione data agli Ebrei che per Pio XII si attenderà più a lungo che non per Giovanni Paolo II e che quindi non si allarmino. Certo la Santa Sede conosce anche molto bene le arti diplomatiche e tutto viene coordinato dalla Segreteria di Stato con circospezione, però nello stesso tempo ci sono i tempi e le modalità della Chiesa. Questo vuol dire il cardinale Kasper quando afferma che quella di Pio XII è prima di tutto una questione “interna” alla Chiesa. Si tratta di un primo punto di chiarezza che anche gli Ebrei dovrebbero rispettare.
Il secondo punto riguarda il merito della eventuale beatificazione di Pio XII e i rapporti con la Storia. Il portavoce della Santa Sede, Padre Lombardi, subito dopo la firma del decreto su Pio XII, aveva dichiarato che la decisione riguarda non la figura storica di Pio XII, su cui il dibattito è aperto e su questo si pronunceranno gli storici, ma il fatto che egli possa esse proposto dalla Chiesa come esempio di vita cristiana. L’Osservatore Romano aveva dato conto di questa dichiarazione in una pagina interna attribuendola al “gesuita padre Lombardi”, con evidente volontà di sminuirne la portata. Che sia stato fatto per volontà esplicita del direttore Gian Maria Vian, autore di notevoli opere storiche su Pio XII e sul suo impegno a favore degli Ebrei, non ci è dato sapere, di certo è che secondo L’Osservatore Romano la versione di padre Lombardi non poneva nel giusto modo il rapporto tra il Pio XII della fede e il Pio XII della storia.
Per puntualizzare questo rapporto bisogna tenere conto di due elementi. Il primo è che una gran mole di testi ormai sembra aver fatto sufficiente chiarezza sull’impegno di Pio XII nell’aiuto agli ebrei. Di questo bisognerebbe che gli Ebrei stessi prendessero maggiormente atto. Non si vuole dire che la questione sia chiusa, perché storiograficamente nessuna questione lo è mai, certo però che non è “totalmente aperta” a tutte le interpretazioni, consistenti paletti sono già stati posti. Il secondo, e ancora più importante, è che per Benedetto XVI la conoscenza anche scientifica della storia è aiutata e non frenata dalla visione della fede. Su questo egli ha scritto una quantità di opere da teologo e ha pronunciato una quantità di discorsi da Papa. La storia ha certo la propria autonomia di ricerca, è una scienza e quindi vale l’indicazione di lasciare che gli storici lavorino anche su Pio XII e che portino documenti e testimonianze a favore dell’una o dell’altra testi. Ma questo non impedisce alla Chiesa di pronunciare la sua valutazione non solo del Pio XII della fede ma anche di quello della Storia, a partire da una visione di fede. Per questo la dichiarazione di Padre Lombardi era sbilanciata.
Come si vede la posizione del Papa sembra piuttosto chiara. Del resto l’invito è venuto dal Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni e non dalla Santa Sede, il programma prevede momenti di amicizia cattolico-ebraica molto significativi e ad alto valore simbolico attorno e dentro la sinagoga, certamente dai discorsi reciproci emergeranno motivi di incontro e di valorizzazione reciproca oltre a impegni nei due campi fondamentali: la testimonianza per l’Unico Dio creatore in un mondo secolarizzato e l’impegno comune per i diritti umani e la solidarietà.