“Per tutti coloro che svolgono ruoli di guida, l’esercizio dell'autorità ad ogni livello deve essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune”. E’ un monito che Benedetto XVI ha tratto dalla vita di Santa Elisabetta di Ungheria, la figura della quale ha illustrato nella catechesi dell’Udienza generale di questa mattina, alla presenza di 40mila fedeli in Piazza San Pietro. Proseguendo nella descrizione delle grandi figure femminili del Medioevo, Benedetto XVI ha parlato di questa principessa, una delle donne “che ha suscitato maggiore ammirazione”, la vita della quale mostra come “la fede, l'amicizia con Cristo, crea il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri, e crea l'amore, la carità e da questa nasce la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo, di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a scoprire Cristo, amare Cristo, avere la fede e così trovare la vera giustizia, l'amore e la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino”. Nata nel 1207, figlia di Andrea II, ricco e potente re d’Ungheria, da bambina “amava il gioco la musica e la danza, recitava le sue preghiere e mostrava già la sua attenzione verso i poveri”. La sua fanciullezza felice fu interrotta quando aveva 4 anni, dall’arrivo dei cavalieri che dalla Turingia venivano a prenderla per condurla alla corte del langravio, Ermanno I, promessa sposa del figlio Ludovico. Andò “con una ricca dote e un grande seguito, comprese le sue ancelle, due delle quali le rimarranno fedeli fino alla fine. Sono loro che ci hanno lasciato notizie sull’infanzia e sula vita della Santa”. Dopo il fidanzamento, Elisabetta studiava tedesco, latino francese, musica e ricamo. Nonostante si trattasse di un matrimonio combinato per motivi politici, “tra i due giovani nacque un amore sicero animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di Dio”, anche se Elisabetta si trovò “al centro di sommesse critiche perchè il suo modo di comportarsi non rispondeva ai canoni della vita di corte”. Anche il matrimonio non fu sfarzoso e al banchetto si pensò anche ai poveri. Della vita di Elisabetta il Papa ha sottolineato alcuni episodi, come quando “entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione si tolse la corona, la pose davanti alla croce e si prostrò in terra davanti al crocefisso con il viso coperto”. E quando la suocera la rimproverò per quel gesto, rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio re, Gesù Cristo, coronato di spine?”. “Come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. “Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza”. Elisabetta praticava le opere di misericordia: “dava da bere e da mangiare”, “procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti”. Quando questo fu riferito al marito, questi rispose agli accusatori: “Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!”. “In questo contesto si colloca il miracolo del pane trasformato in rose: mentre Elisabetta andava per la strada con il suo grembiule pieno di pane per i poveri, incontrò il marito che le chiese cosa stesse portando. Lei aprì il grembiule e, invece del pane, comparvero magnifiche rose. Questo simbolo di carità è presente molte volte nelle raffigurazioni di Santa Elisabetta”. Ma la vita di Elisabetta stava per conoscere dure prove. La prima “fu l’addio al marito, a fine giugno del 1227 quando Ludovico IV si associò alla crociata dell’imperatore Federico II, ricordando alla sposa che quella era una tradizione per i sovrani di Turingia. Elisabetta rispose: ‘Non ti tratterrò. Ho dato tutta me stessa a Dio ed ora devo dare anche te’”. Ludovico, però, cadde malato e morì ad Otranto, prima di imbarcarsi, nel settembre 1227, all’età di ventisette anni. Un’altra prova le venne dal cognato che usurpò il governo della Turingia, dichiarandosi vero erede di Ludovico. Elisabetta e i suoi tre figli furono cacciati dal castello di Wartburg. I bambini furono affidati ad amici di Ludovico, mentre Elisabetta, con due ancelle che le rimasero vicine, “lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all’inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo”. Qui, “il Venerdì Santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti”. “Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell’ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi. Cercava sempre di svolgere i servizi più umili e lavori ripugnanti. Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo ordine regolare di San Francesco e dell’Ordine francescano secolare”. Morì nel 1231 e solo quattro anni più tardi Gregorio IX la proclamò Santa. Il Papa ha terminato la catechesi parlando a braccio: “Santa Elisabetta – le sue parole – ci insegna come la fede, l’amicizia con Cristo, crea il senso della giustizia, dell’uguaglianza di tutti gli uomini, dei diritti degli altri, e crea l’amore, la carità, e da questa carità nasce anche la speranza, la certezza di essere amati da Cristo e che l’amore di Cristo ci aspetta”. “Santa Elisabetta – ha proseguito Benedetto XVI, sempre fuori testo – ci renda capaci di vedere Cristo negli altri, di amare Cristo, di amare la fede e così di trovare la vera giustizia, l’amore e la certezza che un giorno saremo immersi nella gioia, nell’immensità di Dio”.