“Il regno dei Cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano via”, “raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo”. E’ questo un passo del Vangelo odierno, tratto da Matteo, che invita i fedeli a soffermarsi sulla realtà del Giudizio finale. Una riflessione che si fa ancor più pressante, di fronte a realtà sconvolgenti quali la carestia nel Corno d’Africa che sta uccidendo migliaia di innocenti nell’indifferenza dell’opinione pubblica. Sulla realtà ultima del Giudizio e in particolare sul suo criterio, l’amore, Benedetto XVI ha svolto diverse riflessioni a partire dalla sua Enciclica “Spe Salvi”. “Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo” il prevalere dell’amore di Dio “su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell'amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia”: è uno dei passaggi forti del testo, in cui Benedetto XVI sottolinea come il Giudizio finale vada atteso non con paura, ma con speranza. “Io – scrive il Papa nell’Enciclica - sono convinto che la questione della giustizia costituisce l'argomento essenziale, in ogni caso l'argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna”. Il Papa ci porta dunque a riflettere su una pagina evangelica tra le più conosciute, per comprendere meglio la realtà del Giudizio: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto… e così via. Chi non conosce questa pagina? Fa parte della nostra civiltà. Ha segnato la storia dei popoli di cultura cristiana: la gerarchia di valori, le istituzioni, le molteplici opere benefiche e sociali” (Angelus, 23 novembre 2008).
Dobbiamo avere, esorta il Papa, un “cuore che vede”. Non possiamo restare indifferenti di fronte alle sofferenze dell’umanità. Cristo, avverte, è Pastore buono e misericordioso, ma anche Giudice giusto che nel Giudizio finale separerà i buoni dai malvagi. Benedetto XVI ci indica il “criterio decisivo” di questo giudizio: “Questo criterio è l’amore, la carità concreta nei confronti del prossimo, in particolare dei ‘piccoli’, delle persone in maggiore difficoltà: affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, carcerati. Il re dichiara solennemente a tutti che ciò che hanno fatto, o non hanno fatto nei loro confronti, l’hanno fatto o non fatto a Lui stesso. Cioè Cristo si identifica con i suoi ‘fratelli più piccoli’, e il giudizio finale sarà il rendiconto di quanto è già avvenuto nella vita terrena” (Al pellegrinaggio dell'arcidiocesi di Amalfi-Cava de' Tirreni, 22 novembre 2008).
Questo amore su cui saremo giudicati, soggiunge il Papa, non è mera filantropia. La sua fonte è Cristo stesso: “Lo spettacolo dell'uomo sofferente tocca il nostro cuore. Ma l'impegno caritativo ha un senso che va ben oltre la semplice filantropia. È Dio stesso che ci spinge nel nostro intimo ad alleviare la miseria. Così, in definitiva, è Lui stesso che noi portiamo nel mondo sofferente” (Al Pontificio Consiglio "Cor Unum", 23 gennaio 2006).
E dunque, prosegue, “quanto più consapevolmente e chiaramente lo portiamo come dono”, tanto più efficacemente il nostro amore cambierà il mondo e risveglierà la speranza. Ecco perché, ribadisce il Papa, la fede non è una teoria che “si può far propria o anche accantonare”: “È una cosa molto concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un'epoca nella quale l'ostilità e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso della religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte” (Al Pontificio Consiglio "Cor Unum", 23 gennaio 2006).
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