In questi anni, attraverso le catechesi delle Udienze generali del mercoledì, il Papa ha tracciato un grande affresco della Chiesa e dei suoi protagonisti. Cominciare dal principio è sempre una buona scelta per capire di cosa si stia parlando. E per la smemorata, scarsamente formata e troppo spesso indifferente al Vangelo umanità del terzo millennio cristiano, che lo ha “costretto” a istituire un dicastero che si occupi della sua rievangelizzazione, Benedetto XVI deve aver deciso, una volta sul Soglio di Pietro, che il Papa stesso per primo doveva, in certo modo, “rimboccarsi le maniche” e insufflare poco per volta, in polmoni inariditi dal secolarismo, il soffio di una sapienza bimillenaria che ha portato sulla terra il respiro del cielo. Così, nel marzo 2006, Benedetto XVI parte dal racconto dell’istante “zero” Chiesa, dall’incontro di Gesù con i pescatori di Galilea. Lì, afferma, c’è il Dna di ciò che accadrà dopo. I primi testimoni sono, sì, chiamati per diffondere nel mondo la verità del Vangelo, ma soprattutto sono membri di un unico corpo: “La loro missione non è isolata, ma si colloca dentro un mistero di comunione, che coinvolge l'intero Popolo di Dio e si realizza a tappe, dall'antica alla nuova Alleanza...Pertanto, sin dal primo momento della sua attività salvifica Gesù di Nazaret tende a radunare il Popolo di Dio” (15 marzo 2006, La volontà di Gesù sulla Chiesa e la scelta dei dodici).
Se tale la premessa – ed è incontrovertibile – coerenza vuole che la storia della Chiesa sia considerata alla luce di questa chiamata, e non nella cecità di chi pretende di scindere il Creatore dalla sua creatura. Per cui, in quella stessa udienza generale, il Papa – che mai ha nascosto i peccati della Chiesa – obietta con schiettezza contro una certa forma di ipocrisia che contagia molti credenti: “E’ pertanto del tutto inconciliabile con l’intenzione di Cristo uno slogan di moda alcuni anni fa: Gesù sì, Chiesa no! Questo Gesù scelto in modo individualistico è un Gesù di fantasia. Non possiamo avere Gesù senza la realtà che ha creato e nella quale si comunica. E questa sua presenza nella comunità nella quale Egli stesso si dà sempre a noi, è motivo della nostra gioia” (15 marzo 2006, La volontà di Gesù sulla Chiesa e la scelta dei dodici).
Ristabilite le proporzioni del quadro, Benedetto XVI ribadisce che “l’avventura degli Apostoli comincia così, come un incontro di persone che si aprono reciprocamente”: "Comincia per i discepoli una conoscenza diretta del Maestro. Essi infatti non dovranno essere annunciatori di un'idea, ma testimoni di una persona. Prima di essere mandati ad evangelizzare, dovranno 'stare' con Gesù, stabilendo con lui un rapporto personale” (22 marzo 2006, Gli Apostoli, testimoni e inviati di Cristo).
Trascorrono le settimane e i mesi, e le singole figure dei Dodici, narrate in modo vivido da Benedetto XVI, escono dalle nicchie di vecchi catechismi e ricominciano a parlare alla Chiesa del XXI secolo. Chi vuole, può ascoltare il Papa parlare del primato di Pietro, della successione apostolica, della trasmissione della fede, dell’unità e distinzione tra clero laici, dell’importanza della tradizione, che permette alla Chiesa dell’ora più antica di essere in totale comunione con quella più recente: “La tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte, la tradizione è il fiume vivo che ci collega con le origini. Il grande fiume che ci porta al porto dell’eternità. Così essendo in questo fiume vivo si verifica sempre di nuovo la parola che abbiamo sentito all’inizio, la parola del Signore: io sono con voi tutti i giorni della vita, fino alla fine del mondo” (26 aprile 2006, La comunione nel tempo: la Tradizione).
Clemente Alessandrino, Origene, Giovanni Crisostomo, San Girolamo, ma anche figure meno note come Sant’Efrem o San Cromazio: come un paziente maestro il Papa riaccende via via il faro d’interesse con il quale illumina i grandi padri e testimoni della prima Chiesa. Fino all’amato Sant’Agostino, protagonista di un ciclo nel ciclo, con cinque catechesi sviluppate tra il gennaio e il febbraio 2008. Ma il 2008 è anche quello dell’Anno Paolino. In 20 catechesi, Benedetto XVI parla con magistrale profondità dell’Apostolo delle Genti, la cui eccezionale esperienza, dice una volta, non è confinata a lui: “Anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa. Possiamo toccare il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani” (3 settembre 2008, La "conversione" di San Paolo).
Il viaggio intrapreso da Benedetto XVI ha l’ambizione di radicare la fede in modo analogo ai primi Padri della Chiesa. Ma diversamente da loro, in questo caso si tratta di rifondare ciò che, essendo stato per secoli un solido architrave, ha finito per essere, in molti, una parete malferma. Per riscoprire la forza e la bellezza del cristianesimo, affermò qualche anno fa, proprio Sant’Agostino è una figura di riferimento, poiché con la sua esperienza racconta che Dio è vicino a ogni essere umano, “tanto al suo cuore quanto alla sua ragione”: “‘Non andare fuori - afferma Agostino - ma torna in te stesso; nell’uomo interiore abita la verità; e se troverai che la tua natura è mutabile, trascendi te stesso'...Tendi dunque là dove si accende la luce della ragione. Proprio come egli stesso sottolinea...all’inizio delle Confessiones, la sua autobiografia spirituale: ‘Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te’” (30 gennaio 2008, Sant'Agostino di Ippona 3).
Radio Vaticana