Uno era alto e atletico, l'altro no. Uno è stato capace di gesti muscolari, l'altro è sempre sereno e tranquillo. Del primo Roberto Gervaso scrisse: "Si sente che Dio crede in lui", l'altro è un fine teologo. E tutto sommato questo è un paragone inutile. Stiamo parlando di Karol Wojtyla, oggi Beato, e Joseph Ratzinger, ascesi al Soglio pontificio come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Un confronto inutile per due personalità completamente differenti e con un vissuto agli antipodi. Eppure, da sette anni, continuiamo ad accostare il Papa teologo a quello polacco. Sbagliando. Di chi è la colpa? Per un terzo dei cattolici, la maggioranza dei quali (soprattutto i giovani) a causa della durata record del pontificato d Wojtyla non hanno mai visto un altro pontefice al di fuori di Benedetto XVI. Con cui fanno pedissequamente il paragone. Giulio Andreotti, uno che di Papi (quelli che stanno in Vaticano) se ne intende, e molto, avendone conosciuti cinque, ha detto: "A noi è stato insegnato ad amare IL Papa, non UN Papa". È assurdo considerare figure come Giovanni XXIII, Paolo VI o Giovanni Paolo I come pontefici da relegare al bianco e nero della Storia. Soprattutto Paolo VI, dal momento che gli ultimi tre Papi sono stati tre cardinali creati da lui. L'altra parte della colpa ricade su una certa pubblicistica che si è ritrovata improvvisamente orfana, il 2 aprile 2005, di un personaggio che ormai conosceva benissimo (anche in virtù degli ampi "spifferi" che provenivano allora dall'Appartamento papale), e che ha immediatamente iniziato il gioco più semplice e tipico delle grandi famiglie del nostro Sud: a chi somiglia il nuovo eletto? Non c'è stato, cioè, il tempo e l'esercizio approfondito di una seria analisi di Papa Ratzinger, mostrato prima come il Grande Inquisitore (le barzellette vaticane sul card. Ratzinger si sprecano, come quella in cui va in Paradiso e impone a San Pietro una penitenza di 300 Ave Maria), poi accostato al Papa più mediatico della Storia, il Grande Comunicatore che negli anni '80 aveva un concorrente solo in Ronald Reagan, per capirci. Con risultati catastrofici: un conservatore, un duro e puro, uno che non fa la stessa audience oceanica del predecessore, e così via. Benedetto XVI nel corso del tempo ha mostrato di essere un conservatore (se vogliamo proprio iscriverlo in una categoria) molto più intelligente dei suoi critici, a volte anche con gesti che hanno suscitato polemiche molto pesanti. È il caso del discorso di Ratisbona, del 2006, nel quale ha preso posizione contro il terrorismo religioso (in quel caso islamico), togliendo l'acqua ai pesci che nuotavano in un ambiente grigio, quello del fondamentalismo. O la recente rottura di un tabù, quello delle dimissioni del Papa, espresso nel libro "Luce del Mondo" del 2010. Una frase innocente, nella quale Papa Ratzinger parlava delle possibili dimissioni di un Pontefice che sentisse di non essere in grado di svolgere la sua missione, trasformata in un preannuncio di chissà quali sfracelli. In realtà, come ha poi chiarito più volte (l'ultima volta nel corso del Concistoro con cui, nel febbraio scorso, ha creato 22 cardinali), le sue dimissioni non ci saranno, ma è lecito aspettarsele da uno dei suoi immediati successori, a questo punto, che potranno compiere un gesto così clamoroso. La terza parte della colpa, involontariamente, è dello stesso Giovanni Paolo II e del suo stile papale. Che all'inizio sconvolse, e non poco, giornalisti e fedeli. Mai si era visto un Papa sciare, nuotare in piscina, impugnare il pastorale con così tanta sicurezza brandendolo verso la folla (come ad esempio fece il 22 ottobre 1978, al termine della Messa di inizio Pontificato). Dopo l'austero e slanciato Pacelli, il tozzo Roncalli, il meditabondo Montini e il flebile (nella voce e nella durata del papato, ma non nella fede e nella forza morale) Luciani, il ciclone Wojtyla scappellò eminenze e fedeli, ma piacque da subito alla gente. Un Papato durato quasi 30 anni che ha imposto ai fedeli un'unica figura con cui rapportarsi, cancellando l'idea stessa di successione papale, di Pontificati diversi tra loro. Nessuno, o quasi, dei 30enni di oggi, credenti e praticanti ovviamente, potrebbe o saprebbe rispondere a una domanda molto semplice: a chi assomiglia Papa Wojtyla? Di questo fa le spese Benedetto XVI, infilato in un paragone inutile con un amico, prim'ancora che con un Papa, imparagonabile a lui (e viceversa). Per effetto di queste tre cause non sempre il suo messaggio è stato correttamente recepito (come ad esempio la polemica sulle scarpe rosse che tutti i Papi portano). E a sette anni dalla morte di Giovanni Paolo II, mentre Joseph Ratzinger si avvia il 16 aprile a compiere serenamente 85 anni (e probabilmente veleggia verso i multos annos come Leone XIII), forse sarebbe ora di finirla con un paragone inutile. Che segue l'attuale Pontefice, come un'ombra, in qualsiasi cosa egli faccia. Ad majora.
Antonino D'Anna, Affaritaliani.it