giovedì 12 aprile 2012

Sulla Chiesa le nebbie del wojtylismo di un tempo, unite al sospetto che a Benedetto XVI siano state metodicamente negate collaborazione e lealtà

Alla prima riga nella prima pagina del manuale del bravo vaticanista, esiste una regola fondamentale: un Pontificato va giudicato dalla qualità e dall’azione del Collegio cardinalizio e del Collegio episcopale che un Pontefice nomina. E, come applicazione della su citata regola aurea, qualche spirito sereno, nei giorni immediatamente successivi l’Elezione di Benedetto XVI, si era giustamente posto una domanda: perché un Collegio di cardinali nominati da Papa Wojtyla ha scelto come Pontefice il 115° cioè l’unico cardinale eletto da Paolo VI? Era la sera del 25 marzo del 2005, Venerdì Santo, una manciata di giorni prima dell’epilogo della vicenda umana e spirituale di Karol Wojtyla. E alcune parole di Joseph Ratzinger, rimbalzate dalla Via Crucis al Colosseo in tutto l’orbe cattolico grazie alla mondovisione e ai media, vengono ancora ricordate come quel “manifesto elettorale” che i porporati, e le Chiese, schiacciati tra le due ali speravano di ascoltare da un nuovo Pontefice. Ricordiamole: "Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa? Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!". Per molti mesi in tanti hanno sperato che la ricaduta positiva, a livello ecclesiologico, dell’elezione ratzingeriana avrebbe causato negli episcopati locali un positivo sparigliamento delle carte e dei sistemi di cooptazione e di scelta dei futuri vescovi. Avrebbe potuto cioè, mettere in discussione la bulimia di potere (spesso, al limite della simonia) del wojtylismo di destra e di sinistra. Per restituire, così, alla Congregazione dei vescovi, l’organo vaticano preposto alla scelta dei presuli, la possibilità di riprendere in mano anche i meccanismi di nomina che, durante il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II, erano stati impropriamente usucapiti, e monopolizzati, dagli intraprendenti presidenti di alcune Conferenze Episcopali. Con questo “colpo di scopa”, Papa Benedetto XVI avrebbe certamente avviato per la Chiesa una stagione di rinnovamento e di nuove presenze. Quando qualcuno avrà tempo e voglia di parlare della Chiesa che Joseph Ratzinger ha ereditato dal suo predecessore, forse sarà costretto a partire proprio dall’analisi della palese faida che, per oltre un decennio, ha opposto l’ala destra a quella sinistra del corpus episcopale wojtylano: una guerra per bande su scala globale, cominciata tra il ’93 e il ’95, agli inizi del lungo declino del Pontificato di Giovanni Paolo II, e ormai estesa in tutto il mondo cattolico. E questo, ricordando che prima di quello tedesco, austriaco, olandese, belga e irlandese, ad andare in tilt è stato l’episcopato polacco, con le non eccelse vicende della successione alla cattedra di Varsavia, nel gennaio del 2007. In realtà, proprio a partire dal 19 aprile 2005, insieme al vento del nuovo Pontificato, sulla Chiesa hanno continuato ad aleggiare le nebbie del wojtylismo d’antan, unite al sospetto che a Benedetto XVI, Papa che i cinici di Curia hanno dato per “scaduto” a causa dell’età sin dal giorno della sua Elezione, siano state metodicamente negate collaborazione e lealtà anche da parte di organi importanti del sistema pontificio. Così, anche le nomine vescovili continuano a essere la solita lotta tra poveri di spirito ma ricchi di mezzi, soprattutto profani. Tra simoniaci vecchi e nuovi, che magari finiscono davanti ai tribunali penali statali (succederà a L’Aquila, il 17 aprile) nel clero che gravita sul sistema romano, il vecchio tarda sempre a morire e al nuovo viene sempre impedito di nascere. "La situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi", ha detto ancora una volta Benedetto XVI durante la Messa Crismale di quest’anno, il 5 aprile in San Pietro. Situazione drammatica sì, nella quale però i cattolici non hanno più voglia di stare a guardare passivamente. 2Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare – ha continuato il Papa – può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo2. In altre epoche, queste parole avrebbero avuto come “soggetto” i grandi ordini religiosi (in via di sparizione) oppure qualche realtà ecclesiale da valutare con il bilancino delle “vocazioni”. Questa volta invece, sono parole dirette alla base, al ventre caldo della Chiesa, ai battezzati non chierici. Parole dettate dall’empirismo vaticano o l’ennesima profezia che Benedetto XVI ci sta consegnando per il Mondo e la Chiesa di un futuro ormai prossimo? Se vincerà lo Spirito Santo...Ne vedremo delle belle.

Filippo Di Giacomo, L'Unità