Una croce in legno, alta quattro metri, sarà portata in tutte le capitali del mondo "come segno di gratitudine a Dio". Questa mattina, prima dell'Udienza generale, il Papa l’ha benedetta, ripetendo così il gesto compiuto da Giovanni Paolo II il 10 marzo 2004. Finora la croce, su iniziativa di un gruppo di fedeli ucraini di Leopoli, nella prospettiva della celebrazione, nel 2033, dei duemila anni della Risurrezione di Cristo, ha attraversato Ucraina, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Svezia, Germania, Islanda, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Austria, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Da tempo la croce è a Roma: è stata anche portata nelle Basiliche papali di San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo. Ora riprenderà il viaggio nel mondo. C’è in questa iniziativa una valenza ecumenica. La stessa che ha spinto anche don Vladimiro Timoshenko, parroco dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a Novgorod, in Russia, a portare al Papa l’icona di Sant’Olaf per la benedizione. L’immagine sarà ora posta nella chiesa, in sostituzione di un’antica e veneratissima icona del Santo andata distrutta. Particolarmente folti i pellegrinaggi italiani. In seimila sono venuti da Nola alla vigilia del Sinodo. E in mille da Enna per ricordare i seicento anni della proclamazione di Maria della Visitazione Patrona della città: ad accompagnare il gruppo siciliano il vescovo Michele Pennisi e Salvatore Martinez, presidente del comitato scientifico delle celebrazioni. Il Pontefice ha poi benedetto la fiaccola che l’Unione sportiva delle Acli porterà a Napoli, i ragazzi del carcere minorile di Nisida saranno gli ultimi tedofori, per una tre giorni di iniziative allo scopo di promuovere l’etica nello sport e opporsi a ogni forma di razzismo. Le Acli hanno presentato al Papa anche il premio nazionale Enzo Bearzot, un alto rilievo che sarà consegnato all’allenatore del Napoli calcio, Walter Mazzarri. Infine, a Benedetto XVI sono state donate alcune reliquie dei Beati Giuseppe Toniolo e Clemente Vismara.
L'Osservatore Romano