lunedì 28 gennaio 2013

Nel discorso alla Rota romana il Papa riprende il filo di un ragionamento abbozzato all'inizio del Pontificato: promuovere ulteriori riflessioni sulla possibilità di annullare un matrimonio per mancanza o carenza di fede dei coniugi

Quello di Benedetto XVI è poco più di un accenno però è importante, nell'annosa vicenda dei divorziati risposati nella Chiesa, perché apre uno spiraglio riprendendo il filo di un ragionamento che il Papa aveva abbozzato all'inizio del suo Pontificato e mai più ripreso, fino a ieri. Quando, parlando a giudici e avvocati della Rota Romana (popolarmente chiamata "Sacra Rota", anche se non è più "sacra" dall'83) ha chiesto loro, "soprattutto nel contesto attuale", di "promuovere ulteriori riflessioni" sulla possibilità di annullare un matrimonio per mancanza o "carenza" di fede dei coniugi. Appena eletto, il Pontefice ne aveva parlato il 25 luglio 2005 durante le vacanze estive in Val d'Aosta, rispondendo alle domande di alcuni sacerdoti sui divorziati risposati che non possono fare la comunione o ricevere l'assoluzione, un problema sempre più urgente: "Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse", aveva detto Benedetto XVI. "Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti si erano sposati in chiesa, ma non erano veramente credenti, e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal sacramento". Un caso che il Pontefice aveva chiesto di approfondire alla Rota il 28 gennaio 2006. Poi non se ne era saputo più nulla. Nell'Incontro Mondiale delle Famiglie, l'anno scorso a Milano, lui stesso era tornato sul problema, "una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi". E si era rivolto direttamente ai divorziati risposati: "Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica", invitando le diocesi ad "adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza". Non c'era stata nessuna apertura concreta, però, sull'accesso ai sacramenti. Resta valido, per la Chiesa, ciò che si legge nella "lettera ai vescovi" del 14 settembre 1994, approvata da Giovanni Paolo II e firmata dall'allora prefetto dell'ex Sant'Uffizio, il card. Joseph Ratzinger: la Chiesa, "fedele alla parola di Gesù Cristo, afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica". A meno che, attenzione, non si dimostri la "nullità" della precedente unione. È quindi intorno alla "nullità" matrimoniale che la Chiesa cerca una soluzione. Certo, Benedetto XVI elogia come esempio di "fedeltà e coerenza cristiana" il "sacrificio" del coniuge "abbandonato" che riconosce l'"indissolubilità del vincolo" e non si risposa. E resta prudente: "Non intendo certamente suggerire alcun facile automatismo tra carenza di fede e invalidità dell'unione matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza possa, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all'ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale". Non una cosa automatica, quindi, bisognerà valutare caso per caso. Ma la strada "da approfondire" è quella.

Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera