venerdì 27 febbraio 2009

Revoca della scomunica ai lefebvriani. Mons. Fellay: non siamo pronti a riconoscere il Concilio Vaticano II

Il Vaticano esige il riconoscimento del Concilio Vaticano II per reintegrare i lefebvriani. Ma questo "è mettere il carro davanti ai buoi": l'osservazione arriva da mons. Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X; e successore di mons. Lefebvre. "Il Vaticano - dice Fellay in una intervista a Le Courrier - ha riconosciuto la necessità di colloqui preliminari per trattare questioni di fondo che provengono giustamente dal Concilio Vaticano II. Fare del riconoscimento del Concilio una condizione preliminare, è mettere il carro davanti ai buoi". La revoca della scomunica dei quattro vescovi della Fraternità di San Pio X non significa una "integrazione" nella Chiesa, ma una porta aperta per il dialogo, ha precisato il 4 febbraio scorso una nota della Segreteria di Stato vaticana, in risposta alle dichiarazioni del vescovo negazionista Richard Williamson. Mons. Fellay ritiene che le acquisizioni del Concilio Vaticano II "sono delle pure perdite": "I frutti del Concilio - dice nell'intervista - sono stati di svuotare i seminari, i noviziati e le chiese. Migliaia di preti hanno abbandonato il sacerdozio e milioni di fedeli hanno smesso di frequentare la messa o si sono rivolti alle sette. La fede è stata snaturata. Si tratta di acquisizioni strane". In tal senso, la Fraternità San Pio X è ostile alla libertà di coscienza in materia di religione, all'ecumenismo e al dialogo interreligioso? "E' ben evidente - risponde il superiore - che l'adesione a una religione necessita un atto libero. E dunque molto spesso mentre si dice che la Fraternità è contro la libertà di coscienza in materia religiosa, si attribuisce alla Fraternità una teoria che non ha. La coscienza è l'ultimo giudizio sulla bontà della nostra azione e in questo senso nessuno può agire contro la propria coscienza senza peccare. Resta il fatto che la coscienza non è un assoluto che dipende dal bene e dalla verità oggettivi, e che ogni uomo, di conseguenza, ha il dovere di formare, di educare rettamente la propria coscienza. È così - prosegue mons. Fellay - che la chiesa deve essere una madre responsabile che chiarisce e guida le nostre intelligenze limitate e spesso nell'ombra. Per quanto riguarda l'ecumenismo o il dialogo interreligioso, tutto dipende da come si intendono questi termini. C'è grande confusione nei nostri spiriti su questo tema. Evidentemente come ogni essere umano e per il bene della società noi desideriamo vivere in pace con tutti gli uomini, nostri simili". Sul piano religioso "desideriamo rispondere ardentemente al desiderio di Nostro Signore: 'Che tutti siano uno, affinchè non ci sia che un solo gregge e un solo pastore'. Se con il termine ecumenismo si intende il perseguimentodi questo obiettivo così nobile, siamo evidentemente a favore. Se invece vi si vede un cammino che non cerca questa unità fondamentale, unità che passa per forze di cose da uno sguardo di verità - quello di cui la chiesa cattolica dice di essere ancora oggi la sola a possederla integralmente - allora protestiamo". Infatti, "vediamo che al giorno di oggi l'ecumenismo resta a un livello molto superficiale di intesa e di vita nella società, senza andare al fondo delle cose". Di quale statuto in seno alla chiesa, la fraternità potrà beneficiare? "Vedremo se le discussioni dottrinali sfociano su qualche cosa di positiva - conclude Fellay -. Sia quel che Dio vuole".

Credo sia veramente ora che mons. Fellay la smetta di andare qua e là a rilasciare interviste su cosa va o non va bene a lui e alla sua Fraternità, e si impegni nel dialogo schietto e sincero con la Santa Sede, se non vuole continuare insieme agli altri seguaci di Lefebvre a rimanere ai margini della Chiesa, anzi, fuori dalla comunione ecclesiale.
Nessuno abusi della misericordia e della magnanimità di Papa Benedetto!
Scenron