Il cristiano è l’uomo della gioia e l’Avvento gliene fornisce la ragione perché - scrive San Paolo - “il Signore è vicino”. Dunque, afferma Benedetto XVI all’Angelus del 16 dicembre 2007, la gioia cristiana “scaturisce pertanto da questa certezza: Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida”. (Angelus, 16 dicembre 2007).
Anche per le strade, specie delle nostre società occidentali, l’Avvento è un periodo di gioia. Luminarie e addobbi, cibi e doni speciali assolvono puntualmente ogni anno al bisogno umano di enfatizzare con i segni l’attesa di una grande festa, di crearne l’atmosfera. E puntualmente ogni anno, la gioia spirituale del Dio che viene rischia di essere un dettaglio sullo sfondo nel quadro di una più collettiva ed effervescente gioia “mercantile”. Il Papa ne parla con chiarezza all’Angelus del 11 dicembre 2005: “Nell’odierna società dei consumi, questo periodo subisce purtroppo una sorta di ‘inquinamento’ commerciale, che rischia di alterarne l’autentico spirito, caratterizzato dal raccoglimento, dalla sobrietà, da una gioia non esteriore ma intima” (Angelus, 11 dicembre 2005).
Se poi la gioia di superficie che scalda molti cuori non è nemmeno solo il frutto di un entusiasmo momentaneo - l’euforia da festa - ma di un edonismo ricercato e perseguito come stile di vita, la comprensione autentica del Natale diventa quasi impossibile. Se “si fa della felicità un idolo - mette in guardia il Pontefice sempre all’Angelus del 2007 - si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù”.
“E’ questa, purtroppo, la proposta delle culture che pongono la felicità individuale al posto di Dio, mentalità che trova un suo effetto emblematico nella ricerca del piacere ad ogni costo, nel diffondersi dell’uso di droghe come fuga, come rifugio in paradisi artificiali, che si rivelano poi del tutto illusori” (Angelus, 16 dicembre 2007).
Benedetto XVI pensava in particolare ai giovani quando all’Angelus del 17 dicembre 2006, si era soffermato su questi stessi concetti, sul confondere la gioia dell’anima con la fiammata di “un momento di ebbrezza”. E a coloro “che - osservava - hanno smarrito il senso della vera gioia” del Natale, ne ribadiva il senso e la piena attualità: “E’ proprio a chi è nella prova, ai ‘feriti della vita ed orfani della gioia’ che si rivolge in modo privilegiato la Parola del Signore. L’invito alla gioia non è un messaggio alienante, né uno sterile palliativo, ma, al contrario, é profezia di salvezza, appello ad un riscatto che parte dal rinnovamento interiore” (Angelus, 17 dicembre 2006).
La terza Domenica di Avvento, allora, racconta di una gioia che non va tanto inseguita o fabbricata, riempita di colori o di oggetti. E una gioia che non si fa desiderare dall’uomo ma che lo raggiunge, gli si fa vicina dalla penombra di una stalla di Betlemme. Spiegava il Papa all’Angelus del 14 dicembre 2008: "la ‘vicinanza’ di Dio non è una questione di spazio e di tempo, bensì una questione di amore: l’amore avvicina! Il prossimo Natale verrà a ricordarci questa verità fondamentale della nostra fede e, dinanzi al Presepe, potremo assaporare la letizia cristiana, contemplando nel neonato Gesù il volto del Dio che per amore si è fatto a noi vicino” (Angelus, 14 dicembre 2008).
Radio Vaticana