giovedì 14 ottobre 2010

Il rabbino Rosen: la responsabilità ebraica di garantire la fioritura di comunità cristiane nella Terra Santa rafforzata dalla rinnovata fraternità

“I cristiani svolgono un ruolo assai importante nella promozione del dialogo e la collaborazione interreligiosi in Israele. La funzione dei cristiani è quella di contribuire al superamento del pregiudizio e del malinteso che affliggono la Terra Santa”. E’ quanto ha detto il Rabbino David Rosen, consigliere del Gran Rabbinato di Israele e direttore del "Department for Interreligious Affairs of the American Jewish Committee and Heilbrunn Institute for International Interreligious Understanding" (Israele), parlando ieri sera come invitato speciale del Papa al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, sul tema “La relazione Ebreo-Cristiana e il Medio Oriente”. Rosen ha affermato che “non è giusto aspettarsi che le piccole comunità cristiane locali siano in grado di sopportare da sole tale responsabilità, forse possiamo sperare che, se sostenute in questo dalla loro Chiesa universale e dall’autorità centrale, possano fungere da salutari operatori di pace”. Il rabbino ha ribadito l’importanza “di avere i dialoghi bilaterali - con gli ebrei e con l’Islam - e poi anche il dialogo trilaterale per vincere il sospetto, il pregiudizio e i malintesi, in modo che possiamo mettere in luce i valori condivisi dalla famiglia di Abramo per il bene di tutta l’umanità”. Per Rosen “la domanda fondamentale per il futuro delle nostre comunità è se i fratelli musulmani saranno capaci di considerare la presenza dei cristiani e degli ebrei come parte integrante e pienamente legittimata della regione nel suo insieme”, o per meglio dire, “se il mondo arabo possa o meno tollerare un sistema di governo sovrano non arabo al suo interno”. Il Rabbino si è poi soffermato sul rapporto tra la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico che “presenta una felice trasformazione per i nostri tempi, senza paralleli storici. Naturalmente – ha riconosciuto Rosen - questa straordinaria trasformazione nel modo in cui il popolo ebraico viene considerato e presentato ha dovuto e deve ancora confrontarsi con l’influenza di secoli, se non di millenni di insegnamento del disprezzo nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo, che ovviamente non può essere eliminato di punto in bianco e neppure dopo 45 anni. Inevitabilmente l’impatto di questa trasformazione nei rapporti cattolico-ebraici varia considerevolmente da un contesto all’altro, a seconda dell’influenza di fattori sociologici, educativi e perfino politici”. Come in Israele, dove “la vita quotidiana della stragrande maggioranza di arabi cristiani ed ebrei si svolge in seno ai loro rispettivi contesti. Di conseguenza fino a poco tempo fa la maggior parte della società israeliana non ha avuto alcun sentore dei profondi cambiamenti nei rapporti tra cattolici ed ebrei”. Una situazione che ha iniziato a cambiare per due importanti motivi: ”L’impatto della visita di Giovanni Paolo II nel 2000; per Israele vedere il Papa al Muro del Pianto è stato straordinario e commovente nel suo effetto. Gli ebrei di Israele hanno ancora molta strada da fare per superare un passato negativo, ma non c’è dubbio che da quella storica visita gli atteggiamenti sono cambiati”. Il secondo fattore “è l’influsso di altri cristiani che hanno raddoppiato l’assetto demografico del cristianesimo in Israele”. “La responsabilità ebraica di garantire la fioritura di comunità cristiane in mezzo a noi, in considerazione del fatto che la Terra Santa è la terra in cui nacque il Cristianesimo e dove si trovano i luoghi sacri - è stata la conclusione - viene rafforzata dalla nostra rinnovata e crescente fraternità”.