Dal cuore del Papa al cuore dei seminaristi. Benedetto XVI si rivolge con stile personale ai giovani che aspirano a diventare sacerdoti, in una lettera inviata nell’ambito della conclusione dell’Anno Sacerdotale e resa pubblica oggi. Ricorda che, nel dicembre 1944, quando fu chiamato al servizio militare, affermò di voler diventare sacerdote. Gli fu risposto che nella “nuova Germania” nazista non ci sarebbe stato più bisogno dei sacerdoti. Ma, scrive, “sapevo” che “dopo le enormi devastazioni portate da quella follia sul Paese ci sarebbe stato più che mai bisogno di sacerdoti”. “Oggi molti pensano che il sacerdozio cattolico non sia una ‘professione’ per il futuro, ma che appartenga piuttosto al passato. Voi, cari amici, vi siete decisi ad entrare in seminario, e vi siete, quindi, messi in cammino verso il ministero sacerdotale nella Chiesa Cattolica, contro tali obiezioni e opinioni. Avete fatto bene a farlo. Perché gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione”. “Il seminario è una comunità in cammino verso il servizio sacerdotale – prosegue -. Con ciò, ho già detto qualcosa di molto importante: sacerdoti non si diventa da soli. Occorre la ‘comunità dei discepoli’, l’insieme di coloro che vogliono servire la comune Chiesa”. Chi vuole diventare sacerdote “deve essere soprattutto un ‘uomo di Dio’’”. Un Dio, scrive, che per noi “non è un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il ‘big bang’”. E il Papa continua: “Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù Cristo vediamo il volto di Dio. Nelle sue parole sentiamo Dio stesso parlare con noi. Perciò la cosa più importante nel cammino verso il sacerdozio e durante tutta la vita sacerdotale è il rapporto personale con Dio in Gesù Cristo. Il sacerdote non è l’amministratore di una qualsiasi associazione, di cui cerca di mantenere e aumentare il numero dei membri. È il messaggero di Dio tra gli uomini”. Circa la spiritualità del presbitero, il Papa ha poi rivolto ai seminaristi l’invito a imparare “a vivere in contatto costante con Dio. Quando il Signore dice: ‘Pregate in ogni momento’, naturalmente non ci chiede di dire continuamente parole di preghiera, ma di non perdere mai il contatto interiore con Dio. Esercitarsi in questo contatto è il senso della nostra preghiera. Perciò è importante che il giorno incominci e si concluda con la preghiera”. Allo stesso modo, Benedetto XVI ha poi sviluppato una meditazione sul ruolo dei sacramenti per la vita di fede: “Il centro del nostro rapporto con Dio e della configurazione della nostra vita è l’Eucaristia. Celebrarla con partecipazione interiore e incontrare così Cristo in persona, dev’essere il centro di tutte le nostre giornate”, ha sottolineato aggiungendo che i futuri preti debbono imparare “a conoscere, capire e amare la liturgia della Chiesa nella sua forma concreta”. Analoga riflessione è stata proposta per il sacramento della Penitenza, descritto come uno strumento per “opporsi all’abbrutimento dell’anima, all’indifferenza che si rassegna al fatto” che “domani farete di nuovo gli stessi peccati”. Circa questi ultimi, ha ricordato che “è importante restare in cammino, senza scrupolosità, nella consapevolezza riconoscente che Dio mi perdona sempre di nuovo”. Nella Lettera ai seminaristi, Benedetto XVI ha quindi sottolineato l’importanza di tenere viva “la sensibilità per la pietà popolare” perché – ha notato – “attraverso di essa la fede è entrata nel cuore degli uomini” ed è “un grande patrimonio della Chiesa”. Ha poi evidenziato l’importanza dello studio, affermando che “la fede cristiana ha una dimensione razionale e intellettuale che le è essenziale. Senza di essa la fede non sarebbe se stessa”, e quindi ha rivolto l’invito: “Studiate con impegno! ... non ve ne pentirete”. Ha quindi elencato alcuni dei rami del sapere teologico che un prete è particolarmente chiamato ad approfondire: la Sacra Scrittura, la patristica, la dogmatica, la teologia morale, la dottrina sociale cattolica, la teologia ecumenica, il diritto canonico. Passando poi agli aspetti umani della “maturazione” di un futuro sacerdote, Benedetto XVI ha richiamato le “virtù teologali” accanto a quelle “cardinali”, riservando uno specifico passaggio alla sessualità. Di questa ha affermato che “quando non è integrata nella persona” essa “diventa banale e distruttiva allo stesso tempo”. A questo proposito, ha citato i “sacerdoti che hanno sfigurato il loro ministero con l’abuso sessuale di bambini e giovani”, perchè ''anzichè portare le persone ad un'umanità matura ed esserne l'esempio, hanno provocato, con i loro abusi, distruzioni di cui proviamo profondo dolore e rincrescimento''. Il Papa aggiunge che l'abuso “non può screditare la missione sacerdotale, la quale rimane grande e pura”. Nella parte conclusiva della Lettera ai seminaristi, Benedetto XVI ha poi evidenziato che, “oggi gli inizi della vocazione sacerdotale sono più vari e diversi che in anni passati. La decisione per il sacerdozio si forma oggi spesso nelle esperienze di una professione secolare già appresa. Cresce spesso nelle comunità, specialmente nei movimenti, che favoriscono un incontro comunitario con Cristo e la sua Chiesa, un’esperienza spirituale e la gioia nel servizio della fede”. “I movimenti – ha spiegato - sono una cosa magnifica. Voi sapete quanto li apprezzo e amo come dono dello Spirito Santo alla Chiesa. Devono essere valutati, però, secondo il modo in cui tutti sono aperti alla comune realtà cattolica, alla vita dell’unica e comune Chiesa di Cristo che in tutta la sua varietà è comunque solo una”. Dopo aver notato che “il seminario è il periodo nel quale imparate l’uno con l’altro e l’uno dall’altro”, il Papa ha anche rilevato che “i candidati al sacerdozio vivono spesso in continenti spirituali completamente diversi”. Pertanto, ha messo in luce come “potrà essere difficile riconoscere gli elementi comuni del futuro mandato e del suo itinerario spirituale. Proprio per questo il seminario è importante come comunità in cammino al di sopra delle varie forme di spiritualità”, ha concluso.