Veramente, avevo sperato di trovare pace e tranquillità. Il fatto di trovarmi all’improvviso di fronte a questo compito immenso è stato per me, come tutti sanno, un vero shock. La responsabilità, infatti, è enorme.
C’è stato un momento del quale più tardi Lei ha detto di avere avuto l’impressione di sentire una “mannaia” calarle addosso.
Sì, in effetti il pensiero della ghigliottina mi è venuto: ecco, ora cade e ti colpisce. Ero sicurissimo che questo incarico non sarebbe stato destinato a me ma che Dio, dopo tanti anni faticosi, mi avrebbe concesso un po’ di pace e di tranquillità. L’unica cosa che sono riuscito a dire, a chiarire a me stesso è stata: “Evidentemente, la volontà di Dio è diversa, e per me inizia qualcosa di completamente diverso, una cosa nuova. Ma Lui sarà con me”.
Nella cosiddetta “Camera delle lacrime”, fin dall’inizio del Conclave, per il futuro Papa sono pronte tre vesti: una lunga, una corta, e una è media. Cosa ha pensato in quella stanza della quale si dice che in essa più di un Pontefice neo eletto sia crollato? È lì che al più tardi ci si chiede ancora una volta: perché io? Cosa vuole Dio da me?
In realtà, in quei momenti si è presi da questioni molto pratiche, esteriori: innanzitutto come aggiustarsi la veste e cose simili. Sapevo che di lì a poco, dalla Loggia centrale, avrei dovuto pronunciare qualche parola, ed ho iniziato a pensare: “Cosa potrei dire?” Per il resto, fin dal momento in cui la scelta è caduta su di me, sono stato capace soltanto di dire questo: “Signore, cosa mi stai facendo? Ora la responsabilità è tua. Tu mi devi condurre! Io non ne sono capace. Se tu mi hai voluto, ora devi anche aiutarmi!”. In questo senso mi sono trovato, per così dire, in un dialogo molto stringente con il Signore, per dirgli che se faceva l’una cosa, allora doveva fare anche l’altra.
Giovanni Paolo II l’aveva voluta come successore?
Non lo so. Credo che avesse messo tutto nelle mani di Dio.
Comunque non ha mai permesso che Lei lasciasse il suo incarico. Fatto, questo, che si potrebbe interpretare come un argumentum e silentio, un tacito consenso per il candidato preferito…
Mi ha sempre riconfermato nel mio incarico, è noto. Mentre si avvicinava il mio settantacinquesimo compleanno, il raggiungimento del limite di età in cui si rassegnano le dimissioni, mi disse: “Non è nemmeno necessario che Lei scriva la lettera, perché io La voglio con me sino alla fine”.Questa è stata la benevolenza grande e immeritata che egli aveva avuto nel miei confronti sin dall’inizio. Aveva letto il mio libro Introduzione al Cristianesimo. Per lui, evidentemente, una lettura importante. Appena diventato Papa, si era ripromesso di farmi venire a Roma come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Aveva riposto in me una fiducia grande, affettuosa, profonda. Era in qualche modo la garanzia del fatto che in materia di fede stessimo seguendo la strada giusta.
Lei ha fatto visita a Giovanni Paolo II ancora sul suo letto di morte. Quella sera, tornò di fretta da una conferenza a Subiaco, nella quale aveva parlato de “L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture”. Quali sono state le ultime parole che il Papa morente Le ha rivolto?
Era molto sofferente, eppure molto lucido. Ma non ha detto più nulla. Gli ho chiesto la benedizione, che mi ha dato. Ecco, ci siamo lasciati stringendoci le mani con affetto, nella consapevolezza che sarebbe stato il nostro ultimo incontro.
Lei non voleva diventare vescovo, non voleva diventare prefetto, non voleva diventare Papa. Non si prova forse un po’ di sgomento al pensiero delle cose che sempre ci capitano contro la nostra volontà?
Il fatto è questo: quando al momento dell’ordinazione sacerdotale si dice “sì”, si può anche avere un’idea di quello che potrebbe essere il proprio carisma, ma si sa anche questo: “Mi sono rimesso nelle mani del vescovo e, in fin dei conti, nelle mani del Signore. Non posso scegliere quello che voglio. Alla fine, devo lasciarmi guidare”. In realtà, pensavo che il mio carisma fosse di fare il professore di teologia, e fui felice quando questo mio sogno si realizzò. Ma avevo sempre ben chiaro davanti agli occhi questa cosa: “Sono nelle mani del Signore e devo mettere nel conto la possibilità di dovere fare cose che non avrò voluto”. In questo senso, sicuramente è stata una continua sorpresa l’essere “strappato via” da dove si era e non poter più seguire la propria strada. Ma, come ho detto, in quel ‘sì’ fondamentale era anche compreso questo: “Sono a disposizione del Signore e forse un giorno dovrò fare anche cose che non vorrei fare”.
Lei oggi è il Papa più potente di tutti i tempi. Mai prima d’ora la Chiesa Cattolica ha avuto tanti fedeli, mai un’estensione simile, letteralmente fino ai confini della terra.
Sono statistiche che certo hanno la loro importanza. Mostrano quanto la Chiesa sia vasta, quanto ampia sia in realtà questa comunità che abbraccia razze e popoli, continenti, culture e persone di ogni genere. Ma il potere del Papa non è in questi numeri.
Perché no?
La comunione con il Papa è di tipo diverso, e naturalmente anche l’appartenenza alla Chiesa. Tra quel miliardo e duecento milioni di persone ce ne sono molte che poi in realtà nel loro intimo non ne fanno parte. Già ai suoi tempi, Sant’Agostino diceva: molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro. In una questione come la fede e l’appartenenza alla Chiesa Cattolica, il dentro e il fuori sono intrecciati misteriosamente. Stalin aveva effettivamente ragione quando diceva che il Papa non ha divisioni e non può intimare o imporre nulla. Non possiede nemmeno una grande impresa, nella quale, per così dire, tutti i fedeli della Chiesa sarebbero suoi dipendenti o subalterni. In questo senso, da un lato il Papa è una persona assolutamente impotente. Dall’altro ha una grande responsabilità. Egli è, in un certo senso, il capo, il rappresentante e allo stesso tempo il responsabile del fatto che quella fede che tiene uniti gli uomini sia creduta, che rimanga viva e che rimanga integra nella sua identità. Ma unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede. [...]
Il Papa è veramente “infallibile”, nel senso in cui a volte lo presentano i mass media? È cioè un sovrano assoluto il cui pensiero e la cui volontà sono legge?
Questo è sbagliato. Il concetto dell’infallibilità è andato sviluppandosi nel corso dei secoli. Esso è nato di fronte alla questione se esistesse da qualche parte un ultimo organo, un ultimo grado che potesse decidere. Il Concilio Vaticano I – rifacendosi ad una lunga tradizione che risaliva alla cristianità primitiva – alla fine ha stabilito che quell’ultimo grado esiste. Non rimane tutto sospeso! In determinate circostanze e a determinate condizioni, il Papa può prendere decisioni in ultimo vincolanti grazie alle quali diviene chiaro cosa è la fede della Chiesa, e cosa non è. Il che non significa che il Papa possa di continuo produrre “infallibilità”. Normalmente, il Vescovo di Roma si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa. Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il Papa può dire: “Questa determinata cosa è fede della Chiesa e la negazione di essa non è fede della Chiesa”. In questo senso il Concilio Vaticano I ha definito la facoltà della decisione ultima: affinché la fede potesse conservare il suo carattere vincolante.
Il ministero petrino – così Lei spiegava – garantisce la concordanza con la verità e la tradizione autentica. La comunione con il Papa è presupposto per una fede retta e per la libertà. Sant’Agostino aveva espresso questa idea così: dove c’è Pietro, c’è la Chiesa, e lì c’è anche Dio. Ma è un’espressione che viene da altri tempi, oggi non è più valida…
In realtà l’espressione non è formulata in questi termini e non è di Agostino, ma ora non è questo il punto. In ogni caso si tratta di un assioma antico della Chiesa Cattolica: dove c’è Pietro, c’è la Chiesa. Ovviamente il Papa può avere opinioni personali sbagliate. Ma come detto: quando parla come Pastore Supremo della Chiesa, nella consapevolezza della sua responsabilità, allora non esprime più la sua opinione, quello che gli passa per la mente in quel momento. In quel momento egli è consapevole della sua grande responsabilità e, al tempo stesso, della protezione del Signore; per cui egli non condurrà, con una siffatta decisione, la Chiesa nell’errore ma al contrario, garantirà la sua unione con il passato, il presente ed il futuro e soprattutto con il Signore. Questo è il nocciolo della faccenda e questo è quello che percepiscono anche le altre comunità cristiane.
Avvenire
Avvenire