Quella che Benedetto XVI presiederà domattina alle 10.30, in Aula Paolo VI, sarà la 45° e ultima udienza generale del 2011. In questi dodici mesi, circa 400mila persone hanno partecipato agli incontri del mercoledì per ascoltare le catechesi del Papa, contrassegnate da una grande varietà di argomenti. Dopo aver terminato nella prima parte dell’anno la rassegna sulle grandi figure di Santi e Sante del XVI e XVII secolo, Benedetto XVI ha sviluppato un’ampia riflessione sul rapporto tra l’uomo e la preghiera, per poi proseguire in questi ultimi mesi con una serie di meditazioni su alcuni Salmi. Prima gli esempi, poi gli strumenti. Il colpo d’occhio generale dei temi trattati finora dal Papa nell’arco delle 44 Udienze generali del 2011, esclusa quella di domani, sembrerebbero suggerire, fra altri possibili, questo legame. Prima gli esempi, cioè i Santi; poi gli strumenti, ovvero la preghiera come attitudine da coltivare e sviluppare e i Salmi come forma antica e intramontabile di rivivere l’eterno rapporto tra l’uomo e Dio. Benedetto XVI apre l’anno, ma in realtà è una prosecuzione dal 2010, con una figura femminile, Caterina da Genova, e chiude il ciclo dedicato ai Santi del 1500 e del 1600 con un’altra donna, Teresa di Lisieux. In mezzo, il Papa passa di personaggio in personaggio, fra Teresa d’Avila e Francesco di Sales, Giovanna d’Arco e Alfonso Maria de' Liguori, per concludere in aprile con una confidenza: “Per me non solo alcuni grandi Santi che amo e che conosco bene sono ‘indicatori di strada’, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede” (13 aprile 2011).
Proprio queste parole dedicate dal Papa a tanti giganti della Chiesa fanno spiccare meglio la semplice e mai scontata verità del cristianesimo che fa della santità una meta per chiunque. Ma partendo da dove? Nella stessa udienza conclusiva del ciclo, Benedetto XVI lascia un “indizio” sulle sue intenzioni per le catechesi successive: “Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell'Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio” (13 aprile 2011).
La preghiera, dunque. È qui che il Papa approda dopo la Pasqua. Per dieci, intense meditazioni, da maggio ad agosto, il Pontefice si addentra nel paesaggio spirituale della preghiera, in quel “corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente”, come la definisce in una occasione. Illuminismi, ateismi di Stato, secolarismo rampante, afferma, nonostante i loro sforzi non hanno schiacciato il “mondo del sacro”, perché l’acqua di un’ideologia non disseterà mai davvero un’anima: “L’uomo ‘digitale’ come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena...L’uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio. E l’uomo sa, in qualche modo, di potersi rivolgere a Dio, sa di poterlo pregare” (11 maggio 2011).
Dai Profeti a Cristo, Benedetto XVI spazia tra i millenni della Bibbia fino a stringere, dopo l’estate, sulla strada dei Salmi, in parte già trattati all’inizio del Pontificato sulla scia delle udienze generali di Giovanni Paolo II. Toccante, fra le altre, è la riflessione sull’apparente “silenzio di Dio” che talvolta sperimenta chi prega in preda al dolore e che sfiora, per un abissale momento di solitudine, anche Gesù sulla Croce. Parole ispirate dal Salmo 22 che nascono da una sapienza antica e che descrivono con lucida esattezza lo strazio patito dai tanti cristiani in queste ore, vittime di un odio cieco: “Quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità” (14 settembre 2011).
Ma ecco che, per il cristiano, è proprio la scena di violenza del Calvario a dare un senso alle violenze senza spiegazione che abbondano in troppe cronache. Benedetto XVI lo ricorda a fine ottobre, alla vigilia della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace di Assisi. Una consolazione che scaturisce nei cuori e nelle menti di coloro che sanno parlare di Dio e con Dio: “La Croce è il nuovo arco di pace, segno e strumento di riconciliazione, di perdono, di comprensione, segno che l’amore è più forte di ogni violenza e di ogni oppressione, più forte della morte: il male si vince con il bene, con l’amore” (26 ottobre 2011).
Radio Vaticana