
Proprio queste parole dedicate dal Papa a tanti giganti della Chiesa fanno spiccare meglio la semplice e mai scontata verità del cristianesimo che fa della santità una meta per chiunque. Ma partendo da dove? Nella stessa udienza conclusiva del ciclo, Benedetto XVI lascia un “indizio” sulle sue intenzioni per le catechesi successive: “Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell'Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio” (13 aprile 2011).
La preghiera, dunque. È qui che il Papa approda dopo la Pasqua. Per dieci, intense meditazioni, da maggio ad agosto, il Pontefice si addentra nel paesaggio spirituale della preghiera, in quel “corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente”, come la definisce in una occasione. Illuminismi, ateismi di Stato, secolarismo rampante, afferma, nonostante i loro sforzi non hanno schiacciato il “mondo del sacro”, perché l’acqua di un’ideologia non disseterà mai davvero un’anima: “L’uomo ‘digitale’ come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena...L’uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio. E l’uomo sa, in qualche modo, di potersi rivolgere a Dio, sa di poterlo pregare” (11 maggio 2011).
Dai Profeti a Cristo, Benedetto XVI spazia tra i millenni della Bibbia fino a stringere, dopo l’estate, sulla strada dei Salmi, in parte già trattati all’inizio del Pontificato sulla scia delle udienze generali di Giovanni Paolo II. Toccante, fra le altre, è la riflessione sull’apparente “silenzio di Dio” che talvolta sperimenta chi prega in preda al dolore e che sfiora, per un abissale momento di solitudine, anche Gesù sulla Croce. Parole ispirate dal Salmo 22 che nascono da una sapienza antica e che descrivono con lucida esattezza lo strazio patito dai tanti cristiani in queste ore, vittime di un odio cieco: “Quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità” (14 settembre 2011).
Ma ecco che, per il cristiano, è proprio la scena di violenza del Calvario a dare un senso alle violenze senza spiegazione che abbondano in troppe cronache. Benedetto XVI lo ricorda a fine ottobre, alla vigilia della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace di Assisi. Una consolazione che scaturisce nei cuori e nelle menti di coloro che sanno parlare di Dio e con Dio: “La Croce è il nuovo arco di pace, segno e strumento di riconciliazione, di perdono, di comprensione, segno che l’amore è più forte di ogni violenza e di ogni oppressione, più forte della morte: il male si vince con il bene, con l’amore” (26 ottobre 2011).
Radio Vaticana