L’attesa del Natale rinnova nel cuore dei cristiani la “certezza della speranza” e la luce portata da Cristo Bambino sconfigge la paura che tanti nutrono per l’avvenire. Sono alcuni dei molti pensieri dedicati in questi anni da Benedetto XVI nell’imminenza del 25 dicembre. “Il cristiano – afferma fra l’altro il Papa – sa che la luce di Cristo è più forte e perciò vive in una speranza non vaga, in una speranza che dà certezza e dà coraggio per affrontare il futuro”. I Magi avevano un’idea generica di cosa, o meglio chi, li avrebbe attesi una volta arrivati sul posto. I pastori neanche quella. Ma i sapienti intuirono leggendo il cielo, e ai semplici venne comunicato da un messaggero del cielo, che un’attesa era finita, che qualcosa stava cominciando, che un tempo nuovo era all’inizio. Duemila anni dopo verrebbe da dire che sorpresa e attesa non esistono più e la tentazione è di considerare quello indicato dalla stella uno stanco cammino verso una meta che non scalda più il cuore come la prima volta. Ma è una tentazione, appunto. Una trappola evitabile se, come ha ricordato qualche anno fa Benedetto XVI, il cristiano che pure sa cosa troverà a Betlemme vi si incammina con una sincera domanda nel cuore: “Ognuno di noi...in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna?” (Angelus, 28 novembre 2010).
Con queste domande si può sconfiggere la dubbio di pensare a un Natale nel quale non nasce nessuno per noi. “L’uomo – ha detto una volta il Papa – è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza”. Anzi “si potrebbe dire – ha soggiunto – che dalle sue attese l’uomo si riconosce”: “Mentre ci prepariamo al Natale, è importante che rientriamo in noi stessi e facciamo una verifica sincera sulla nostra vita. Lasciamoci illuminare da un raggio della luce che proviene da Betlemme, la luce di Colui che è ‘il più Grande’ e si è fatto piccolo, ‘il più Forte’ e si è fatto debole” (Angelus, 4 dicembre 2011).
Un raggio della luce di Betlemme. Anche oggi il Natale accende una luce in chiunque crede che la Stella non si è spenta duemila anni fa, una volta che pastori e Magi hanno lasciato la stalla. La luce è rimasta accesa in quel Bambino attraverso il quale, ha affermato il Papa, Dio stesso “è entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo...oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte” (Udienza generale, 3 dicembre 2008).
Un fiume di luce, insiste Benedetto XVI, che regala ai cristiani una certezza spesso desiderata – invidiata quasi – da chi non ha il dono della fede, la “certezza della speranza”: “Come in Cristo il mondo futuro è già cominciato...Il futuro non è un buio nel quale nessuno si orienta. Non è così. Senza Cristo, anche oggi per il mondo il futuro è buio, c'è tanta paura del futuro. Il cristiano sa che la luce di Cristo è più forte e perciò vive in una speranza non vaga, in una speranza che dà certezza e dà coraggio per affrontare il futuro” (Udienza generale, 12 novembre 2008).
Coraggio del quale il mondo ha bisogno anche oggi. E allora, concluse qualche anno fa il Papa, e concluderebbe spontaneamente anche oggi: "Vieni Gesù; vieni, dà forza alla luce e al bene; vieni dove domina la menzogna, l'ignoranza di Dio, la violenza, l'ingiustizia; vieni, Signore Gesù, dà forza al bene nel mondo e aiutaci a essere portatori della tua luce, operatori della pace, testimoni della verità. Vieni Signore Gesù!" (Udienza generale, 3 dicembre 2008).
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