Poi, alla fine, più che i corvi sono soprattutto le chiacchiere ad aver preso il volo. Salvo qualche rara eccezione, le notizie e le analisi attribuite addirittura a non meglio precisate "fonti" della Segreteria di stato vaticana, oppure ad anonime "menti raffinatissime" dei "migliori analisti dei servizi segreti italiani" sono, in realtà, rimasticature di articoli (altrui) pubblicati qualche mese fa. Ne consegue, in fondo, che fare il punto sui "Vatileaks" è abbastanza facile: basta attenersi ai fatti. E quelli di questi giorni confermano quanto i più attenti alle cose vaticane avevano anticipato sin dai primi passi del Pontificato di Benedetto XVI: il ratzingerismo, al contrario del wojtylismo, non ammette contraddizioni tra quello che succede sul palco e quello che avviene dietro le quinte. È stato per questo che, al momento della sua elezione nell’aprile del 2005, nella Chiesa in tanti hanno sperato che la ricaduta positiva, a livello ecclesiologico dell’elezione di Benedetto XVI avrebbe causato negli Episcopati locali un positivo sparigliamento delle carte e dei sistemi di cooptazione e di scelta dei futuri vescovi. Avrebbe cioè rimesso in discussione la bulimia di potere (spesso, al limite della simonia) del wojtylismo di destra e di sinistra. Per così restituire alla Sede Apostolica la possibilità di riprendere in mano anche quei meccanismi di nomina che, durante il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II, erano stati impropriamente usucapiti, e monopolizzati, dai wojtylani più intraprendenti. Questo è subito avvenuto in molti Episcopati importanti, come quello irlandese, statunitense, belga, olandese, austriaco, polacco, dove vescovi incapaci e indegni sono stati svergognati e messi in condizione di non scandalizzare più a nessuno. Invece, ci sono voluti sette anni perché questa promessa iniziasse a realizzarsi anche dentro i Sacri Palazzi. E ora sappiamo che non era solo un sospetto quello che, nel frattempo, faceva pensare a tantissimi cattolici che l’azione del Papa venisse sistematicamente frenata da quei cinici di Curia che sin dagli inizi lo hanno dato per “scaduto” a causa dell’età, negandogli collaborazione e lealtà anche se inseriti in organi importanti del sistema pontificio. Come ha riassunto magistralmente Alberto Melloni, ormai anche la Santa Sede può liberamente far sapere ai cattolici del mondo che "troppi dei peggiori hanno fatto carriera in Curia". I Vatileaks sembrano una formidabile occasione offerta al Papa e ai suoi collaboratori per azionare, finalmente, quel “colpo di scopa”, con il quale il Papa attuale, e i suoi successori, potranno di nuovo aprire per tutta la Chiesa una stagione di rinnovamento e di nuove presenze. La seconda annotazione riguarda la ferma, ed efficace, freddezza che sta animando coloro ai quali Papa Benedetto XVI ha messo in mano la scopa. Fino alla settimana scorsa giornaloni e giornalini davano per scontato una Segreteria di Stato vaticana debole, incapace e dedita ad innocui passatempi. E invece, come ha ricostruito la bravissima Fiorenza Sarzanini, l’impressione che sta emergendo in coloro che di cronaca giudiziaria se ne intendono per davvero è di trovarsi di fronte a una Segreteria di Stato che ha saputo approfittare delle trasmissioni di Gianluigi Nuzzi, quelle d’inizio anno su La 7, per avviare una repulisti generale e decidersi a mettere fine (sono le parole di Alberto Melloni) alla "mediocre sceneggiatura delle indiscrezioni… agitatori, agenti, organizzazioni, con libri paga, cordate di carriera e… calendario del campionato del wrestling fra movimenti" in auge ormai da troppo tempo dentro la città leonina. In fondo, la smentita di padre Federico Lombardi riguarda solo il ruolo “cosciente” di Paolo Gabriele delle investigazioni, e delle azioni, che lo riguardavano. La terza annotazione è che la “rete eversiva” dentro le mura vaticane è stata scoperta in concomitanza dell’arrivo nel Governatorato di un ex nunzio in Italia e di un ex uditore della Rota Romana, due “grands commis” della Chiesa ancora cooptati con i criteri di formazione e cultura del cattolicesimo pre-wojtyliano. La dimensione della "rete eversiva", composta da cinque-sei persone, è apparsa evidente subito dopo il trasferimento di mons. Carlo Maria Viganò dal governatorato alla nunziatura di Washington. Tutto sommato, se non avesse avuto il rinforzo (grande) della stampa sarebbe stata smantellata senza particolari problemi. L’ultima annotazione, la traiamo da un sospetto di Alberto Melloni, che vede nella violenza di certi diktat finto puritani "metodi e brutalità che solo noi italiani sappiamo leggere sulla filigrana dell’elezione del sindaco di Roma o degli equilibri di qualche holding". Come dire al futuro conclave: se pensate a un cardinale dello stivale come Papa, meglio cambiare idea.
Filippo Di Giacomo, L'Unità