Ha parlato per ore e ore, collaborando ampiamente con la giustizia vaticana. Ha spiegato la rete dei suoi contatti dentro e fuori le Mura Leonine. Perché Paolo Gabriele (nella foto con Benedetto XVI) per quanto possa sembrare incredibile, visto l’arco d’impegno del suo lavoro, passava spesso porta Sant’Anna. Soprattutto, era un tipo loquace e con la singolare abitudine (per un maggiordomo) di fare fotocopie su fotocopie. Incontrava monsignori e amici fuori dal Vaticano, e direttamente giornalisti. Per l’aiutante di camera del Papa, in cella da due settimane per il possesso illecito di documenti riservati, la fase dell’istruttoria "formale" è entrata nel vivo. L’uomo sospettato di essere il "corvo" nella fuga delle carte segrete, accusato finora di furto aggravato (rischia da uno a sei anni), è stato infatti interrogato dal giudice istruttore Piero Antonio Bonnet, alla presenza del promotore di giustizia (il pubblico ministero vaticano) Nicola Picardi e degli avvocati difensori Carlo Fusco e Cristiana Arrù. Sui suoi contatti ora si concentra l’attenzione sia degli inquirenti impegnati nell’indagine penale, sia della Commissione incaricata dal Papa e presieduta dal cardinale giurista Julian Herranz, non a caso composta da porporati, gli unici autorizzati a indagare sui pari grado. Tra i documenti trafugati (trovati in gran quantità in casa di Gabriele) molte carte gestite proprio dal segretario personale del Papa mons. Georg Gänswein. Gabriele si incontrava con i suoi contatti anche nei bar all’esterno del Vaticano. Vengono riferiti rapporti di amicizia con ufficiali della Segreteria di Stato. Ma anche con almeno un paio di cardinali di primissimo piano nella Curia romana, con cui intratteneva molte conversazioni. Insomma, Gabriele a più persone faceva confidenze, magari anche su cosa accadeva nell’Appartamento di Benedetto XVI. Il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha ripetuto ieri che Gabriele resta "per ora" l’unico accusato e, quanto ad atti istruttori su altri, "ci sono state indagini ma non erano formali. Nessuna imputazione è stata formulata a carico di altri". Resta il fatto che la persona che si è autoaccusata, sia pure sotto il vincolo dell’anonimato, di essere il Corvo, il 22 febbraio scorso nella trasmissione di Gianluigi Nuzzi (autore tre mesi più tardi del libro "Sua Santità"), ha fornito un’indicazione ben precisa sulla data d’inizio della sua attività. Ha detto di aver cominciato a mettere via fotocopie "dopo la morte di Giovanni Paolo II" e questo, secondo Il Blog degli Amici di Papa Ratzinger svelerebbe anche l’ambito di amicizie e protezioni del "volatile". Lombardi ha nuovamente smentito che siano state anche solo avviate delle rogatorie in Italia. Lo stesso Nuzzi contesta l’eventuale accusa di ricettazione nei suoi confronti poiché "tutti i documenti li ho ricevuti in fotocopia". Quanto a una possibile grazia per Gabriele, il giudice vaticano Paolo Papanti Pelletier ha precisato che il Papa è sovrano (quindi può concederla in ogni momento del procedimento). Dopo il processo penale Gabriele in ogni caso non potrà più tornare a lavorare Oltretevere, sarà licenziato (secondo il Regolamento generale della Curia romana) e, secondo alcune voci, potrebbe attendere il processo in Italia, in una sorta di confino. Sulla vicenda della fuga dei documenti è intervenuto anche il premier Mario Monti, che, in un’intervista a Famiglia Cristiana, ha detto: "Sono addolorato perché, in sé, sono vicende dolorose. Ma anche perché penso al dolore che questo ha provocato alla persona e nel cuore del Santo Padre".
Maria Antonietta Calabrò, Corriere della Sera