E' trascorso quasi un anno da quando Benedetto XVI, durante il viaggio in Germania, lo salutò a Erfurt: la foto del Papa che si china per abbracciare l’anziano prete, fece il giro del mondo, perché testimoniava l’incontro tra il Pontefice tedesco e l’ultimo dei sacerdoti, suoi connazionali, sopravvissuti allo sterminio nel campo di Dachau. Con quell’immagine nel cuore ieri il prelato Hermann Scheipers (foto) ha festeggiato a Ochtrup, nel Münsterland, il 75° di ordinazione. La Messa è stata celebrata dal vescovo di Münster, monsignor Felix Genn, alla presenza del vescovo Joachim Reinelt, emerito di Dresden-Meissen, dove il prelato ha svolto gran parte del suo ministero sacerdotale ai tempi dell’ex Repubblica democratica tedesca. Novantanove anni, compiuti lo scorso 24 luglio, mons. Scheipers di certo conserva tra le memorie più care il ricordo di quella bella mattina di settembre, era sabato 24, quando al termine della Messa celebrata sulla Domplatz, il suo connazionale, divenuto Papa, volle intrattenersi alcuni momenti con lui. A fare da colonna sonora a quell’incontro, i rintocchi della "Gloriosa", la campana del Duomo considerata tra le più grandi d’Europa, con i suoi due metri e mezzo di altezza e le oltre undici tonnellate di peso. Quell’’abbraccio del Papa al vecchio sacerdote, nella città legata all’opera di Lutero, rappresentò anche la volontà di rendere onore a tutti quei preti nati in Germania, che hanno pagato un prezzo altissimo per la loro fedeltà alla Chiesa: sia quelli che hanno subito il martirio durante la notte buia del nazismo, sia quelli che, sopravvissuti, hanno poi subito nuove persecuzioni durante l’ateismo di stato imposto nella ex Ddr. E mons. Scheipers è uno di loro, l’ultimo testimone vivente di un’epoca segnata dal secondo conflitto mondiale e poi dalla "guerra fredda" che ne seguì. Durante la solenne liturgia per il suo giubileo sacerdotale, l’anziano prelato ha citato una frase di Sant’Agostino sul perdono e un passo del Salmo 90 (91), "Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi", per sottolineare come esso sintetizzi molto bene la sua vicenda umana e sacerdotale. Il vescovo Genn all’omelia ha aggiunto che la vita di mons. Scheipers è come una predica e che il suo profondo abbandono a Dio e il suo agire per la causa di Gesù e per gli altri sono una grande testimonianza di fede. Per averne conferma basta sfogliare il libro autobiografico intitolato "Gratwanderungen - Priester unter zwei Diktaturen", "In bilico - Sacerdote sotto due dittature" in cui il prelato racconta le proprie vicissitudini: originario di Ochtrup, negli anni Trenta del secolo scorso si trasferì a Bautzen, nella Germania centrale. Qui iniziò la propria missione come cappellano nella parrocchia rurale di Hubertusburg. A causa del suo ministero tra i giovani, finì subito nel mirino dei nazisti; passò allora a occuparsi dei polacchi costretti ai lavori forzati, celebrando per loro la Messa e ascoltando le loro confessioni, fino all’ottobre 1940 quando fu arrestato. Cinque mesi dopo fu trasferito a Dachau, in quanto ritenuto "un fanatico paladino della Chiesa Cattolica, e pertanto porta disordine tra la popolazione". Detenuto "numero 24255", Scheipers fu accolto dal comandante del lager con la solita cantilena riservata a tutti i nuovi arrivati. "Non avete onore, né difesa, né diritti. Qui dovete lavorare o crepare". E come tanti confratelli, Scheipers sgobbò nei campi, ricevendo come cibo una zuppa acquosa. Alcuni venivano frustati, appesi per le braccia o bagnati con acqua gelida. Molti morivano. "Si poteva solo bestemmiare o pregare", spiega Scheipers, senza dire, quasi per pudore, che lui ha sempre fatto parte del secondo gruppo. Il lager di Dachau era considerato il "campo dei preti": tra il 1933 e il 1945 vi furono imprigionati 2.700 religiosi cattolici, più di mille dei quali vi lasciarono la vita. Tanto che dopo il 1940 fu creato un «blocco per sacerdoti». Scheipers descrive così quell’esperienza: "Il fatto di vivere insieme tra preti era un gran bene. Potevamo farci forza e incoraggiarci a vicenda. Quando non eravamo stremati potevamo discutere, spiegare i testi e meditare. Recitavamo il Rosario. La fonte migliore per raccogliere le nostre forze spirituali era la cappella, nella quale ogni giorno, prima del lavoro verso le tre e mezzo del mattino, potevamo celebrare la Messa e la domenica talvolta anche dilungarci in bellissime celebrazioni". Dopo un malore, nel 1942 rischiò quasi di essere eliminato. Lo salvò l’intraprendenza della sorella gemella, Anna, che si recò a Berlino all’ufficio centrale per la sicurezza del Reich per impetrare la grazia. Come argomento portò la possibile ribellione dei cattolici del Münsterland: avrebbero tutti preso quell’assassinio come un affronto personale. Scheipers, da parte sua, era fiducioso nella vicinanza e nell’aiuto di Dio. "Ho potuto provare molto spesso questa vicinanza" ha scritto. Una prossimità che lo accompagna per tutta la vita. Così come resta indelebile l’immagine di quel prete che, internato con lui a Dachau, prima di essere giustiziato, gli offrì la propria razione di pane. "Lo ricordo ogni volta che celebro la Messa e spezzo il pane", ha confidato. Nell’aprile 1945, durante una marcia della morte verso Bad Tölz, riuscì a fuggire; ma nel dopoguerra, come sacerdote nella diocesi di Dresden-Meissen, conobbe altre umiliazioni nei territori fortemente scristianizzati della Ddr, poiché si oppose ai potenti di quello "Stato di non diritto". Per questo è stato spiato, controllato, minacciato. Tanto che quando, dopo la caduta del muro, poté accedere alla propria documentazione negli archivi della Stasi, la terribile polizia segreta del regime, rimase sconvolto da ciò che scoprì: gli erano stati messi alle calcagna ben quindici informatori. Dalla cartella emerse inoltre che lo si voleva processare per aver condotto una campagna denigratoria contro lo Stato. "Per quella stessa ragione sono stato a Dachau", ha commentato in proposito. Negli ultimi anni Scheipers è tornato nel Münsterland. Nonostante la veneranda età, continua a viaggiare per parlare soprattutto ai giovani delle sue esperienze, perché imparino dagli orrori del passato a costruire un presente e un futuro migliori.
Gianluca Biccini, Matthias Hoch, L'Osservatore Romano