Sì, i miracoli tecnologici esistono. Eccome se esistono. A partire da oggi a chiunque, in qualsiasi
latitudine del pianeta si trovi, è consentito sfogliare col proprio computer, pagina dopo pagina, i 256
codici miniati che fanno parte del Fondo Palatino della Biblioteca Apostolica Vaticana. Manoscritti
rarissimi conservati gelosamente in un bunker sotto il Palazzo Apostolico in condizioni ideali, al
buio totale, ad un tasso di umidità relativa del 50%, tra i 18 e i 20 gradi centigradi, ma che una
gigantesca operazione di digitalizzazione intrapresa da Benedetto XVI ha reso finalmente fruibili.
E’ facile. Basta andare sul sito della Biblioteca (www.vaticanlibrary.va) per iniziare uno
straordinario viaggio nel tempo e nello spazio. Ci sono voluti due anni, una montagna di lavoro, una
equipe di 12 persone impiegate in pianta stabile e una tecnologia all’avanguardia per arrivare ad una
riproduzione perfetta e ad altissima definizione.
Basta un clic e voilà. Dall’elenco dei numeri che appaiono sul sito, dall’uno al 256, tanti sono i
volumi riprodotti, si materializzano i capolavori, prendono corpo le immagini, si svelano i colori
sapientemente miscelati dai monaci che nel Medio Evo operavano silenziosi facendo arrivare fino a
noi questo sterminato giacimento. Evangeliari, commentari, trattati di morale, studi sulla geografia,
atlanti di Battista Agnese ma anche opere filosofiche, commedie. Tra i libri, spulciando, ci sono
pure Petrarca e Alighieri. E poi pergamene, classici come il "De Officis", un'opera filosofica di
Cicerone che tratta dei doveri a cui ogni uomo deve attenersi in quanto membro dello Stato; c’è il
registro delle epistole di Gregorio Magno, i "Fatti e detti memorabili" di Valerio Massimo che passa
in rassegna dei vizi e delle virtù illustrandoli attraverso personaggi ed episodi storici. L’oro dei
capolettera sfavillano illuminando i colori vividi dei fregi arabescati a tempera, racchiudendo frasi
latine sulle quali, si sono esercitate schiere di liceali per le versioni.
Eccone una, presa tra tante: "Presso gli antichi nessuna azione, non solo pubblica, ma anche
privata, veniva compiuta, se prima non fossero stati presi i relativi auspìci. Questa consuetudine ha
fatto in modo che anche oggi gli àuspici partecipino alle nozze: ed anche se costoro non chiedono
più gli auspìci, il loro stesso nome rivendica ad essi le vestigia dell'antica usanza".
Forse l’opera più curiosa del fondo Palatino, ricchissima di illustrazioni e catalogata al numero
1071 è il trattato di falconeria di Federico II, il "De arte venandi cum avibus". L’imperatore tedesco, a
capo del Sacro Romano Impero era letteralmente affascinato dalla caccia con il falco da introdurla e
diffonderla in occidente. La considerava non solo uno svago ma una manifestazione simbolica del
potere legata a precisi rituali. Federico II (1194-1250) si documentò a fondo, convocando a corte
diversi falconieri arabi. Dal mondo arabo imparò l'uso del cappuccio in sostituzione della tecnica
"di cigliare", che consisteva nel cucire le palpebre dei rapaci per poi allentare gradualmente la
chiusura della sutura con l'avanzare del livello di addestramento. Il trattato sulla falconeria fu
miniato subito dopo la sua morte e contiene due particolarità. La prima è il ritratto, quasi
fotografico, dell’imperatore che appare nella pagina di introduzione.
"Chi lo realizzò conosceva sicuramente quest’uomo" spiega Ambrogio Piazzoni, vice prefetto della
Biblioteca Vaticana. La seconda cosa singolare riguarda la completezza delle illustrazioni sulle
specie di uccelli esistenti, molte delle quali ormai estinte. Gli animali sono talmente ben disegnati e
descritti da rendere possibile una analisi del panorama ornitologico in Europa all’epoca federiciana.
"Questo trattato è famosissimo e viene consultato persino dagli studiosi di ornitologia".
La fruizione planetaria grazie al digitale portata avanti dal Prefetto monsignor Pasini rientra nella
filosofia costitutiva della Biblioteca Vaticana. Fra gli scopi che le diede Niccolo V (1447-1455) c’è
proprio quello di raccogliere i libri per "la comune utilità degli uomini di scienza". Fino ad allora il
privilegio di consultare gli allora 350 volumi era di esclusivo appannaggio della curia. Con il tempo
grazie ad importanti lasciti avvenuti nel corso di cinque secoli il patrimonio librario conservato al di
là del Tevere è cresciuto a dismisura fino a diventare il numero uno al mondo. I codici custoditi
sono circa 80mila; latini, ma anche greci, ebraici, copti, siriaci, armeni, etiopici, cinesi, giapponesi
e coreani. Se tutto andrà avanti senza intoppi nell’arco di una decina d’anni saranno interamente
digitalizzati. Si tratta di una operazione imponente che richiede però notevoli risorse finanziarie. In
Vaticano non hanno timori, la Provvidenza farà il resto...
Franca Giansoldati, Il Messaggero