E’ passato quasi un mese da quando, all’inizio di gennaio, la Banca d’Italia ha bloccato tutti i pagamenti elettronici attraverso i Pos e attraverso il circuito mondiale delle carte di credito in Vaticano. I turisti e non, quindi, che si sono recati questo mese a visitare i Musei Vaticani (circa cinque milioni di visitatori all’anno), ad acquistare particolari medicinali presso la farmacia interna al Vaticano (alla quale si accede solo muniti di apposita ricetta e documento) o a comprare l’ultimo libro di Papa Benedetto XVI presso la Libreria Editrice Vaticana sono stati costretti a usare i contanti (a meno che non si trattasse di quei pochi “fortunati” possessori di bancomat emessi dallo Ior). E sembra che, ad oggi, la situazione non sia migliorata. Basta, infatti, collegarsi al sito internet dei Musei Vaticani o entrare nella libreria Giovanni Paolo II per leggere il seguente messaggio: “Si informa che dal 1° gennaio 2013 non è possibile effettuare pagamenti tramite bancomat o carta di credito. Ci scusiamo per il disagio”.
Ma cosa è successo veramente? Il Vaticano si trova dinanzi all’ennesima controversia finanziaria con lo Stato italiano? La Deutsche Bank Italia gestisce, dal 1997, il sistema dei bancomat e delle carte di credito all’interno della Città del Vaticano. Si tratta, però, a tutti gli effetti, di un soggetto di diritto italiano e, proprio per questo motivo, il suo operato è sottoposto alla rigida vigilanza della Banca d’Italia. E quando la Deutsche Bank parecchi anni fa ha aperto i vari Pos degli esercizi commerciali vaticani, pensando molto probabilmente di operare sulla base delle leggi vaticane, lo ha fatto senza chiedere alcuna autorizzazione agli uffici di Via Nazionale. Solo nel corso dello scorso anno i vertici della Deutsche Bank hanno presentato una sorta di richiesta di “sanatoria”, respinta però dalla Banca d’Italia. Il Vaticano, infatti, ai fini della normativa antiriciclaggio appartiene alla categoria dei Paesi extracomunitari “non equivalenti”. Tanto significative, quando “pesanti”, le parole contenute in una nota emessa direttamente dalla Banca d’Italia per cercare di fare chiarezza sulla vicenda: “Nella Città del Vaticano mancano sia una regolamentazione bancaria sia il riconoscimento europeo di equivalenza antiriciclaggio. Non vi è stata alcuna scelta discrezionale né tanto meno una discriminazione: qualunque altra Autorità di vigilanza europea si sarebbe comportata nello stesso modo, in ossequio alla legge comunitaria”.
E’ la stessa Banca d’Italia a dirlo, in maniera chiara e senza troppi giri di parole. Il timore, infatti, è che i soldi acquisiti tramite i pagamenti elettronici vengano utilizzati per operazioni di riciclaggio. Prove, ovviamente, non ce ne sono. Ma sospetti e timori si. L’istituto centrale governato da Ignazio Visco, infatti, ha chiarito come tutti i soldi che vengono acquisiti attraverso i Pos dei circa ottanta “punti vendita” del Vaticano confluiscano su un unico conto intestato allo Ior e aperto, appunto, presso una filiale della Deutsche Bank. E qui iniziano i problemi (e i sospetti). E’ impossibile, infatti, conoscere l’intestatario effettivo del deposito aperto presso la Deutsche Bank così come è impossibile sapere chi abbia la delega a operare. E come evidenziato da molti quotidiani, sembra che nell’ultimo anno siano transitati più di 40 milioni di euro su quel conto.
La decisione di congelare i pagamenti elettronici in Vaticano non ha certo colto di sorpresa le gerarchie. Sorpresa, e sgomento, ha invece provocato presso i vari rivenditori, i quali lamentano perdite per addirittura circa trenta mila euro al giorno. Una decisione, quella di Via Nazionale, non particolarmente gradita a René Bruelhart, lo svizzero che da novembre 2012 guida l’Autorità d’informazione finanziaria del Vaticano. In un’intervista al Corriere della Sera, infatti, ha manifestato tutta la sua sorpresa chiarendo come il Vaticano, a luglio, abbia superato “il terzo round di valutazione del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa, con una buona pagella di nove raccomandazioni cruciali superate su sedici”. Bruelhart ha poi ricordato come il Vaticano, in seguito all’esito positivo del rapporto, non sia stato sottoposto ad alcuna procedura o misura speciale di monitoraggio antiriciclaggio da parte di alcun organismo internazionale.
Che la situazione sia grave, dal momento che, come evidenziato da numerosi esperti, il blocco dei pagamenti avviene solamente in situazioni sospette, come possibili operazioni di riciclaggio, e non rientra nell’ordinaria amministrazione, nessuno vuole negarlo. Così come nessuno è in grado di dire quando verrà risolto questo problema, tanto che padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha ammesso che “sono in corso contatti con diversi provider e fornitori di servizi”. Si va verso, dunque, una nuova controversia finanziaria con lo Stato italiano? Di ciò non è per nulla convinto il vaticanista Andrea Gagliarducci, il quale in un articolo pubblicato sul suo blog MondayVatican, ha affermato che “al contrario, le recenti modifiche apportate alla legge antiriciclaggio rappresentano un ulteriore passo avanti della Santa Sede verso la piena trasparenza finanziaria in vista dell’inclusione dell’Autorità d’informazione finanziaria all’interno dell’Egmont Group, il network globale delle unità di intelligence finanziaria”.
Fabrizio Anselmo, Formiche
Fabrizio Anselmo, Formiche