La carità gratuita di Dio, che ogni cristiano è tenuto ad annunciare, “apra i confini di tribù, etnie e religioni”. E’ l’auspicio con il quale Benedetto XVI ha concluso questa mattina in Vaticano la meditazione introduttiva della prima Congregazione generale del II Sinodo dei vescovi per l’Africa. Il Papa ha invitato i presuli africani ad affrontare i lavori sinodali con il cuore aperto alla Spirito di Dio, senza il quale - ha affermato - ogni analisi solo umana della realtà è “insufficiente”. Nessuna considerazione su ciò che vivono le varie Chiese africane, nessun racconto di gioie o di sofferenze, ha ancora riempito l’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano che subito Benedetto XVI delinea i limiti e soprattutto lo spirito con il quale esse sono tenute ad essere presentate da qui in avanti: “Abbiamo incominciato il nostro Sinodo adesso, invocando lo Spirito Santo, sapendo bene che noi non possiamo fare quanto occorre fare per la Chiesa, per il mondo, in questo momento. Solo nella forza dello Spirito Santo possiamo trovare quanto è retto, e seguirlo”. Lo Spirito è dunque quello divino, che permette - ha affermato il Papa - di “conoscere” le realtà umane “alla luce di Dio”. I limiti sono invece quelli di valutazioni del contesto sociale africano che, pur competenti, siano formulate seguendo binari di tipo meramente sociologico. Analisi “orizzontali”, le ha definite il Pontefice, prive dell’aggancio con la dimensione “verticale”. “Se la prima relazione, quella fondante, non è corretta, tutte le altre relazioni non funzionano dal fondo. Perciò, tutte le nostre analisi del mondo sono insufficienti se non consideriamo il mondo alla luce di Dio, se non scopriamo che alla base delle ingiustizie, della corruzione c’è un cuore non retto, c’è una chiusura verso Dio, e quindi una falsificazione della relazione fondamentale sulla quale sono passate tutte le altre”. Nella sua lunga meditazione a braccio, il Papa si è lasciato ispirare dall’Inno dell’Ora Terza, la preghiera che introduce la seduta sinodale mattutina. Un Inno che, osserva, “implora tre doni essenziali dello Spirito Santo”. Il primo, spiega, è la “confessione”, che va intesa sia come riconoscimento della piccolezza umana davanti a Dio - da cui derivano, ha insistito il Papa, “tutti i vizi che distruggono la rete sociale e la pace nel mondo” - sia come ringraziamento a Dio per i suoi doni e come impegno di testimonianza. E qui, Benedetto XVI trova parola di grande densità spirituale per rimarcare la semplice grandezza di Dio rispetto alla grandezza delle cose umane: “Le cose della scienza, della tecnica costano grandi investimenti, avventure spirituali e materiali, sono costose e difficili. Ma Dio si dà ‘gratis’. Le più grandi cose della vita - Dio, l’amore, la verità - sono gratuite e direi che su questo dovremmo spesso meditare: su questa gratuità di Dio; sul fatto che non c’è bisogno di grandi doni materiali o anche intellettuali per essere vicini a Dio: Dio è in me, nel mio cuore e sulle mie labbra. E' nel cuore con la fede, sulle labbra con la confessione che ci fa evangelizzare e rinnovare il mondo''. Il secondo dono dello Spirito, ha proseguito il Papa, discende dal primo: l’uomo che scopre l’intimità con il divino deve poi testimoniarlo con tutto se stesso. Deve testimoniare la verità della carità di Dio perché questa e non altro, ha ribadito il Pontefice, è l’essenza della religione cristiana. “Importante è che il cristianesimo non è una somma di idee, una filosofia, una teoria, ma è un modo di vivere, è carità, è amore. Solo così diventiamo cristiani: se la fede si trasforma in carità, se è carità. Il nostro Dio è da una parte 'Logos', Ragione eterna, ma questa Ragione è anche Amore. Non è fredda matematica che costruisce l’universo: questa Ragione eterna è fuoco, è carità. Già in noi stessi dovrebbe realizzarsi questa unità di ragione e carità, di fede e carità”. Anche il terzo dono è strettamente connesso agli altri. La carità di Dio va annunciata all’umanità, a ogni uomo, che per un cristiano è un prossimo e un fratello. Prendendo spunto dalla figura del Buon Samaritano della liturgia odierna, Benedetto XVI conclude mettendo in grande risalto gli insegnamenti che arrivano fino a noi da quella antica parabola e che ben si adattano, in questo caso, anche alla realtà africana. “La carità non è una cosa individuale, ma universale. Universale e concreta. Occorre aprire realmente i confini tra tribù, etnie, religioni all’universalità dell’amore di Dio nei nostri luoghi di vita, con tutta la concretezza necessaria. Preghiamo il Signore che ci doni lo Spirito Santo, che ci doni una nuova Pentecoste, che ci aiuti ad essere i suoi servitori in questa ora del mondo”.