Dal segno della Croce alla coscienza del peccato, attraverso un percorso di riscoperta della verità della fede che deve coinvolgere la stessa Chiesa, chiamata a vivere le beatitudini evangeliche rigettando ipocrisie e menzogne. È questo l’itinerario di riflessione scelto dal card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, per la prima parte degli Esercizi spirituali quaresimali in corso in questa settimana nella Cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, alla presenza di Benedetto XVI. Sviluppando il tema "La comunionedel cristiano con Dio", il porporato è partito dal segno della Croce come ideale introduzione per sviluppare i temi che hanno scandito le meditazioni sulla prima lettera di San Giovanni dettate tra domenica e oggi: Dio è vita, Dio è luce, Dio èverità, Dio è misericordia e pietà, Dio è una guida amorevole, la comunione definitiva escatologica, l’amore del mondo, gli “anticristi” o la mancanza di fede in Gesù, il Cristo e il peccato del sacerdote. "Non che opere e azioni abbiano bisogno di una nuova consacrazione, quando il nucleo profondo dell’esistenza è già consacrato dal battesimo - ha ricordato riferendosi appunto al segno di croce - ma con questo atto aggiungiamo a ogni azione lo splendore della coscienza, il dinamismo della libertà". Cosa significa questo gesto? Il cardinale non ha dubbi: vuol dire "sacrificio per amore: è la morte per la risurrezione". Questo implica anche rinunciare alla vanità, al prestigio, alla brama di possedere o di dominare, per consacrare la propria opera a Cristo. Se un’azione, infatti, è compiuta per pura vanità, "non può portare il segno della croce, non è crocifissa, non è santificata cristianamente; un’opera di apostolato, per amore del prossimo, è offerta e consacrata". Il segno della croce è quindi molto più di un’abitudine. Per il porporato, il modo per "annullare il senso egoistico di un’azione è segnarla con la croce; questo vuol dire anche liberarla e renderla disponibile per un dinamismonuovo, trinitario". Alla meditazione sul segno dellaCroce sono seguite tre riflessioni che hanno avuto per tema Dio come via, luce, verità e vita. In questo contesto il cardinale ha fatto riferimento ad alcuni dei fenomeni più drammatici che segnano il nostro tempo, guerre, corsaagli armamenti, genocidi, violenza politica, aborto e ogni forma di strumentalizzazione dell’uomo per ragioni economiche o commerciali, invitando a non restare indifferenti di fronte "alla repressione e allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, a non abbassare la guardia, anche se il mistero del peccato sembra superarci, e a non banalizzare la vita umana". Dal porporato un accenno particolare alla difficile situazione che vive in questi giorni la Siria e all’appello lanciato da Benedetto XVI all’Angelus di domenica 12 febbraio. "Occorre camminare nella luce - ha raccomandato - ossia decidersi ad abbandonare il peccato" e a lasciare trasformare la propria vita dalla verità attraverso un cammino di "conversione sempre rinnovata". Questa comprensione di Dio-verità interpella soprattutto coloro che "non hanno più coscienza dei loro peccati, quelli che hanno perduto il senso del peccato perché non si pongono più il problema di Dio. Sono interpellati anche quanti non hanno più criteri di moralità, che confondono il bene e il male". Una tendenza, questa, che il cardinale ha messo in relazione con l’"indifferentismo religioso che afferma che tutte le religioni sono valide, ma, in realtà, vuole una morale facile". Anche il prete, ha ammesso l’arcivescovo di Kinshasa, "non è al riparo da questi errori nella misura in cui l’aridità spirituale lo conduce spesso agli stessi difetti. Il ministero sacerdotale si trasforma allora in funzionariato, senza un vero senso di Dio: occasione perduta di una vera comunione con il Signore". Riprendendo il tema in una successiva meditazione il cardinale ha esaminato il caso emblematico degli apostoli Giuda e Pietro. Riguardo a quest’ultimo, ha ricordato che "è stato tradito dalla sua generosità e dal suo attaccamento a Cristo, tuttavia è caduto perché è stato temerario e si è esposto da vicino al pericolo. Ma subito, abbandona il luogo della sua caduta e piange amaramente il suo peccato". Da qui, una lezione per tutti i sacerdoti: "La nostra generosità non ci mette al riparo dal peccato. Occorre prendere delle misure di prudenza e devitare la temerarietà esponendosi alle cadute. In ogni situazione, qualunque cosa succeda, il Signore è sempre al nostro fianco. La più grande ingiuria che possiamo fargli è di dubitare della sua misericordia, come Giuda". "Vivere nella verità - ha sottolineato ancora il porporato - è vivere secondo le beatitudini. È ripudiare le menzogne nelle nostre parole e nelle nostre azioni. È rigettare l’ipocrisia che ci spinge ad apparire diversamente da come siamo o agiamo". Ma, ha avvertito, non si tratta solo di una questione individuale. Anche la società in quanto tale deve lottare per la verità. E la stessa Chiesa deve combattere contro la menzogna e l’inganno al suo interno e nel mondo; e "deve soprattutto lottare affinché la verità del Vangelo di Cristo sia conosciuta e vissuta". Ciò che è importante, ha detto il cardinale, è avere fiducia nella misericordia di Dio. "Se noi confessiamo pubblicamente i nostri peccati - ha affermato durante la terza giornata di meditazioni parlando di Dio come luce - Gesù il giusto e fedele li perdonerà e ci purificherà da ogni inquietudine". In Lui infatti abbiamo un difensore, vittima d’espiazione per le nostre colpe. Per orientare il nostro cammino verso di Lui, ci dà i suoi comandamenti, in particolare la carità. "Sarebbe sbagliato - ha sottolineato - considerare l’osservanza dei comandamenti come se fosse ciò che fa la comunione con Dio. È piuttosto un segno o un criterio della nostra comunione con Dio. In effetti, Giovanni considera la comunione come una realtà effettiva che si riconosce dall’osservanza dei comandamenti. Si potrebbe paragonare al gesto di un organista o di un pianista: più commette degli errori, meno la sua esecuzione è perfetta". E proprio al tema del peccato come rottura della comunione con Dio il cardinale ha dedicato le meditazioni di oggi. In questo contesto,il porporato ha parlato della questione delle sette e dei problemi che la loro proliferazione pone alla Chiesa. "Ci sembra - ha detto in proposito - che sola una buona interpretazione della Parola di Dio può far venire a capo delle difficoltà".
L'Osservatore Romano