Proprio mentre a Cannes il G20 si avviava alla sua debole e incerta conclusione, quello stesso venerdì 4 novembre, in Vaticano, un piccolo summit convocato in segreteria di Stato cercava di porre rimedio a un ennesimo momento di confusione della curia romana. Sul banco degli accusati c'era il documento sulla crisi finanziaria mondiale diffuso dieci giorni prima dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Un documento che aveva sconcertato molti, fuori e dentro il Vaticano. Il Segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone (nella foto con Benedetto XVI), lamentava di non averne saputo nulla fino all'ultimo. E proprio per questo aveva riunito quel vertice in Segreteria di Stato. La conclusione del vertice è stata di trasmettere a tutti gli uffici della curia romana questo ordine tassativo: non far più uscire da lì in avanti nulla di scritto che non abbia il preventivo controllo e l'autorizzazione della segreteria di Stato. Certo, che Bertone e i suoi abbiano visto quel documento solo dopo la sua pubblicazione è cosa che anch'essa sbalordisce. Già il 19 ottobre, infatti, con cinque giorni d'anticipo, la Sala Stampa vaticana, che è alle dirette dipendenze della Segreteria di Stato, aveva dato l'annuncio della conferenza stampa di presentazione del documento, nella quale avrebbero preso la parola il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e mons. Mario Toso, segretario del medesimo. Toso, salesiano come Bertone e suo sodale da lunga data, è stato voluto in questa carica proprio dal cardinale Segretario di Stato. Quanto al testo del documento, la Sala Stampa vaticana aveva avvisato che era già pronto in quattro lingue e sarebbe stato fornito ai giornalisti accreditati tre ore prima che fosse reso pubblico. Il 22 ottobre, un ulteriore avviso aggiungeva il nome del prof. Leonardo Becchetti al ticket dei presentatori. Becchetti, docente di economia all'Università di Roma Tor Vergata ed esperto di microcredito e commercio equo e solidale, è ritenuto il principale estensore del documento. E infatti il 24 ottobre, nella conferenza stampa di presentazione, il suo intervento fu il più specifico, mirato in particolare a reclamare l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, altrimenti detta "Tobin tax" dal nome di un suo ideatore, o anche "Robin Hood tax". Al G20 di Cannes l'ipotesi di questa tassa ha fatto capolino in qualche cenno retorico di Barack Obama e di Nicolas Sarkozy, ma non ha avuto alcun seguito concreto. Un'altra asserzione del documento vaticano, secondo cui l'economia europea sarebbe a rischio di inflazione invece che di deflazione, è stata contraddetta il 1 novembre dalla decisione del nuovo governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, che ha abbassato il tasso di sconto dell'euro, invece che alzarlo come sempre si fa quando l'inflazione è un pericolo reale. Quanto poi all'obiettivo principale del documento, nientemeno che un governo unico mondiale della politica e dell'economia, è uscito dal G20 di Cannes letteralmente stracciato. Non soltanto nessuno ha neppur vagamente parlato di una simile utopia, ma quel poco che si è deciso in concreto è andato nella direzione contraria. Il disordine mondiale è oggi maggiore di prima e ha il suo deficit più grave nell'accresciuta incapacità dei paesi europei di assicurare una "governance" del continente. È di poca consolazione per il documento vaticano essere stato accostato alle vedute degli indignati di "Occupare Wall Street". O aver trovato eco in un barricadiero articolo del primate anglicano Rowan Williams sul Financial Times del 2 novembre, a favore della "Robin Hood tax". Ma più che questi pessimi voti, ciò che ha maggiormente irritato molti autorevoli lettori del documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è il suo essere in contraddizione clamorosa con l'Enciclica di Benedetto XVI "Caritas in veritate". Nell'Enciclica, Papa Joseph Ratzinger non invoca affatto una "autorità pubblica a competenza universale" sulla politica e sull'economia, cioè quella specie di grande Leviatano, non si capisce come intronizzato e da chi, caro al documento del 24 ottobre. Nella "Caritas in veritate" il Papa parla più propriamente di “governance", cioè di regolamentazione, in latino "moderamen", della globalizzazione, attraverso istituzioni sussidiarie e poliarchiche. Niente a che vedere con un governo monocratico del mondo. Quando poi si scende nelle analisi e nelle proposte specifiche, ha stupito anche la forte divaricazione tra ciò che scrive il documento del dicastero vaticano e quanto va sostenendo da molto tempo L'Osservatore Romano negli editoriali del suo commentatore economico, Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell'Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana, anche lui voluto in questa carica dal card. Bertone. Ad esempio, non c'è una sola riga, nel documento, che attribuisca la crisi mondiale dell'economia e della finanza al crollo della natalità e al conseguente, e sempre più costoso, invecchiamento della popolazione. Era facile prevedere che Gotti Tedeschi non sarebbe rimasto in silenzio. E infatti, il 4 novembre, lo stesso giorno del vertice convocato da Bertone in segreteria di Stato, è uscito su L'Osservatore Romano un suo editoriale che suona come una sconfessione totale del documento di Giustizia e Pace. E a leggerlo sorge il sospetto che la sua stesura iniziale fosse ancor più distruttiva...
Sandro Magister, www. chiesa
Un nuovo modello di leadership