Sono passati 15 anni da quando Papa Giovanni Paolo II disse che il Libano "è un messaggio" e oggi ad attendere Benedetto XVI c'è un Paese o una regione che reclama un messaggio. Il Libano di questa estate 2012 custodisce preziosamente quell'identità e vocazione storica che colpì così tanto Papa Wojtyla, ma i tumultuosi eventi interni ed esterni chiamano i suoi cittadini a interrogarsi su di un futuro incerto. Lo fanno per primi gli stessi vescovi maroniti che, riuniti in assemblea, hanno sentito il dovere di lanciare "l'appel du 1er aout", un grido d'allarme dove gli alti prelati libanesi scendono nell'agone politico per reclamare "soluzioni radicali" per combattere il rischio di un "fallimento dello Stato" e di "derive confessionali". Il viaggio papale previsto per la metà di settembre non occupa ancora le prime pagine dei giornali locali, ma il fermento e l'attesa sono palpabili. A Bcharre, un villaggio nel centro-nord del Paese, padre Charbel ha invitato un centinaio di ragazze e ragazzi per preparare l'accoglienza: hanno tutti un loro badge identificativo e anche se per il momento i ruoli e le cose da fare sono ancora da definire, l'occasione "è unica e dobbiamo organizzarci bene; il Papa deve sentire e vedere quanto ci teniamo a lui" dice con un bel sorriso Sophie, studentessa e volontaria della parrocchia. Certo, se si sta lassù vicino ai cedri millenari, sembra quasi che i tormenti di questo Vicino Oriente siano solo fantasie da geopolitica estiva, ma purtroppo basta fare pochi chilometri verso il mare e ad un certo punto la strada principale impone una scelta: a sinistra si scende verso la capitale Beyrouth, a destra Tripoli e poi Akkar, cioè i posti simbolo dell'impatto della guerra civile siriana sul Libano. Tripoli oramai da alcuni mesi vede puntualmente scontrarsi a suon di armi pesanti e morti il quartiere Giabal Mohsen degli amici (alawiti) del presidente siriano Assad contro Bab Tebbane dove vivono i sunniti-salafiti che inneggiano all'opposizione. Da lì alla regione dell'Akkar e al confine nord con la Siria è questione di pochi chilometri e da qualche ora missili dell'esercito siriano stanno colpendo villaggi libanesi presumibilmente colpevoli di ospitare oppositori al regime Assad. Per il momento la "neutralità" libanese come scelta politica tra i contendenti siriani sta tenendo e nonostante la diatriba politica interna, la temuta escalation regionale del conflitto non sembra così vicina. Ma i morti siriani ci sono, la tensione in Libano è altissima e già più di 40mila profughi hanno varcato il confine per trovare qui rifugio e qualche spiraglio di futuro; come Ninor, 28 anni, cristiano di Aleppo scappato 7 giorni fa "perchè ho capito che dovevo andarmene subito altrimenti sarei morto". Il giovane aleppino ex studente di Diritto ora cerca lavoro comeconsierge (portinaio) in qualche condominio beiruttino: "Non ho paura di lavorare, qui in Libano si guadagna bene e poi avete la Pace" dice con grande tristezza pensando ai cari lasciati lassù e al sogno nel cassetto: "Appena trovo lavoro, vado a prendere la mia fidanzata e ci sposiamo. In Libano noi cristiani possiamo vivere tranquillamente, in Siria non credo sarà più possibile" e aggiunge circa l'epilogo che avrà la guerra civile: "Quando nei paesi arabi scorre il sangue, i problemi non finiranno presto". Anche lui sa che il Papa arriverà presto in visita e quasi a discolparsi precisa: "Non fossimo in guerra, da Aleppo saremmo sicuramente venuti in tanti per vederlo e sentirlo". L'attesa di sentirlo è quella di un'intera comunità (cristiana) che teme per il suo futuro, ma in generale quella di un popolo che ha sempre visto e vissuto nel Libano un esempio di convivenza possibile, oggi scricchiolante nelle sue fondamenta. Serve un messaggio a questa regione caduta nel bel mezzo dell'inverno della "primavera araba", una parola di speranza che i vari leader mondiali sembrano non possedere nel loro vocabolario o che forse può appartenere solo a chi non ha ambizioni temporali. "Abbiamo un grande bisogno di questa visita - dice padre Simon Faddoul, Presidente di Caritas - e abbiamo grandi attese soprattutto dal punto di vista morale. Spero anche che le incertezze della regione non impediscano la partecipazione dalla Siria, dalla Giordania e dall'Iraq" conclude nel mentre è impegnato ad organizzare "una formazione speciale" ad un centinaio di giovani volontari che aiuteranno l'organizzazione sia dell'incontro con i giovani che della Santa Messa. Padre Tarek Mechaalamy, 34 anni, originario della Valle della Bekaa, è invece in vacanza nel suo "Libano sofferente". Da dieci anni vive a Roma dove è formatore dei seminaristi dell'Ordine Maronita della Beata Vergine Maria, ma ha ben chiaro la posta in gioco: "Il mio augurio è che ci siano tantissimi giovani a partecipare, perchè possano sentire cosa il Papa ha da dire a noi cristiani del Medio Oriente. Dobbiamo riavvicinarci al senso della nostra cristianità senza cadere nei facili folclori e capire il nostro ruolo che non puo' essere solo politico". Riflettendo sui rischi di questo momento storico padre Tarek guarda con grande interesse all'incontro previsto tra il Papa e i leader delle altre religioni: "C'è una grandissima stima per il Santo Padre e l'incontro sarà l'occasione per rinnovare il dialogo di convivenza" dice per aggiungere con vigore: "In queste zone la maggior parte delle guerre hanno o prendono connotati etnico/religiosi. Io penso che la popolazione ha bisogno di vedere che i differenti leader religiosi si incontrano e pregano insieme". E poi, quasi a dare un titolo alla sua dichiarazione, conclude: "La scintilla della guerra inizia sempre dai capi, in questo caso invece l'augurio è che l'incontro tra i leader religiosi e il Papa faccia scattare la scintilla della Pace".
Marco Perini, Oasis