di Kurt Koch
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unità dei cristiani
L’Anno della fede, che ci dona Papa Benedetto XVI, si collega strettamente al Concilio Vaticano II da un punto di vista non solo temporale, ma anche di contenuto. Esso è stato infatti inaugurato nel giorno della commemorazione dell’apertura del concilio, avvenuta cinquant’anni fa, ed è animato dall’intento di attualizzarne le principali affermazioni magisteriali, vedendo in esso il punto di riferimento decisivo per la missione della Chiesa anche oggi. In ciò rientra anche l’impegno ecumenico assunto dalla Chiesa cattolica, il quale non è un tema secondario del concilio, ma una delle sue priorità centrali, come si legge già nella prima frase del decreto sull’ecumenismo: "Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro concilio ecumenico Vaticano II" ("Unitatis redintegratio", n. 1). La convinzione che l’ecumenismo sia stato un importante leitmotiv del concilio anche e precisamente per il rinnovamento della Chiesa cattolica è stata espressa da Papa Paolo VI già all’inizio della seconda sessione dello stesso concilio, nel suo incisivo discorso di apertura, al quale l’allora consultore Joseph Ratzinger riconosceva «un vero carattere ecumenico». Il Papa sottolineava che l’avvicinamento ecumenico tra i cristiani e le Chiese divisi era uno degli obiettivi centrali, ovvero il dramma spirituale, per cui il concilio era stato convocato. E nel momento della promulgazione del decreto sull’ecumenismo, alla fine della terza sessione del concilio, egli affermava espressamente che questo decreto delucidava e completava la costituzione dogmatica sulla Chiesa: "Ea doctrina explicationibus completa". In tal modo, Papa Paolo VI rimarcava in maniera inequivocabile che il decreto sull’ecumenismo non era né un documento a parte né poteva essere considerato come un documento tra i tanti, ma si collocava all’interno dell’intero Magistero conciliare e costituiva il risultato dell’attenzione rivolta a una delle priorità centrali di tutto il concilio. In questo senso, la costituzione sulla sacra liturgia menziona tra gli obiettivi del Concilio quello di "favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo" ("Sacrosanctum concilium", n. 1). Il decreto sull’attività missionaria della Chiesa ricorda che gli sforzi ecumenici si congiungono saldamente all’opera missionaria, poiché la divisione dei cristiani è di pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo e "impedisce a molti di abbracciare la fede" ("Ad gentes", n. 6). All’impegno ecumenico è improntata anche tutta la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, come si evince in particolare dai paragrafi conclusivi: "Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità" ("Gaudium et spes", n. 92). Un intimo nesso esiste soprattutto tra il decreto sull’ecumenismo e la costituzione dogmatica sulla Chiesa, nella quale si trovano i fondamenti di fede dell’impegno ecumenico della Chiesa Cattolica. L’ecumenismo è tutt’altro che una questione di mera politica ecclesiale o una faccenda puramente pragmatica; esso, piuttosto, è intrinseco alla fede stessa. Pertanto, l’Anno della fede ci chiama anche ad attualizzare i fondamenti di fede del compito ecumenico della Chiesa e a cementarli nuovamente davanti a una situazione ecumenica profondamente mutata. Mi limiterò qui a ricordare i due principali fondamenti dogmatici dell’ecumenismo enunciati dalla costituzione dogmatica sulla Chiesa. Il fondamento di più ampia portata su cui si basa il legame ecumenico esistente tra la Chiesa Cattolica e i cristiani non cattolici viene individuato in primo luogo nel vincolo sacramentale del battesimo, come si legge nell’articolo 15 della Costituzione dogmatica sulla Chiesa: "La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l’unità di comunione sotto il Successore di Pietro". Il riconoscimento del battesimo come vincolo sacramentale di unità tra tutti coloro che tramite esso sono rinati si basa soprattutto sul fatto che il battesimo unisce il battezzato a Cristo così intimamente che il battezzato trova la sua dimora in Gesù Cristo e vive in una reciproca compenetrazione, quasi mistica. Ne consegue direttamente che, con il passaggio esistenziale del battezzato a Cristo, avviene anche la sua immissione nella Chiesa come Corpo di Cristo. Infatti, l’essere in Cristo come dono del battesimo è una realtà ecclesiale di base: “essere in Cristo” è sinonimo di “essere nel Corpo di Cristo”. Il battesimo è la porta d’entrata nella Chiesa e, dunque, anche nell’ecumenismo. Il battesimo e il mutuo riconoscimento del battesimo costituiscono il fondamento di fede di tutti gli sforzi ecumenici a tal punto che l’ecumenismo cristiano è essenzialmente ecumenismo battesimale e sta o cade proprio con questo fondamento. In secondo luogo, alla luce di quanto appena detto, è coerente che soprattutto l’articolo 8 della costituzione dogmatica sulla Chiesa formuli quella che è l’auto-comprensione della Chiesa cattolica in modo da includervi la dimensione ecumenica. Difatti, quando della Chiesa di Gesù Cristo si dice che essa è realizzata nella Chiesa cattolica, in questo "subsistit" in è contenuta in nuce tutta la questione ecumenica. Più precisamente, come spiega Papa Benedetto XVI, tale affermazione esprime due cose: da un lato, si opera una "forte concretizzazione", nel senso che la Chiesa di Gesù Cristo non è un’idea platonica, ma esiste nella storia come soggetto concreto ed è realizzata nella Chiesa Cattolica. Dall’altro lato, non si esclude con ciò che anche al di fuori di questa realizzazione storica esista una realtà ecclesiale; piuttosto, si fa posto "al plurale 'Chiese' accanto al singolare". Eccoci davanti alla questione centrale del dialogo ecumenico, che è quella di sapere come si rapportano tra loro il plurale, prodottosi nella storia, delle Chiese e Comunità ecclesiali separate e il singolare, altrettanto legato alla storia, dell’unità della Chiesa Xattolica. Questa necessaria chiarificazione ecclesiologica non ha ancora condotto a un soddisfacente consenso ecumenico, ma ha, al contrario, reso evidente un problema ancora più profondo. Poiché le diverse ecclesiologie comportano anche concetti di ecumenismo molto diversi, il vero e proprio dilemma dell’odierna situazione ecumenica consiste nel fatto che non siamo più concordi su ciò che significa ecumenismo e su quello che è il suo obiettivo. Spesso non sappiamo più cosa vogliamo nell’ecumenismo e cosa dovremmo volere. Ciò rappresenta una grande sfida. Infatti, se non siamo più d’accordo su dove deve condurci il nostro cammino, corriamo il rischio di avviarci in direzioni diverse, dovendo poi alla fine costatare che ci siamo allontanati ancora di più gli uni dagli altri. Per evitare proprio questo, oggi è indispensabile riflettere nuovamente sulla destinazione che deve avere il viaggio ecumenico alla luce della fede. Il fatto che tale necessaria riflessione sull’obiettivo comune del movimento ecumenico risulti oggi così difficile è dovuto fondamentalmente allo spirito pluralistico e relativistico del tempo postmoderno, così ampiamente diffuso anche nella cristianità. L’idea chiave della postmodernità è quella di non potere e di non dovere indagare col pensiero oltre la pluralità della realtà se non si vuole essere sospettati di propendere verso un pensiero totalitario; si è cioè convinti che la pluralità è l’unico modo in cui la totalità del reale ci si mostra, se mai lo fa. Questo rifiuto, in linea di principio, di ogni pensiero di unità ha condotto nel movimento ecumenico alla perdita dell’obiettivo comune e a un pluralismo ecclesiologico diventato ormai largamente plausibile, secondo il quale ogni ricerca di unità, anche e precisamente nell’ecumenismo, è guardata con sospetto. L’unità viene vista al massimo come un riconoscimento tollerante della molteplicità e della varietà, in cui si considera come già realizzata una diversità riconciliata. L’ecumenismo cristiano potrà far fronte a questa grande sfida soltanto se non si conformerà al paradigma postmoderno ma se terrà sveglia anche oggi, con amorevole tenacia, la ricerca dell’unità, poiché senza ricerca dell’unità la fede cristiana rinuncerebbe a se stessa. L’unità è e rimane una categoria fondamentale della fede cristiana, sia nella Sacra Scrittura che nella tradizione della Chiesa. Disunità, separazione e divisione sono, per la Sacra Scrittura, conseguenze del peccato, a cui viene contrapposto il messaggio redentore di un’unità fondamentale, come si dice in modo ineguagliabile nella lettera agli Efesini: "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (4, 4-6). La constatazione che, a distanza di cinquant’anni dall’inizio del Concilio, non abbiamo ancora raggiunto l’obiettivo ecumenico di un’unità nella fede, ci ha fatto comunque comprendere sempre di più che non siamo noi uomini a forgiare l’unità e che non possiamo definire né la sua forma né il tempo in cui si compirà, ma possiamo soltanto riceverla in dono. Al riguardo, la preghiera sacerdotale di Gesù ci si presenta come un’utile segnavia. Di fatti, Gesù non ha comandato l’unità ai suoi discepoli, né l’ha pretesa da loro, ma ha pregato per essa. La preghiera per l’unità è e rimane dunque anche oggi il segno distintivo di ogni sforzo ecumenico. Con la preghiera, esprimiamo la nostra convinzione di fede che il movimento ecumenico è opera dello Spirito Santo, che lo ha iniziato, e che dimostreremmo di avere scarsa fede se non credessimo che lo Spirito lo porterà anche a compimento: quando, dove e come vorrà. Il più profondo fondamento di fede dell’unità cristiana, ovvero la magna charta dell’ecumenismo, ci viene dunque donato nella preghiera sacerdotale di Gesù, con la quale egli invoca l’unità dei suoi discepoli, ma volge al contempo lo sguardo oltre la comunità dei discepoli di allora per abbracciare tutti coloro che, per la loro parola, crederanno, come osserva in modo pregnante Papa Benedetto XVI: "Il vasto orizzonte della comunità futura dei credenti si apre attraverso le generazioni, la futura Chiesa è inclusa nella preghiera di Gesù. Egli invoca l’unità per i futuri discepoli". Poiché nella preghiera di Gesù sono compresi anche i cristiani di oggi, anche su di essi si proietta la luce dell’unità impetrata da Gesù ed è proprio dalla preghiera sacerdotale di Gesù che possiamo capire al meglio in cosa consiste e deve consistere, al livello più profondo, l’impegno ecumenico alla luce della fede: se l’unità dei discepoli è la priorità centrale della preghiera di Gesù, l’ecumenismo può essere soltanto un unirsi, da parte di tutti i cristiani, alla sua preghiera, facendo proprio il desiderio che più sta a cuore a Gesù stesso. E se l’ecumenismo ha un motivo e un fondamento non semplicemente interpersonale e filantropico, ma realmente cristologico, allora esso non potrà essere altro che partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù. Gesù stesso vuole farci entrare in questa preghiera e vuole mostrarci il cammino sul quale, come cristiani divisi e come Chiese divise, potremo sempre più avvicinarci gli uni agli altri. Riconoscere nella preghiera di Gesù il luogo più interiore della nostra unità e addentrarci sempre più profondamente in questo fondamento di fede dell’impegno ecumenico è un compito urgente del tempo odierno che l’Anno della fede ci chiama ad assumere e ad assolvere, ricordandoci quello che è il grande lascito del concilio Vaticano II.
L'Osservatore Romano