di Sandro Magister
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Della prima visita mai compiuta da un Papa nell'isola di Cipro, evangelizzata fin dai tempi apostolici e poi terra di confine e conflitto tra cristianità e islam, i media hanno evidenziato gli spunti geopolitici, peraltro modesti e in larga misura non attribuibili direttamente al Papa: in particolare quelli del testo di lavoro su cui discuteranno il prossimo ottobre, a Roma, i patriarchi e i vescovi delle Chiese del Medio Oriente, testo reso pubblico domenica 6 giugno a Nicosia. Ma per capire il senso di questo viaggio nella mente del suo autore, la via più diretta è la viva voce di Benedetto XVI. Papa Joseph Ratzinger ama svelare il suo pensiero su ogni suo viaggio in due momenti prefissati. Con le risposte ai giornalisti sull'aereo in volo verso la destinazione. Con l'Udienza generale in Vaticano del mercoledì successivo al ritorno dal viaggio. E poi, naturalmente, fanno testo i discorsi pronunciati dal Papa sul posto. Specie i passaggi in cui è più evidente l'impronta sua personale. Da tutto ciò si ricava che per Benedetto XVI i punti focali del viaggio a Cipro sono stati l'ecumenismo e l'islam. Ma non solo.
L'ecumenismo. La popolazione di Cipro è in stragrande maggioranza ortodossa. E la sua Chiesa è una delle più antiche e nobili della cristianità bizantina. Tra Benedetto XVI e l'arcivescovo Chrysostomos II intercorre un rapporto anche personale di amicizia e di stima che si è espresso al livello simbolico più alto nell'abbraccio tra i due, durante la Messa celebrata dal Papa a Nicosia, domenica 6 giugno, con la piccola comunità cattolica dell'Isola presente quasi al completo. Nel discorso di congedo da Cipro, Papa Ratzinger ha associato questo abbraccio a quello "profetico" del 1964 tra Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli Atenagora. E in effetti, il cammino ecumenico da allora compiuto ha registrato con l'attuale papa dei progressi senza precedenti, sul versante dell'Ortodossia. Nel volo d'andata per Cipro, Benedetto XVI ha spiegato che sono tre gli elementi che "fanno sempre più vicine" la Chiesa di Roma e le Chiese d'Oriente. Il primo è la Sacra Scrittura, letta non come un testo che ognuno interpreta a suo piacimento, ma come un libro "cresciuto nel popolo di Dio, che vive in questo comune soggetto e solo qui rimane sempre presente e reale". Il secondo è la tradizione di cui la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse sono portatrici, una tradizione che non solo interpreta la Scrittura ma ha nei vescovi le sue guide e i suoi testimoni sacramentalmente istituiti. E il terzo elemento è la "regola della fede", cioè la dottrina fissata dagli antichi concili, che "è la somma di quanto sta nella Scrittura e apre la porta alla sua interpretazione". È evidente che questi tre elementi, se avvicinano la Chiesa Cattolica alle Chiese Ortodosse, distanziano però entrambe dal protestantesimo. Ma è questo e non altro l'apporto che dà al cammino ecumenico un Papa come Benedetto XVI. La prossimità tra cattolicesimo ed ortodossia è ormai così forte che tra le due parti si è giunti a discutere la questione capitale che li divide, cioè il primato del Vescovo di Roma. Proprio a Cipro, a Paphos, ospitata di Chrysostomos II, si è tenuta lo scorso ottobre una sessione di studio tra cattolici e ortodossi ai massimi livelli, che ha esaminato come veniva vissuto il primato di Roma nel primo millennio, quando le Chiese d’Occidente e d’Oriente erano ancora unite. Dal 20 al 27 settembre di quest’anno, a Vienna, le due delegazioni tornaranno a incontrarsi per proseguire il lavoro. L'arcivescovo di Cipro, Chrysostomos II, è in campo ortodosso uno dei maggiori artefici dell'attuale primavera ecumenica, assieme al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, al metropolita di Pergamo Joannis Zizioulas e, per la grande Chiesa russa, al Patriarca di Mosca Kirill I e al metropolita di Volokolamsk Hilarion. Già la visita compiuta da Chrysostomos II a Roma nel giugno del 2007 era stato uno dei momenti ecumenicamente più fruttuosi degli ultimi anni. Le resistenze alla visita del Papa espresse prima del viaggio da un paio di metropoliti dell'Isola e appoggiate da frazioni della Chiesa greca non hanno avuto alcun seguito effettivo.
L'islam. Quanto al secondo centro focale del viaggio di Benedetto XVI a Cipro, la foto che apre questa pagina è emblematica. Incamminandosi sabato 5 giugno per la Messa nella chiesa cattolica della Santa Croce, che a Nicosia è proprio sul confine con la zona dell'isola occupata dai turchi, Benedetto XVI si è imbattuto in un vecchio sceicco sufi, Mohammed Nazim Abil Al-Haqqani. Si sono salutati. Hanno promesso di pregare l'uno per l'altro. Si sono scambiati piccoli doni: un rosario musulmano, una tavoletta con parole di pace in arabo, un bastone istoriato, una medaglia pontificia. Invece dell'atteso incontro con il mufti di Cipro Yusuf Suicmez, la massima autorità musulmana dell'isola, c'è stato quindi l'incontro del Papa con un maestro sufi, cioè con un esponente di un islam mistico, un islam che "presumibilmente per influenze cristiane mette l'accento sull'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo per Dio", invece che su un Dio inaccessibile "tra i cui 99 nomi manca quello di Padre". Le parole ora virgolettate sono del vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico per l'Anatolia e presidente della Conferenza Episcopale cattolica di Turchia, ucciso a Iskenderun il 3 giugno, vigilia del viaggio del Papa a Cipro, al quale anche lui avrebbe dovuto partecipare. Benedetto XVI ha evitato accuratamente di imprigionare il suo viaggio in questo fatto tragico. La diplomazia vaticana, attentissima a scongiurare qualsiasi attrito con la Turchia e l'islam in generale, ha fatto la sua parte per convincere il Papa ad escludere da subito tassativamente che si sia trattato di un assassinio "politico o religioso". Ma questa remissiva e controproducente versione, smentita ogni giorno di più dai fatti, come hanno messo in luce fin da subito il giornale dei vescovi italiani Avvenire e l'agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere AsiaNews, non ha impedito a Papa Ratzinger di compiere i passi di verità che si era ripromesso di fare verso il mondo musulmano. Il primo passo è stato la denuncia della "triste" situazione reale. Che per Cipro significa l'occupazione da parte della Turchia della parte settentrionale dell'Isola, l'espulsione dei cristiani ivi residenti, la distruzione sistematica delle chiese. Accogliendo il Papa come ospite, l'arcivescovo Chrysostomos II ha bollato tutto ciò con parole taglienti. E Benedetto XVI gli ha fatto eco così, al termine del viaggio: "Avendo pernottato in questi giorni nella nunziatura apostolica, che si trova nella zona cuscinetto sotto il controllo delle Nazioni Unite, ho potuto vedere di persona qualcosa della triste divisione dell’isola, come pure rendermi conto della perdita di una parte significativa di un’eredità culturale che appartiene a tutta l’umanità. Ho potuto anche ascoltare ciprioti del nord che vorrebbero ritornare in pace alle loro case e ai loro luoghi di culto, e sono stato profondamente toccato dalle loro richieste". A questo riconosciuto stato di cose il Papa ha risposto non con l'offrire consigli politici o strategici ma anzitutto esortando a una "pazienza" attiva, anche a proposito delle incessanti esplosioni di violenza che insanguinano l'intero Medio Oriente. Ha detto durante il volo per Cipro: "Dobbiamo quasi imitare Dio, la sua pazienza. Dopo tutti i casi di violenza, non perdere la pazienza, non perdere il coraggio, non perdere la longanimità di ricominciare; creare le disposizioni del cuore per ricominciare sempre di nuovo, nella certezza che possiamo andare avanti, che possiamo arrivare alla pace, che la soluzione non è la violenza, ma la pazienza del bene". In secondo luogo, parlando ai diplomatici e tramite essi ai governi della regione, il Papa ha riproposto la sapienza politica di Platone, di Aristotele, degli stoici, poiché "per loro, e per i grandi filosofi islamici e cristiani che hanno seguito i loro passi, la pratica della virtù consisteva nell’agire secondo la retta ragione, nel perseguimento di tutto ciò che è vero, buono e bello", a cominciare da quella "legge naturale propria della nostra comune umanità". Benedetto XVI sa bene che i "grandi filosofi islamici" aperti alla cultura greca appartengono a secoli molto lontani e che dopo Averroè tutto ciò è stato interrotto. Ma richiamando questo precedente storico il Papa ha mostrato che anche per l'islam è possibile e doverosa una rivoluzione illuminista analoga a quella vissuta dal cristianesimo. A Ratisbona ha spiegato che l'impresa è estremamente ardua, ma da allora continua a rilanciare al mondo musulmano la proposta di saldare la fede al "logos" e quindi alla libertà di coscienza e di religione, tuttora inesistenti nei paesi islamici, come anche il vescovo Padovese ben sapeva e spiegava, con ragionamenti molto ratzingeriani. Su questo sfondo, l'incontro del Papa con il maestro sufi, figura a margine delle correnti islamiche dominanti, ha simboleggiato l'incontro con un "altro" islam, con musulmani che non sono nemici ma "fratelli nonostante le diversità".
La croce. Ma non ci sono stati solo l'ecumenismo e l'islam, nell'agenda di viaggio del Papa. Sorprendentemente, Benedetto XVI ha dedicato alla croce, la croce di Gesù, la sua meditazione più intensa, predicando in una chiesa dedicata proprio al santo legno. A tutti coloro che soffrono, ha detto, la croce "offre la speranza che Dio può trasformare le loro sofferenze in gioia, la morte in vita". La croce fa ciò di cui nessun potere terreno è capace. "E se, in accordo con quanto abbiamo meritato, avessimo qualche parte nelle sofferenze di Cristo, rallegriamoci, perché ne avremo una felicità ben più grande quando sarà rivelata la sua gloria". Ci vuole coraggio a rivolgersi così a persone che patiscono l'occupazione ingiusta delle loro case e terre, l'esilio forzato, la distruzione dei segni della propria fede, in un quadrante mediorientale nel quale l'unico Stato in cui i cristiani godono di libertà è quello di Israele. Ma la croce è il felice scandalo della fede cristiana. È il vessillo trionfale che Papa Benedetto innalza e offre al mondo.