Udienza generale questa mattina nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nella catechesi il Papa ha continuato la sua riflessione sulla preghiera nelle Lettere di San Paolo, in particolare sul "testamento spirituale" contenuto nella Lettera ai filippesi. L'Apostolo scrive dalla prigione, "probabilmente a Roma e sente vicina la morte", ma, nonostante questo, "esprime la gioia di essere discepolo di Cristo", fino a "vedere la morte come un guadagno". Paolo afferma infatti che "la gioia è una caratteristica dell'essere cristiano", "siate sempre lieti nel Signore; ve lo ripeto: siate lieti". "Da cosa, anzi da chi trae la serenità, la forza e il coraggio di andare incontro al martirio, all'effusione del sangue?". La risposta è Gesù, e per questo, la Lettera ai filippesi è un "inno cristologico, un canto in cui tutta l'attenzione è centrata sui 'sentimenti' di Cristo, cioè sul suo modo di pensare e sul suo atteggiamento concreto e vissuto". "Abbiate in voi gli stessi atteggiamenti di Gesù", è l'esortazione di San Paolo. "Si tratta non solo di seguire l'esempio di Gesù, ma di coinvolgere tutta l'esistenza nel suo modo di pensare e di agire. La preghiera deve condurre ad una conoscenza e ad un'unione nell'amore sempre più profonde con il Signore, per poter pensare, agire e amare in Lui e per Lui". Nel suo inno cristologico, San Paolo ci fa comprendere inoltre che “Gesù, vero Dio e vero uomo, non vive il suo ‘essere come Dio’ per trionfare o per imporre la sua supremazia, non lo considera un possesso, un privilegio, un tesoro geloso”. Gesù, infatti, assumendo “la realtà umana segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dalla morte”, si è “assimilato pienamente agli uomini, tranne che nel peccato, così da comportarsi come servo completamente dedito al servizio degli altri”. "Paolo continua delineando il quadro storico in cui si è realizzato questo abbassamento di Gesù", che "umiliò se stesso fino alla morte, in completa ubbidienza e fedeltà al volere del Padre, fino al sacrificio, fino alla morte e alla morte di croce: massimo grado di umiliazione, perché era pena destinata agli schiavi". In questo modo "l'uomo viene redento e l'esperienza di Adamo è rovesciata: creato a immagine e somiglianza di Dio, pretese di essere come Dio di mettersi al posto di Dio, e perse la dignità originaria che gli era stata data. Gesù, invece, era 'nella condizione di Dio', ma si è abbassato, si è immerso nella condizione umana, nella totale fedeltà al Padre, per redimere l'Adamo che è in noi e ridare all'uomo la dignità che aveva perduto. I Padri sottolineano che Egli si è fatto obbediente, restituendo alla nostra natura umana, attraverso la sua umanità e obbedienza, quello che era stato perduto per la disobbedienza di Adamo". "Nella preghiera, nel rapporto con Dio, noi apriamo la mente, il cuore, la volontà all'azione dello Spirito Santo per entrare in questa stessa dinamica di vita". La logica umana, ha affermato Benedetto XVI, "ricerca spesso la realizzazione di se stessi nel potere, nel dominio, nei mezzi potenti. L’uomo continua a voler costruire con le proprie forze la torre di Babele per raggiungere l’altezza di Dio, per essere come Dio”. L’incarnazione e la Croce, invece, “ci ricordano che la piena realizzazione sta nel conformare la propria volontà umana a quella del Padre, nello svuotarsi di se stessi, del proprio egoismo, per riempirsi dell’amore, della carità di Dio e così diventare veramente capaci di amare gli altri”. "L'uomo non trova se stesso rimanendo chiuso in sé, affermando se stesso. L'uomo si ritrova solo uscendo da se stesso; solo se usciamo da noi stessi ci ritroviamo. E se Adamo voleva imitare Dio, questo di per sé non è male, ma ha sbagliato nell'idea di Dio. Dio non è uno che vuole solo grandezza. Dio è amore che si dona già nella Trinità, e poi nella creazione. E imitare Dio vuol dire uscire da se stesso, darsi nell'amore". Nella seconda parte dell’inno della Lettera ai Filippesi, “colui che si è profondamente abbassato prendendo la condizione di schiavo, viene esaltato, innalzato sopra ogni cosa dal Padre”. “Il Gesù che viene esaltato – ha puntualizzato però il Papa – è quello dell’Ultima Cena, che depone le vesti, si cinge di un asciugamano, si china a lavare i piedi degli apostoli”, dicendo loro: “Dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. “Questo è importante ricordarlo sempre nella nostra preghiera e nella nostra vita”, ha ricordato Benedetto XVI, che ha citato un passo del suo libro “Gesù di Nazaret”: “L’ascesa di Dio avviene proprio nella discesa dell’umile servizio, nella discesa dell’amore, che è l’essenza di Dio e quindi la forza veramente purificatrice, che rende l’uomo capace di percepire e di vedere Dio”. Dalla Lettera "due indicazioni importanti per la nostra preghiera. La prima è l’invocazione 'Signore' rivolta a Gesù Cristo, seduto alla destra del Padre: è Lui l’unico Signore della nostra vita, in mezzo ai tanti 'dominatori' che la vogliono indirizzare e guidare. Per questo, è necessario avere una scala di valori in cui il primato spetta a Dio". “L’incontro con il Risorto – ha detto il Papa riferendosi alla vicenda di San Paolo – gli ha fatto comprendere che è Lui l’unico tesoro per il quale vale la pena spendere la propria esistenza”. La seconda indicazione è "la prostrazione", il "piegarsi di ogni ginocchio nella terra e nei cieli, che richiama un'espressione del profeta Isaia, dove indica l'adorazione che tutte le creature devono a Dio. La genuflessione davanti al Santissimo Sacramento o il mettersi in ginocchio nella preghiera esprimono proprio l'atteggiamento di adorazione di fronte a Dio, anche con il corpo. Da qui l'importanza di compiere questo gesto non per abitudine e in fretta, ma con profonda consapevolezza. Quando ci inginocchiamo davanti al Signore noi confessiamo la nostra fede in Lui, riconosciamo che è Lui l'unico Signore della nostra vita". “Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, sostiamo in adorazione più spesso davanti all’Eucaristia – l’invito del Papa – per far entrare la nostra vita nell’amore di Dio, che si è abbassato con umiltà per elevarci fino a Lui”. “Gioire di fronte al rischio imminente del martirio e della sua effusione del sangue – la risposta di Benedetto XVI al termine della catechesi – è possibile soltanto perché l’apostolo non ha mai allontanato il suo sguardo da Cristo sino a diventargli conforme nella morte”.
AsiaNews, SIR
L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa