I sacerdoti siano immagine di Cristo nel mondo e non si lascino trascinare da una certa mentalità che, dal mondo, arriva ad inquinare la Chiesa fin nei suoi ministri. Nell'omelia Benedetto XVI è tornato a riflettere su uno dei temi portanti del suo Magistero riguardanti la vocazione e la missione sacerdotale. Pietre d’angolo della Chiesa, testimoni credibili alla sequela del Buon Pastore, e non uomini contaminati da un tipo di società che “non conosce Dio” e più spesso ancora non ha alcuna intenzione di conoscerlo. Con la nettezza che lo ha sempre contraddistinto su questo argomento, Benedetto XVI - sviluppando idealmente l’omelia della Messa Crismale dello scorso Giovedì Santo - è tornato a tracciare lo spartiacque che vuole un ministro del Vangelo “nel” mondo ma non “del” mondo. Con l’intensità spirituale e simbolica che un tale gesto riveste, sempre particolarmente coinvolgente, le mani del Papa si sono posate durante la liturgia sulla testa di 19 uomini, alcuni dei quali in età matura, che hanno scelto di seguire le orme degli Apostoli. A loro, Benedetto XVI ha sottoposto il brano del Vangelo di Giovanni che afferma come il mondo non riconosca i sacerdoti perché non riconosce Dio. “E’ vero, e noi sacerdoti ne facciamo esperienza: il ‘mondo’ (…) non capisce il cristiano, non capisce i ministri del Vangelo. Un po’ perché di fatto non conosce Dio, e un po’ perché non vuole conoscerlo".
"Il mondo non vuole conoscere Dio per non essere disturbato dalla sua volontà, e perciò non vuole ascoltare i suoi ministri, questo potrebbe metterlo in crisi (…) Questo ‘mondo’ (…) nel senso evangelico, insidia anche la Chiesa, contagiando i suoi membri e gli stessi ministri ordinati (…) è una mentalità, una maniera di pensare e di vivere che può inquinare anche la Chiesa, e di fatto la inquina, e dunque richiede costante vigilanza e purificazione”. Per non cadere in questo rischio, il sacerdote deve entrare in piena comunione con Cristo, in modo “sacramentale” ma anche “esistenziale”, per essere “consacrato nella verità”. Il mezzo per realizzare questa comunione, ha indicato Benedetto XVI, è innestarsi con la preghiera in quella che Cristo ha levato a Dio perché custodisse i “suoi”: “Da qui deriva per noi presbiteri una particolare vocazione alla preghiera, in senso fortemente cristocentrico: siamo chiamati, cioè, a ‘rimanere’ in Cristo (…) e questo rimanere in Cristo si realizza particolarmente nella preghiera. Il nostro ministero è totalmente legato a questo ‘rimanere’ che equivale a pregare, e deriva da esso la sua efficacia”. La Messa quotidiana, dunque, ma anche la Liturgia delle ore, l’adorazione eucaristica, la Lectio divina, il rosario, la meditazione: da qui il sacerdote trae, ha affermato il Papa, la sua “linfa”. Il sacerdote “che prega, e che prega bene - ha soggiunto - viene progressivamente espropriato di sé e sempre più unito a Gesù Buon Pastore”, il cui nome è l’unico “che salva”: “L’apostolo, e quindi il sacerdote, riceve il proprio ‘nome’, cioè la propria identità, da Cristo. Tutto ciò che fa, lo fa in nome suo. Il suo ‘io’ diventa totalmente relativo all’’io’ di Gesù. Nel nome di Cristo, e non certo nel proprio nome, l’apostolo può compiere gesti di guarigione dei fratelli, può aiutare gli ‘infermi’ a risollevarsi e riprendere a camminare”.
SANTA MESSA PER L’ORDINAZIONE PRESBITERALE DI 19 DIACONI DELLA DIOCESI DI ROMA - il testo integrale dell'omelia del Papa