lunedì 19 aprile 2010

ORE 18.43, L'HABEMUS PAPAM CHE HA STRAVOLTO TUTTO. GRAZIE PER QUESTI 5 ANNI CON NOI, PAPA BENEDETTO!

Ho voluto attendere l'ora esatta di quell'annuncio che mi ha fatto sussultare di gioia per esprimerti, caro Papa Joseph, gli auguri più sentiti per questo importante anniversario non solo per la tua preziosa persona, ma per l'intera Chiesa, e per me personalmente. In queste poche righe non voglio dilungarmi in bilanci, numeri, dati: la tua "dolce rivoluzione", come è stata brillantemente chiamata, è sotto gli occhi di tutti, o meglio, di coloro che la vogliono vedere, credenti e non credenti. Cinque anni: eppure è come se mi avessi accompagnato da molto più tempo. Si, sei e resterai un compagno nel viaggio della fede e della vita, una stella che orienta questo pellegrinaggio che conduce ad alte vette, là dove l'aria è più pulita e salutare. Ne sono certo, lo continuerai ad essere. Oggi, più che guardare alle meravigliose opere che per mezzo tuo il Signore ha compiuto, voglio guardare al domani, al futuro. Tanto hai fatto e tanto c'è ancora da realizzare: noi siamo con te! Avrai sempre il nostro sostegno e la nostra preghiera. Non passa giorno che non ringrazi l'Onnipotente per il dono della tua persona, della tua vicinanza spirituale che sconfigge miglia e miglia di distanza o quelle transenne che ci separano fisicamente quando ho la gioia di vedere con i miei occhi il tuo volto di Padre amorevole.
Grazie, amato Benedetto, per tutto, perchè sei tu. Ti vogliamo bene!
Scenron

ll Papa a Malta. 'L'Osservatore Romano': come nessuno Benedetto XVI sa ripetere che Dio ama ogni creatura a annunciare la festa di Cristo risorto

“In un piccolo Paese di radicata tradizione cattolica - che ha il coraggio anche politico di mantenere posizioni controcorrente sul matrimonio e la famiglia, così come sulla protezione della persona umana, in un contesto culturale europeo ben diverso - il Papa è stato al centro di una festa per molti aspetti inconsueta e inattesa”. Nell’editoriale de L’Osservatore Romano in edicola questa sera, il direttore Gian Maria Vian ricorda che il viaggio a Malta di Benedetto XVI non è stata soltanto “una festa straordinaria”. Il quattordicesimo itinerario internazionale del Papa, infatti, “ha concluso il quinto anno di un pontificato rivolto innanzi tutto a fare spazio a Dio e alla sua presenza nel cuore degli uomini di oggi, nel contesto di società che al contrario sembrano averlo dimenticato o addirittura vogliono cancellarlo”. Benedetto XVI, prosegue Vian, ha indicato “la via ai suoi fedeli e al mondo, incontrando alcune vittime di abusi da parte di membri del clero cattolico” per “dichiarare la sua vergogna e il suo dolore, per assicurare che tutto sarà fatto per ristabilire la giustizia, ma soprattutto per pregare e mostrare loro la vicinanza di Dio”. Questo, infatti, è “il compito principale del Papa: ripetere a ogni creatura che Dio la ama. E come nessuno – conclude Vian - Benedetto XVI sa annunciare la festa di Cristo risorto”.

SIR

V ANNIVERSARIO DELL'ELEZIONE DI BENEDETTO XVI. LE PAROLE-CHIAVE E I GESTI DEI PRIMI 5 ANNI DI PAPA JOSEPH RATZINGER

INIZIO DEL PONTIFICATO: VOCAZIONE
"Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita".

GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU' IN GERMANIA: EUCARISTIA
"Non lasciatevi dissuadere dal partecipare all'Eucaristia domenicale ed aiutate anche gli altri a scoprirla. Certo, perché da essa si sprigioni la gioia di cui abbiamo bisogno, dobbiamo imparare a comprenderla sempre di più nelle sue profondità, dobbiamo imparare ad amarla. Impegniamoci in questo senso - ne vale la pena! Scopriamo l'intima ricchezza della liturgia della Chiesa e la sua vera grandezza: non siamo noi a far festa per noi, ma è invece lo stesso Dio vivente a preparare per noi una festa. Con l'amore per l'Eucaristia riscoprirete anche il sacramento della Riconciliazione, nel quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio alla nostra vita. Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del mondo esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra che tutto vada ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste anche un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien fatto di esclamare: Non è possibile che questa sia la vita! Davvero no".

"Cristo ha rivelato quale è sempre la fonte suprema della vita per tutti e, pertanto, anche per la famiglia: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici." (Gv 15,12-13). L'amore di Dio stesso si è riversato su di noi nel battesimo. Per questo le famiglie sono chiamate a vivere quella qualità di amore, poichè il Signore è colui si fa garante che ciò sia possibile per noi attraverso l'amore umano, sensibile, affettuoso e misericordioso come quello di Cristo.Insieme alla trasmissione della fede e dell'amore del Signore, uno dei compiti più grandi della famiglia è quello di formare persone libere e responsabili. Perciò i genitori devono continuare a restituire ai loro figli la libertà, della quale per qualche tempo sono garanti. Se questi vedono che i loro genitori -e in generale gli adulti che li circondano- vivono la vita con gioia ed entusiasmo, anche nonostante le difficoltà, crescerà più facilmente in essi quella gioia profonda di vivere che li aiuterà a superare con buon esito i possibili ostacoli e le contrarietà che comporta la vita umana".

DISCORSO ALL'UNIVERSITA' LA SAPIENZA: RAGIONE E FEDE
"Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro".

"La bellezza della liturgia...è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra. Il memoriale del sacrificio redentore porta in se stesso i tratti di quella bellezza di Gesù di cui Pietro, Giacomo e Giovanni ci hanno dato testimonianza, quando il Maestro, in cammino verso Gerusalemme, volle trasfigurarsi davanti a loro (cfr Mc 9,2). La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell'azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l'azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria".

"Abbiamo creduto all'amore di Dio - così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva...In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell'odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell'amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri.
La storia d'amore tra Dio e l'uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall'esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all'esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l'abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia".

"Elemento distintivo dei cristiani [è] il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una «buona notizia» – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo «informativo», ma «performativo». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova".

ENCICLICA: CARITAS IN VERITATE
"Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12, 21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà".

"Un'educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l'amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà.Da questa sollecitudine per la persona umana e la sua formazione vengono i nostri "no" a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi "no" sono piuttosto dei "sì" all'amore autentico, alla realtà dell'uomo come è stato creato da Dio".

STATI UNITI: CONVERSIONE
"San Paolo, come abbiamo sentito nella seconda lettura, parla di una specie di preghiera che sale dalle profondità dei nostri cuori con sospiri troppo profondi per essere espressi in parole, con “gemiti” (Rm 8,26) suggeriti dallo Spirito. È questa una preghiera che anela, nel mezzo del castigo, al compiersi delle promesse di Dio. È una preghiera d’inesauribile speranza, ma anche di paziente perseveranza e, non di rado, accompagnata dalla sofferenza per la verità. Mediante questa preghiera partecipiamo al mistero della stessa debolezza e sofferenza di Cristo, mentre confidiamo fermamente nella vittoria della sua Croce. Che la Chiesa in America, con questa preghiera, abbracci sempre di più la via della conversione e della fedeltà alle esigenze del Vangelo! E che tutti i cattolici sperimentino la consolazione della speranza e i doni di gioia e forza elargiti dallo Spirito".

"In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi. Questa esperienza è stata vissuta da un piccolo gruppo di uomini e donne tra i quali la Vergine Maria e l’Apostolo Giovanni, che hanno seguito Gesù al culmine della sua sofferenza nella sua passione e morte sulla Croce. Tra costoro, ci ricorda il Vangelo, c’era un africano, Simone di Cirene.Non si può forse dire che ogni Africano è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene? Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui. Vedendo l’infamia di cui è oggetto Gesù, contemplando il suo volto sulla Croce, e riconoscendo l’atrocità del suo dolore, possiamo intravvedere, con la fede, il volto luminoso del Risorto che ci dice che la sofferenza e la malattia non avranno l’ultima parola nelle nostre vite umane".

"Permettetemi di lanciare un appello pieno di fiducia nella fede e nella generosità dei giovani, che si pongono la domanda sulla vocazione religiosa o sacerdotale: Non abbiate paura! Non abbiate paura di donare la vostra vita a Cristo! Niente rimpiazzerà mai il ministero dei sacerdoti nella vita della Chiesa. Niente rimpiazzerà mai una Messa per la salvezza del mondo! Cari giovani o meno giovani che mi ascoltate, non lasciate senza risposta la chiamata di Cristo".

"Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. “Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione” (Deus Caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti".

“Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù”, soleva dire il Santo Curato d’Ars. Questa toccante espressione ci permette anzitutto di evocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche per la stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, la loro carità tendenzialmente universale? E che dire della fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di “amici di Cristo”, da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati?"

"In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza – senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore. L’Eucaristia – il centro del nostro essere cristiani – si fonda nel sacrificio di Gesù per noi, è nata dalla sofferenza dell’amore, che nella Croce ha trovato il suo culmine. Di questo amore che si dona noi viviamo. Esso ci dà il coraggio e la forza di soffrire con Cristo e per Lui in questo mondo, sapendo che proprio così la nostra vita diventa grande e matura e vera".
"L’amore di Dio può effondere la sua forza solo quando gli permettiamo di cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa".

Il pranzo di Benedetto XVI con i cardinali nel V anniversario dell'Elezione. Il Papa: la Chiesa ferita e peccatrice ma sento di non essere solo

Un’occasione per ringraziare Benedetto XVI, con affetto fraterno, nel quinto anniversario del suo Pontificato: con tale spirito, si è tenuto nella Sala Ducale del Palazzo apostolico un pranzo offerto al Papa dal cardinale decano del Collegio cardinalizio, Angelo Sodano. Al momento conviviale hanno partecipato i cardinali residenti nell’Urbe e spiritualmente anche i porporati sparsi nel resto del mondo. Benedetto XVI ha confidato che in questo momento ''il Papa sente, molto fortemente, di non essere solo; sente di avere accanto a se' l'intero Collegio cardinalizio che con lui condivide tribolazioni e consolazioni''. Il Papa, riferisce L'Osservatore Romano, ha voluto ringraziare il Collegio cardinalizio per l'aiuto che riceve giorno dopo giorno. Papa Ratzinger ha accennato ai ''peccati della Chiesa, ricordando che essa, ferita e peccatrice, sperimenta ancor più le consolazioni di Dio''. In particolare, riferisce ancora il giornale della Santa Sede, per il Papa è una grande consolazione proprio il Collegio cardinalizio. ''Nella Chiesa - ha spiegato infatti - esistono due principi: uno personale e uno comunionale. Ora il Papa ha una responsabilità personale, non delegabile; il vescovo è circondato dai suoi presbiteri. Ma il Papa è circondato dal Collegio cardinalizio che potrebbe essere chiamato in termini orientali quasi il suo sinodo, la sua compagnia permanente che lo aiuta, l'accompagna, lo affianca nel suo lavoro''. Quindi, si è rivolto al cardinale decano Angelo Sodano e agli altri porporati presenti: “Eminenza, cari confratelli, era proprio tramite lei che cinque anni fa il Signore mi ha chiesto: ‘Mi ami?’, mi ha incaricato di continuare nell’opera di San Pietro. In questo momento, dopo cinque anni, posso soltanto dire grazie, grazie soprattutto al Signore stesso che mi guida, ma grazie anche e soprattutto a tutti voi: lei cardinal Decano a tutto il Collegio Cardinalizio, per ogni aiuto che ricevo giorno per giorno. In questa occasione vorrei anche dire grazie a tutti i collaboratori in Curia, che insieme lavorano perché sia realizzato il mandato del Signore a Pietro di confermare i fratelli nella fede, di annunciare la Sua Resurrezione e di essere testimoni della carità di Dio...Ringraziamo il Signore e preghiamo perché ci aiuti ad andare avanti nella forza della fede e nella gioia della Sua Risurrezione. Grazie!”. Nel suo indirizzo d’omaggio, il card. Sodano ha innanzitutto ringraziato Benedetto XVI per il suo servizio alla Chiesa e al mondo. Una missione, ha detto, portata avanti “con grande generosità”. Il Collegio cardinalizio, ha affermato il card. Sodano, “è una grande famiglia, sempre unita al Successore di Pietro ed impegnata a vivere in un vicendevole spirito di comunione fraterna”. Certo, ha osservato il porporato, non si possono dimenticare “le sfide che il mondo moderno pone ad ogni discepolo di Cristo”. Ma, ha osservato, “ci sostiene la luce della speranza cristiana, con la certezza che la grazia del Signore continua ad operare in mezzo a noi”. Quella speranza nella Provvidenza, ha poi ricordato, che ha sempre guidato il card. Tomáš Špidlík, scomparso venerdì scorso. Il cardinale Sodano ha infine rinnovato la gratitudine al Papa per il suo messaggio di speranza, ed ha concluso il suo discorso con il beneaugurante “Ad multos Annos”.

Radio Vaticana, Asca

V anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. Le parole e il messaggio del Papa: una lingua nuova capace di parlare ai fedeli e agli atei

del card. Roberto Tucci
Corriere della Sera

Quando, anni fa, si parlava della sua speranza d'essere messo a riposo, di ritornare ai suoi studi, ho sempre pensato che il desiderio più grande del cardinale Joseph Ratzinger fosse di potersi dedicare alla ricerca di un linguaggio nuovo, ciò che già aveva cominciato a fare con le lezioni raccolte in quel libro magnifico che è Introduzione al cristianesimo: proseguire su quella linea, trovare un linguaggio alto che tuttavia sia comprensibile a tutti, ai semplici fedeli come alla gente in ricerca, a chi non crede o a chi crede di non credere. Avevo già più di ottant' anni e non ero un cardinale elettore ma nel 2005, se avessi partecipato al conclave, avrei votato senz'altro per lui. Mi sembrava la persona più degna: un grande teologo che è, soprattutto, un uomo di grande spiritualità. E quando venne eletto pensai subito che sarebbe stato un grande pontificato, un pontificato che avrebbe fatto la storia. Questi cinque anni me lo hanno più che mai confermato. Benedetto XVI è un Papa che ha cercato e trovato un linguaggio nuovo: nelle omelie, nelle Udienze del mercoledì, nelle Encicliche. È importante l'immagine biblica del "cortile dei Gentili", l'atrio esterno del Tempio di Gerusalemme, che ha evocato di recente parlando del dialogo con i non credenti: "La Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei Gentili", dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l'accesso al suo mistero". Il Pontefice è convinto che tanta gente sia in ricerca ma non trovi una persona che li aiuti a mostrare ciò che c'è già dentro di loro: quasi un metodo maieutico, socratico. Sbaglia chi ritiene che il Papa sia in una posizione di conflitto con la cultura del nostro tempo: se c'è uno che conosce bene il pensiero laico contemporaneo è Benedetto XVI, come si è visto ad esempio nel confronto con Jürgen Habermas. La sua cultura è vastissima, anche se non lo fa mai pesare. E quando discute, certo, non molla. Ma una cosa è sicura: colui che discute col Papa si rende conto che il Papa lo capisce, lo ascolta e lo capisce. Anche se non è d'accordo con la sostanza, si sente che ti ha ascoltato e ne tiene conto. La sua risposta, ferma nei principi, mostra come le parole dell' interlocutore abbiano in qualche modo arricchito il suo stesso pensiero. Ciò che mi ha un po' sorpreso, piuttosto, è stata la sua determinazione nel prendere decisioni. Ma anche questo, in fondo, dipende dalla sua essenziale spiritualità. Il Pontefice è una persona integerrima e un uomo che matura le proprie decisioni pensando, scrivendo, ma soprattutto meditando e pregando. E osa anche rischiare se, davanti a Dio e con la preghiera, ritiene di doverlo fare. Sapeva di rischiare un rifiuto quando ha revocato la scomunica ai lefebvriani per aiutarli a ripensarci e ritornare nell' ambito della Chiesa. O quando prima ancora ha concesso come forma straordinaria e non obbligatoria l'uso del messale latino. Ma l'ha fatto lo stesso: sentiva in coscienza di dover fare tutto ciò che era possibile per ricomporre questa dissidenza. Pure sulla questione dei preti pedofili, fin da quand'era cardinale, ha mostrato una capacità di intervento tempestivo, chiaro, anche compromettente. Come quando alla Via Crucis del 2005 disse: "Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!". Da buon intellettuale, Benedetto XVI ci pensa a fondo e, una volta deciso, affronta i problemi senza paura: come ci ha mostrato nella lettera ai cattolici irlandesi. Del resto ha sempre avuto coraggio. Ai tempi del Concilio, giovane teologo, ispirava il cardinale Josef Frings e contribuiva a scrivere molti dei suoi discorsi: ricordo ancora una sua critica spietata ai metodi del Sant'Uffizio di allora, così dura che il cardinale Ottaviani si offese al punto da andarsene e volere delle scuse! Proprio durante il Vaticano II, facevo parte di un gruppo di teologi al lavoro per la redazione del testo Gaudium et Spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo; qualche anno dopo la chiusura del Concilio, mi capitò di leggere uno scritto di monsignor Ratzinger nel quale faceva alcune benevole ma interessanti critiche a quel testo. E pensai: peccato non fosse al posto mio perché il testo, sia pure ottimo, ne sarebbe risultato certamente migliore. Quando vado a fargli gli auguri, a Natale, gli dico sempre: grazie per il suo magistero, Santo Padre. Le sue Encicliche, le sue omelie, il suo pensiero rimarranno. Ci vorrà tempo per giudicarlo. E per vedere, dagli affetti delle sue decisioni, che aveva visto giusto. Io stesso ricordo che rimasi piuttosto male, nel 2005, per quelle parole alla Via Crucis. Mi sembrò un po' esagerato. Allo stesso modo, in molte cose, si dovrà dire: aveva ragione lui.

V anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. La pesante e ambigua eredità del predecessore che egli affronta con il suo stile pacato e raziocinante

Era stato eletto, si diceva allora, per un pontificato 'di transizione', quando non si era ancora spenta, nel mondo e nella Chiesa, l'impressione lasciata delle folle oceaniche accorse a Roma per i funerali di Papa Wojtyla il "Grande", acclamandolo a gran voce 'Santo Subito'; oggi, a cinque anni da quel 19 aprile del 2005, Papa Benedetto XVI, che di Giovanni Paolo II era stato per un quarto di secolo il braccio destro, si trova sempre di più a dover fare i conti con l'eredità complessa del suo predecessore sul trono di Pietro. Man mano che si allarga e scava sempre più a fondo nel passato recente della Chiesa, la crisi degli abusi sessuali sui minori da parte dei preti sembra infatti chiamare in causa il modo in cui la Curia, ai tempi di un Wojtyla già malato e sempre più distante dalla gestione quotidiana della macchina vaticana, affrontò i casi di pedofilia che le venivano presentati dai vescovi di tutto il mondo. Qualche giorno fa Golias, rivista cattolica francese non certo tenera con Papa Ratzinger, ha portato alla luce la lettera del 2001 con cui l'allora prefetto della Congregazione per il Clero, il card. Dario Castrillon Hoyos, si congratulava con un vescovo per non aver denunciato un prete molestatore, e lo presentava come modello per l'episcopato mondiale: un testo che rivela come una mentalità chiusa, all'insegna della logica dei 'panni sporchi si lavano in famiglia', fosse ancora vivissima nel cuore del Vaticano meno di 10 anni fa. Ma quella lettera mostra anche quanto in quegli anni fosse aperto e aspro, ai vertici della Chiesa, il confronto su come affrontare una crisi sulla quale, a detta di molti, si gioca la credibilità del cattolicesimo per i prossimi decenni, e per la prima volta il portavoce vaticano padre Federico Lombardi lo ha riconosciuto prendendo apertamente le distanze in un comunicato ufficiale dalle posizioni di Hoyos. In quel confronto, anche al di là di quanto gli organi di comunicazione vaticani possano mostrare, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Joseph Ratzinger, cerco di portare avanti le ragioni della trasparenza, della pulizia da quella ''sporcizia'' da lui così significativamente evocata nella Via Crucis del 2005, proprio mentre Papa Wojtyla agonizzava. E mentre emergono particolari sempre più sordidi sulla 'doppia vita' del fondatore dei Legionari di Cristo, quel Marcial Maciel favorito e stimato da Giovanni Paolo II, che lo volle addirittura accanto sull'aereo che lo portava in Messico, dalle inchieste giornalistiche viene anche fuori che Joseph Ratzinger, unico tra i cardinali di Curia, aveva rifiutato le generose offerte in denaro contante con cui il Maciel oliava i meccanismi vaticani e si assicurava il sostegno dei suoi pezzi grossi. Tra questi, secondo quanto riportato dal settimanale cattolico statunitense National Catholic Reporter, in prima fila c'erano il segretario di Stato vaticano, card. Angelo Sodano, messo da parte Benedetto XVI, che gli ha preferito un suo collaboratore di lungo corso, anche se non un diplomatico come da tradizione, il card.Tarcisio Bertone, e il segretario personale di Wojtyla, card. Stanislaw Dziwisz. Una volta salito al soglio di Pietro, Papa Ratzinger, che di fronte all'accumularsi delle denunce aveva lottato a lungo in Curia perchè fosse aperta un'inchiesta in Vaticano, condannò Maciel ad una vita ''di preghiera e penitenza'' e, qualche mese fa, ha autorizzato una visitazione apostolica dell'intera congregazione dei Legionari, destinati con ogni probabilità al commissariamento. Ironicamente, c'è ancora il card. Castrillon Hoyos, che ha difeso la sua lettera dicendo che fu autorizzata da Papa Wojtyla stesso, dietro l'altra grande crisi che ha segnato fino ad oggi il pontificato di Benedetto XVI: quella lefebvriana. Il porporato colombiano era infatti alla guida della Pontificia Commissione ''Ecclesia Dei'' che ha negoziato la remissione della scomunica dei quattro vescovi tradizionalisti, tra cui quel Richard Williamson che, pochi giorni prima, aveva negato l'esistenza dell'Olocausto in un'intervista alla tv svedese. Un corto circuito che, come ammesso dallo stesso Pontefice nella Lettera scritta ai vescovi dopo l'esplosione di una polemica di dimensioni mondiali con il mondo ebraico, si sarebbe potuto evitare con una semplice ricerca su internet. Ma a Benedetto XVI saranno forse tornati in mente quei giorni del 1988 in cui fu proprio Papa Wojtyla a far saltare l'accordo raggiunto dall'allora card. Ratzinger con i lefebvriani, che avrebbe permesso di evitare la scomunica e lo scisma e l'aprirsi di una ferita che, però, nemmeno il suo gesto di generosità è riuscito finora a richiudere. Ha confidato infatti un suo amico intimo, il prof. Wolfgang Beinert, uno dei membri del Ratzinger Schuelerkreis, che il Pontefice starebbe ''perdendo il sonno'' per l'affaire lefebvriano, data l'inamovibilità dimostrata dai tradizionalisti durante i colloqui dottrinali in corso in Vaticano. E' quindi un'eredità paradossalmente pesante, quella lasciata da Wojtyla al suo successore, che si trova oggi, senza il fantomatico 'scudo mediatico' offerto al Papa polacco prima dal suo "carisma" e poi dalla sua lunga malattia, ad affrontare una lunga serie di debolezze, nodi irrisolti e scandali nascosti. Una situazione che Papa Ratzinger ha deciso di affrontare con lo stile pacato e raziocinante che gli è proprio, concentrandosi suoi 'fondamentali' della fede.

Asca

Il card. Castrillon: Giovanni Paolo II mi autorizzò a inviare a tutti i vescovi la lettera in cui mi congratulavo per la non denuncia di un prete

Il card. Dario Castrillon Hoyos, a margine di una conferenza nella città spagnola di Murcia, ha affermato che Papa Giovanni Paolo II era informato della lettera in cui il cardinale colombiano si congratulava con un vescovo francese che aveva preferito andare in prigione piuttosto che denunciare alla magistratura un prete pedofilo, e ne ''autorizzò'' l'invio a tutti i vescovi del mondo. Lo riporta il sito del quotidiano spagnolo La Verdad. ''Dopo aver consultato il Papa e avergliela mostrata, scrissi una lettera al vescovo e, congratulandomi con lui come modello di un padre che non tradisce i propri figli'', avrebbe detto Castrillon. ''Il Santo Padre, mi ha autorizzato a inviare questa lettera a tutti i vescovi e la mettessimo su internet''. Le parole dell'ex-prefetto della Congregazione del Clero sarebbero state applaudite dagli ecclesiastici presenti, tra cui l'attuale prefetto della Congregazione per il Culto divino, card. Antonio Canizares.

Asca

V anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. De Carli: l'uomo giusto per affrontare la più epocale delle sfide, portare Dio fra le case degli uomini

di Giuseppe De Carli
Il Tempo

"Nel collegio dell'Anima, siamo proprio nel centro della vecchia Roma e si vede il mondo, si sentono soprattutto gli umori, i rumori della vecchia Roma; tutto questo, anche andare al caffè con altri e conoscere la vita romana totalmente diversa dalla mia vita universitaria, rimane per me una impressione grandissima che ha marcato la mia vita". Siamo negli anni che vanno dal 1962 al 1965. Nella capitale della cristianità si sta celebrando il Concilio Ecumenico Vaticano II, l'evento religioso più importante del XX secolo. Don Joseph Ratzinger, giovane professore di teologia, è chiamato dall'arcivescovo di Colonia, il card. Joseph Frings, a seguirlo in qualità di "esperto" e in seguito da "perito". Ne parla, ancora con stupore, anni dopo (Ratzinger è già diventato cardinale e prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede) nel libro "La mia vita". La scoperta di Roma rappresenta una novità per il giovane studioso. È l'apertura verso la "cattolicità", l'universalità della Chiesa, nonché verso il mondo della classicità. Tutto "alla romana". Quel ragazzo esile con lo sguardo profondo, la testa piena di domande e di curiosità, è diventato una star del firmamento teologico internazionale. Ma il contatto, anche dal punto di vista emotivo, con Roma lo ha segnato. Il professor Joseph Ratzinger ha davanti la radura luminosa dell'attività accademica. Ben altri sono i disegni della Provvidenza su di lui. Giovanni Battista Montini, divenuto Papa Paolo VI, lo inserisce nella Pontificia Commissione Teologica Internazionale dove si trova a fianco di Hans Urs Von Balthazar. Cruciale il 1977. Il teologo dallo sguardo acuto viene chiamato il 25 maggio da Paolo VI a succedere al cardinale Julius Döpfner, arcivescovo di Monaco e Frisinga. Dopo pochi mesi è creato cardinale col titolo presbiteriale di "Santa Maria Consolatrice al Tiburtino". È un ritorno a Roma, come "presbitero", come "cardine" della Chiesa. Partecipa nel 1978 a due Conclavi, quello che alla fine di agosto eleggerà Giovanni Paolo I e in settembre Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II, il primo Papa polacco della storia della Chiesa. Il 25 novembre 1981 Ratzinger entra per la prima volta nel palazzo dell'ex-Santo Uffizio come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. Nel 1993 gli viene assegnata la sede suburbicaria di Velletri-Segni. Nel 2001, come Decano del Collegio cardinalizio la sede suburbicaria di Ostia. Roma è diventato il luogo della sua permanenza definitiva. Architrave del pontificato di Giovanni Paolo II, il card. Ratzinger affronta alcune questioni spinosissime e alcuni "grandi ribelli" che in aperto dissenso con la Sede Apostolica, seminano sconcerto e zizzania nel mondo cattolico. A cominciare da Marcel Lefebvre fino ai portabandiera della "teologia della liberazione" (il più famoso è Leonardo Boff). Il porporato bavarese dal 1981 al 2005 abita in Piazza della Città Leonina. A pochi metri dalla cinta di mura che racchiudono lo Stato della Città del Vaticano. A pochi metri, ma fuori. Abita in un ampio appartamento foderato di libri. La sorella Maria (vista più volte da chi scrive fare la spesa); a volte il fratello "gemello di Messa" Georg; il segretario Josef Clemens e l'altro segretario Georg Gänswein, la fidatissima Ingrid Stampa. E il gatto Chico. Più volte ho incontrato Ratzinger per le viuzze di Borgo Pio o in compagnia di amici o da solo. Clergyman e basco neri a fare il giro del quartiere, verso l'imbrunire. Affidabile e cordiale. Col fratello Georg ha già acquistato una villetta con giardino a Pentling alla periferia di Ratisbona per passare il resto della sua vita. Gli spartiti musicali degli amatissimi Bach e Mozart, i concerti, le celebrazioni liturgiche nella cattedrale, saggi e articoli per soddisfare le richieste pressanti di alcune case editrici tedesche che hanno "arruolato" il cardinale fra gli scrittori di punta. I disegni di Dio sono imperscrutabili. Manca l'ultimo strappo. Il "compito inaudito". Il 19 aprile 2005, dopo un Conclave lampo di sole 15 ore, il finissimo teologo viene eletto al Soglio Pontificio. Un tedesco dopo un polacco. Nella "società liquida" alla Baumann diventa Papa, scrive il card. Camillo Ruini su Avvenire il 30 aprile 2009, uno studioso che "si è occupato di teologia praticamente per tutta la sua vita, segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri e che ha fatto della liturgia della Chiesa il centro del suo lavoro teologico", che si domanda "perché crediamo?", che affronta "senza sconti la questione della verità e della bellezza e vivibilità della fede cristiana". Benedetto XVI, "l'umile lavoratore nella vigna del Signore", sembra l'uomo giusto per affrontare la più epocale delle sfide: portare Dio fra le case degli uomini. Joseph Ratzinger/ Benedetto XVI non è uomo dei gesti, bensì dei ragionamenti. Da subito si comprende che il carisma del nuovo pastore si concentra nel suo pensiero e nella sua parola. Smentendo ogni previsione si mette a viaggiare. Visite pastorali brevi e mirate in Italia. Metodico anche negli spostamenti nella sua diocesi. Le pontificie università, vera gloria per Roma capitale, "metropoli dove si studia Dio", i collegi, le parrocchie. Non più di due all'anno. Durante i tempi liturgici forti di Avvento e Quaresima. Alla parrocchia di Santa Maria Consolatrice a Casal Bertone, a Dio Padre Misericordioso, Santa Maria Stella dell'Evangelizzazione al Torrino, Santa Felicita e Figli martiri, Santa Maria del Rosario ai Colli Portuensi, Santa Maria Liberatrice al Testaccio, Santo Volto di Gesù alla Magliana. Davanti al clero romano, il 13 maggio 2005, nella Basilica di San Giovanni in Laterano annuncia che, derogando dai tempi prescritti, dà inizio al processo di canonizzazione del suo grande predecessore, Giovanni Paolo II. L'11 giugno 2007 apre il Convegno della diocesi Roma sul tema "Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza". Tre anni dopo, 17 gennaio 2010, varca la soglia della Sinagoga sul Lungotevere e una settimana dopo quella del tempio di culto luterano. Accetta l'invito della Comunità di Sant'Egidio e pranza coi poveri e del vicario di Roma, il card. Agostino Vallini, e lo vediamo fra i barboni del centro di accoglienza della Caritas alla stazione Termini. In cinque discorsi (2006-2010) tratteggia l'identikit del buon amministratore incontrando i responsabili della cosa pubblica della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma. Sono le preoccupazioni di un padre per i problemi che attanagliano la "prima inter urbes", la città che ha la missione di essere faro di civiltà e di fede. Due episodi vanno sottolineati, anche se di significato opposto. Il Papa, il 17 gennaio 2008, viene invitato dal magnifico rettore, Renato Guarini, ad inaugurare l'Anno Accademico all'università "La Sapienza" di Roma. La vicenda è nota. "Non in linea con la laicità della scienza. Un evento incongruo che auspichiamo venga annullato". È un passaggio della lettera che sessantasette docenti mandano al rettore. Si sentono "offesi ed umiliati". Il «niet» dei professori, una minoranza della minoranza, provoca una ondata di reazioni: "Iniziative di tono censorio" denuncia Radio Vaticana; il Papa è "oggetto di un gravissimo rifiuto che manifesta intolleranza antidemocratica a chiusura intellettuale", afferma in una nota la presidenza della Conferenza Episcopale Italiana. Alcune centinaia di studenti occupano il rettorato. Si concede loro di manifestare alla stessa ora della "lectio" del Papa, anche se in un luogo diverso. Alla vigilia della visita, un comunicato stampa della Sala Stampa della Santa Sede, spiega che "si è ritenuto opportuno soprassedere all'evento. Il Santo Padre invierà, tuttavia, il previsto intervento". Più che uno schiaffo al Papa è un autogol della coscienza civile e democratica di un Paese. Ad un Papa viene di fatto impedito di parlare in un ateneo fondato, per altro, da un altro Papa: da Bonifacio VIII nel remoto 1303. Nel "Papa-day", voluto dal vicario di Roma, il card. Camillo Ruini, la domenica successiva si stringono attorno a Benedetto XVI in Piazza San Pietro più di duecentomila persone. Corrono i romani nella dimostrazione più massiccia di affetto e di solidarietà della gente comune per la propria guida spirituale. Non arriva Ratzinger al "La Sapienza", arriva il suo discorso. E dalla lettura si comprende come, per il fracasso sollevato da poche persone, la città e la sua più alta istituzione accademica, abbiano perso un'occasione formidabile di confronto e di riflessione. Il 9 marzo 2009, come già aveva fatto Giovanni Paolo II (15 gennaio 1998), Benedetto XVI è in Campidoglio. "Alle 8.30 in Campidoglio era già tutto pronto. Valletti in livrea, guide rosse, fiori gialli, rossi, bianchi. I colori di Roma e del Vaticano, simbolicamente abbracciati" (Il Tempo, 10/03/2009). "Roma vuole essere la città della vita, dell'accoglienza e della speranza" dice il sindaco Gianni Alemanno, più emozionato che mai. "Roma è sempre stata una città accogliente" lo rincuora Benedetto XVI che "fotografa" il volto di una metropoli ormai multietnica e multireligiosa, nella quale talvolta "l'integrazione è faticosa e complessa". L'istinto della gente è infallibile, anche nel caso di Papa Benedetto. La gente e i romani sanno che questo Papa sta dalla loro parte. Tempo fa ha detto: "Non sono i dotti a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la fede battesimale che determina ciò che è valido nelle interpretazioni dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Il compito del magistero ecclesiale è difendere la fede dei semplici contro il potere degli intellettuali. Esso difende la fede dei semplici, di coloro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e non possono scrivere editoriali sui giornali. Questo è il suo compito democratico. Esso deve dar voce a quelli che non hanno voce".

Il Papa rientrato a Roma, concluso il viaggio apostolico a Malta. Lo scambio di messaggi con il presidente della Repubblica Napolitano

L’aereo con a bordo il Santo Padre che rientra da Malta al termine del Suo Viaggio Apostolico, è atterratto all’aeroporto di Ciampino (Roma) alle ore 21.30. E' stato accolto, a nome del governo, dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Il Pontefice, dopo aver ricevuto il saluto dei dignitari pontifici presenti, ha percorso insieme a Letta la distanza che lo separava dall'elicottero dell'Aeronautica Militare con il quale ha fatto rientro in Vaticano. "Una speciale preghiera per la concordia e per il bene dell'intera nazione" è stata assicurata dal Papa in un messaggio al presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano. "Al rientro dal mio viaggio apostolico a Malta, dove ho potuto incontrare e confermare nella fede comunità cristiane ricche di fervore spirituale, mentre ringrazio Dio per questa rinnovata esperienza di comunione ecclesiale, rivolgo a lei, signor presidente, ed al diletto popolo italiano - scrive - il mio beneaugurante saluto". Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato il seguente messaggio di risposta: “Al rientro dal Suo viaggio Apostolico da Malta, desidero rivolgerLe un cordiale saluto di bentornato. La Sua missione pastorale ha richiamato, anche in questa circostanza, le coscienze degli uomini di buona volontà al rispetto dei valori universali che condividiamo e promuoviamo. Con profonda considerazione, le rivolgo il mio affettuoso pensiero”. Una divertente curiosità: un applauso dal settore del seguito papale ha salutato la notizia della vittoria della Roma per 2-1 sulla Lazio, sul volo che ha ricondotto Benedetto XVI a Roma. I giornalisti hanno chiesto al portavoce Vaticano, padre Federico Lombardi, se il Pontefice ne fosse stato informato. "Il Papa no - ha risposto - ma Bertone sì, perchè aveva chiesto informazioni sull'esito della partita".